Il ministro del Tesoro Padoan a livello europeo prima e il presidente della Banca d’Italia Visco al congresso dell’Assiom Forex poi hanno rilanciato il progetto di una «bad bank» per alleviare il sistema bancario italiano. Un progetto che aleggia tra le soluzioni per contrastare la crisi quasi dal tempo della sua esplosione. Un progetto già approvato in altri paesi dilaniati dalle difficoltà del credito come la Spagna e l’Irlanda. Si tratterebbe di inventarsi una formula legislativa e finanziaria digeribile dall’Unione europea, da non confondersi con i vietati aiuti di Stato, e in grado di sottrarre dai bilanci delle banche la gran quantità di crediti deteriorati, cioè quell’insieme di incagli, sofferenze ed esposizioni ristrutturate, che vanno dai clienti in difficoltà a quelli in stato di insolvenza.
Il Fondo monetario calcola che per l’Italia i crediti deteriorati ammontino complessivamente a 181 miliardi di euro, che il ritmo con cui escono dai bilanci degli istituti di credito sia molto basso (7% annuo circa) e che il loro peso sull’ammontare dei prestiti concessi sarà destinato ad aumentare almeno fino al 2019.
Tali numeri sono la risultante della crisi attraversata da cittadini e imprese. Queste ultime, in particolare, non sono indifferenti all’esito di questa partita per due ragioni: da un lato le imprese italiane sono tra le più indebitate dei grandi paesi, con circa un terzo di esse in cui il profitto lordo è inferiore agli interessi che pagano alle banche, e dall’altro perché la crisi sta colpendo duramente il sistema produttivo, con difficoltà evidenti sulla capacità di sopportare i debiti contratti.
Così nasce l’idea di una bad bank detta «di sistema», per dare risposte organiche alla crisi del credito e per favorire banche e imprese in primo luogo. Essa dovrà comprendere un pacchetto di provvedimenti che vanno dalle agevolazioni fiscali a un sistema per garantire le attività derivanti dalla dismissione dei crediti in sofferenza attraverso meccanismi di cartolarizzazioni di titoli. Farli confluire in nuovi contenitori appetibili per il mercato. È evidente che tutti gli operatori si attendono un ruolo da protagonista della sfera pubblica nel fornire le adeguate garanzie. Il presidente dell’Associazione delle banche italiane, Antonio Patuelli, chiede di non chiamarla bad bank, poiché non vorrebbe che fosse intesa come l’ennesimo «regalo alle banche», ma più prosaicamente Gian Maria Gros-Pietro, di Intesa San Paolo, ammette al Sole 24 Ore che «se c’è un obiettivo di pubblica utilità che il singolo privato non ha convenienza a perseguire, allora è giusto che si usino mezzi pubblici».
Ecco la portata sistemica. Non solo si intende salvare il sistema bancario, ma si prova anche a raddrizzare il sistema dell’impresa. Il travaso dei debiti in vario modo inesigibili, infatti, consentirebbe anche di alleggerire la pressione sull’impresa, consentendo a quella parte di aziende ritenute in qualche misura ancora sane di poter sottrarsi alla morsa dei debiti e di potersi rimettere sul mercato, magari rafforzando i propri patrimoni con le risorse che restano a disposizione.
La giustificazione adottata da Vincenzo Visco per questi aiuti è data dalla mancanza di eccessi del sistema creditizio italiano rispetto a quello di matrice anglosassone, per cui le sofferenze a marca tricolore sarebbero unicamente il frutto delle dinamiche di libero mercato, effetti collaterali di una crisi che non ha colpevoli o responsabili. È curioso l’adottare mezzi pubblici per soccorrere mezzi privati, quando il comparto bancario è stato privatizzato solo da qualche decennio, è curioso il consentire la ristrutturazione dei debiti privati quando al contempo si è aperta una durissima contesa internazionale per evitare la ristrutturazione del debito pubblico greco.
Se si tratta di un’impresa in crisi persino i manuali di managment consigliano tra le prime operazioni di ristrutturare i propri debiti per risollevare il proprio tessuto produttivo, ma se si tratta di un debito sovrano, se dietro al paese in sofferenza ci sono persone in carne e ossa, allora i provvedimenti per salvare l’intera economia non valgono, valgono solo le ragioni politiche dei creditori.
Fonte: il manifesto| Autore: Marco Bertorello
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