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mercoledì 23 maggio 2018

Il piano dell’euro per distruggerci tutti



Ecco come funziona il piano dell’euro per distruggerci tutti.

Prima si indebita un Paese con l'Euro e si permette alle sue banche di giocare con la finanza creativa fino al punto di fallire e di nascondere le perdite con bilanci taroccati.
Contemporaneamente, attraverso il WTO, si fanno accordi che permettono alle aziende di delocalizzare, addirittura incentivando la loro delocalizzazione con soldi pubblici.
Intanto nell'arco di un decennio si sono persi alcuni milioni di posti di lavoro.
Poi, si impone al Paese in oggetto un Governo "Tecnico" per "risanare" il bilancio dello Stato, imponendo una tassazione disumana su tutto, aumentando l'IVA, le imposte dirette ed indirette, smantellando i diritti dei lavoratori ed imponendo per legge a tutti gli Enti locali, di non toccare i loro avanzi di bilancio (in Italia si chiama "Patto di Stabilità"), che poi, altro non sono altro che i soldi dei cittadini pagati attraverso le tasse.
In questo modo, chiudono centinaia di migliaia di aziende e si perdono altri milioni di posti di lavoro, alimentando così una crisi dei consumi e di liquidità (se uno non lavora, non ha soldi e non spende, o spende molto meno, ovvio). 

In questo modo, altre aziende ed altri settori industriali vedranno calare le loro vendite e la loro produzione in maniera esponenziale mese dopo mese, anno dopo anno, e a loro volta saranno costrette a licenziare
Si alimenta così una spirale (avvitamento) senza fine, che porterà dritti dritti al fallimento del Paese.
Poi, come se niente fosse, e come se prima i vari "garanti" e "controllori" non ne sapessero nulla, si "scopre" che i maggiori gruppi bancari del Paese hanno i bilanci bucati come il formaggio groviera (dov'erano la Tarantola, Draghi, Monti, Prodi & C. con MPS, Unicredit, Intesa S. Paolo?), ergo, urge correre ai ripari.

Allora la BCE, con a capo Draghi, attraverso sistemi diabolici chiamati LTRO, finanzia montagne di miliardi di euro alle fallite banche a tassi ridicoli (0,75%-1%), affinché queste ultime fingano di utilizzare quei soldi per finanziare l'asfittica economia interna dei vari Stati.


Ovviamente, una banca, da brava usuraia, fa la banca, e siccome è anchenominalmente fallita, non presta un bel nulla, fregandosene bellamente delle migliaia di attività che chiudono i battenti e di milioni di persone che finiscono in mezzo alla strada o si ammazzano.



Cosa fa la banca invece con questi soldi ? 

Acquista Titoli di Stato (BOT, CCT, ecc.) dagli esanimi stati, disperatamente in cerca di liquidità per non fallire, ovviamente prestando loro quel denaro (quindi ai suoi cittadini) ad un tasso triploquadruplo e anche oltre rispetto allo 0,75%-1% che laBCE ha prestato loro.
Questo modo di finanziarsi da parte degli stati, attraverso le banche commerciali (e non direttamente dalla BCE), è il cosiddetto "mercato secondario", cioè in seconda battuta, mentre il differenziale del tasso di interesse si chiama DEBITO PUBBLICO, che per il momento, solo di interessi, costa a noi italiani circa 100 miliardi di euro l'anno, ed ovviamente, derivando esso da un interesse composto, è in continua ed inarrestabile crescita.

Si tratta di una truffa in piena regola !

Una situazione del genere, serve per affossare il sistema bancario degli stati e costringere questi ultimi a cedere il controllo dei propri conti ad un unico Oraganismo Bancario Centralizzato, direttamente controllato dai banchieri-tecnocrati della UE.

In piena chiave NWO(nuovo ordine mondiale)


APPROFONDITE SULLA NOSTRA IMPORTANTE PAGINA SULL'ECONOMIA:

http://mondos-porco.blogspot.it/p/economia.html


Mondo Sporco 
fonte http://mondos-porco.blogspot.it/2018/01/il-piano-delleuro-per-distruggerci-tutti.html#more

IL MISTERO DELLA VOLONTA’


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di Rudolf Steiner
Dalle considerazioni che facciamo qui ormai da tempo ma anche dalle considerazioni di questi giorni dovrebbe risultare con evidenza quanto sia necessario per l’evoluzione dell’umanità che nello sviluppo della cultura umana si pervenga a quanto si può definire “scienza dell’iniziazione”. Va detto già oggi, senza alcuna riserva, che la salvezza dell’umanità per uscire da una evoluzione in regresso risiede unicamente in ciò: che l’umanità si rivolga ad una rivelazione offerta da quanto può essere compreso soltanto attraverso la conoscenza spirituale. Si facciano pure obiezioni emotive o logiche d’ogni genere; si dica pure che sarà oggi difficile che cerchie più ampie di persone acquisiscano conoscenze che in un primo tempo possono invero provenire solo da alcuni, i quali riescano ad elevarsi alla facoltà di guardare nel mondo spirituale: tutte le obiezioni che si possono porre e che possono essere in apparenza persino giustificate, non significano proprio nulla di fronte al fatto che, senza recepire quanto viene qui definito scienza dello spirito antroposofica la cultura dell’umanità dovrà cadere in rovina, mentre sulla terra opereranno potenze che non congiungono all’umanità la loro evoluzione nel cosmo. Le cose si svolgeranno così. Se l’umanità dovesse conseguire la salvezza in quella direzione, un numero sufficiente di persone dovrà compenetrarsi con quanto si è appena cercato di dire. Infatti soltanto chi non vuole assolutamente prestare attenzione a quanto sta accadendo oggi in tutto il mondo, come risultato degli ultimi catastrofici anni, può chiudere gli occhi di fronte al fatto che ci troviamo all’inizio del processo distruttivo dal quale può farci uscire soltanto qualcosa di nuovo. Qualsiasi cosa si cerchi all’interno del processo distruttivo stesso, non potrà che essere se non un’altra forza di distruzione. Soltanto quanto attingerà veramente a fonti che non appartengono all’evoluzione terrestre compiuta sino ad ora, potrà divenire forza di ricostruzione. Si presentano difficoltà molto grandi all’ingresso dei risultati di quelle fonti. Si dice sovente che la scienza dell’iniziazione non potrebbe essere presentata all’umanità incondizionatamente, poiché è necessario che essa venga accolta in un certo modo. Se ne parla ogni volta; ma proprio in ciò si continua a peccare. Facciamo un solo esempio, molto semplice: una tra le primissime e più elementari attenzioni che devono essere osservate per recepire la scienza dell’iniziazione, consiste nel cercare di eliminare da sé ciò che si suole indicare come ambizione, soprattutto quando essa si esprime sotto forma di un giudizio sulla propria personalità in confronto ad altre. Si può facilmente constatare che proprio in quella che chiamiamo Società Antroposofica (a che gioverebbe tacere?) si continua ad ammettere che “una cosa del genere è giusta”, mentre proprio all’interno di un movimento come quello antroposofico si verificano le cose più spiacevoli, perché proprio nel suo seno si sviluppano rancori ed invidie reciproche. Voglio soltanto accennare a fenomeni del genere, poiché oggi devo parlare delle più grandi difficoltà che sono poste all’ingresso della scienza iniziatica nella cultura terrena. Vedete: tra le prime cose che dovranno venire ampiamente mostrate all’umanità vi è quanto si potrebbe chiamare il mistero delle volontà umana. Tale mistero si è nascosto, a partire dalla metà del XV secolo, dall’inizio cioè della quinta epoca postatlantica, alla più recente civiltà umana. Si può dire che la nuova concezione che l’umanità ha del mondo non abbia la benché minima nozione della volontà. Il singolo uomo non sperimenta mai, da sveglio, la vera essenza della sua volontà. Da sveglio
sperimenta l’essenza della sua vita di rappresentazione, come in sogno sperimenta l’essenza del sentimento, ma egli dorme parzialmente, pur essendo desto, per quanto concerne la sua volontà. Andiamo per il mondo come cosiddette persone deste; ma in realtà siamo desti solo per le rappresentazioni, siamo desti a metà, ossia sognanti riguardo ai sentimenti e completamente addormentati riguardo alla volontà. Non facciamoci illusioni in proposito. Abbiamo rappresentazioni di ciò che vogliamo, ma sperimentiamo da desti la volontà soltanto quando questa si trasforma in rappresentazione, quando si delinea come intelligenza. L’uomo comune non sa oggi nulla di quanto accade nelle profondità dell’essere umano allorché solleva anche soltanto una mano, ossia quando mette in moto la sua volontà. Ciò significa che il mistero della volontà è praticamente del tutto sconosciuto all’uomo di oggi; ciò dipende in realtà dal fatto che tutta la nostra cultura attuale, in particolare modo quella che si è affermata a partire dal XV secolo, è una cultura intellettualistica, una cultura della ragione; anche la cultura scientifica è infatti una cultura intellettuale. La volontà gioca un ruolo minimo in tutto ciò che afferriamo con l’intelletto, in ciò che pratichiamo con la ragione. Quando pensiamo, quando elaboriamo delle rappresentazioni, vi è naturalmente coinvolta anche la volontà, ma in una forma molto raffinata. L’uomo non si accorge di come la volontà pulsi nell’attività immaginativa o comunque di come essa agisca entro il suo essere; egli appunto non lo sa. Il mistero della volontà non è svelato agli uomini dei tempi moderni, in un certo senso a causa della cultura esclusivamente intellettualistica di oggi. Se dunque ci si appresta all’analisi della volontà con i mezzi offerti dalla scienza dello spirito, di cui vi ho qui sovente parlato, ovvero se si cerca di destare, con l’aiuto della immaginazione e della ispirazione, le forze che sono in grado di penetrare nel processo che viene mosso quando l’uomo vuole, ci si accorge che nel nostro corpo fisico tra la nascita e la morte la volontà è legata non a processi costruttivi, bensì a processi distruttivi. Ne abbiamo parlato sovente. Se nel nostro cervello si verificassero unicamente processi costruttivi, se vi si verificasse soltanto quanto è prodotto ad esempio dalla nutrizione assimilata dalle forze vitali, non potremmo sviluppare una vita dell’anima e dello spirito per mezzo dei nervi e del cervello; l’elemento animico e quello spirituale si insediano in ciò che si distrugge solamente grazie al fatto che nel nostro cervello sono in corso processi di demolizione, dì distruzione. La volontà agisce proprio in questi. La volontà umana è sostanzialmente qualcosa che in parte lavora per la morte dell’uomo già durante la vita fisica. Stiamo sempre morendo nell’organizzazione del capo, moriamo in ogni istante. Viviamo solamente grazie al fatto che la nostra restante organizzazione agisce di continuo in contrasto con la morte del capo. Ciò che è attivo nella morte del capo è innanzi tutto la volontà. Nel nostro capo ha luogo di continuo lo stesso processo che, indipendentemente da noi, si verifica nel cosmo quando abbiamo attraversato la morte fisica. In quanto individualità umane ed in quanto entriamo attraverso la soglia della morte nei mondi animico-spirituali, il nostro cadavere in realtà non ci riguarda; ma questo cadavere riguarda invece molto da vicino il cosmo; esso viene infatti in qualche modo consegnato agli elementi della terra (non ci interessa ora se per mezzo della cremazione o della sepoltura); qui esso prosegue a modo suo la stessa azione condotta parzialmente dalla nostra volontà, tra nascita e morte, nel sistema dei nervi e dei sensi. Pensiamo ed immaginiamo grazie al fatto che la volontà distrugge in noi qualcosa. Consegniamo alla terra il nostro cadavere e la terra intera “pensa ed immagina”, con l’aiuto del cadavere in decomposizione, il quale continua solamente lo stesso processo che noi compiamo durante la vita. Ciò che si svolge di continuo nella terra (alcuni mesi or sono ve l’ho caratterizzato da altri punti di vista) grazie alla reciproca azione tra l’elemento terreno originario e ciò che ha luogo nella terra grazie all’unione con i corpi morti degli uomini, è un’attività identica nel genere all’attività volitiva che in noi si esplica continuamente tra la nascita e morte in modo inconscio nei processi di demolizione e di distruzione, operando in modo “cadaverico” nel nostro sistema dei nervi e dei sensi. Tra la nascita e la morte entro i limiti della nostra pelle agisce distruggendo, unendosi al nostro io, la stessa volontà che
agisce cosmicamente tramite il nostro cadavere, nell’attività di pensiero e di rappresentazione della terra intera, allorquando le abbiamo appunto consegnato il nostro cadavere. Siamo così legati cosmicamente a quanto si potrebbe chiamare il processo animico-spirituale dell’intero essere della terra. Questa immagine è importante; colloca infatti concretamente l’uomo nell’elemento cosmico della nostra esistenza terrena. Ciò dimostra quanto la volontà umana sia affine a ciò che le forze di morte producono nella nostra esistenza terrena; mostra l’affinità della volontà umana con il modo in cui agisce la volontà cosmica universale entro l’esistenza terrena, nel distruggere, nel causare condizioni di morte. Ma come la nostra evoluzione nel mondo spirituale, dopo aver attraversato la soglia della morte, dipende dal fatto che non abbiamo più il cadavere, che non operiamo più con queste forze, bensì con altre, così la proficua evoluzione di tutta la terra dipende dal fatto che l’umanità di questa terra si unisca distruzione, bensì vitali, le quali si sviluppano in senso diverso rispetto alle forze di morte. Esprimere queste cose all’umanità di oggi, piena di intenti e sentimenti personali, è già in fondo piuttosto amaro; la serietà di una simile verità viene infatti oggi percepita in modo molto limitato. L’umanità ha infatti disimparato a considerare le grandi verità con la serietà con cui dovrebbero essere prese. Bisogna pur tuttavia chiedersi ancora: “com’è dunque connesso quanto giace nella volontà umana, nel modo che ho descritto, ai processi distruttivi della natura esterna? In che modo quanto ho illustrato come il vero carattere della volontà umana è collegato con i processi distruttivi della natura esterna?”. Vedete, è proprio qui che ritroviamo, direi, la più grande illusione dell’umanità dei tempi recenti. Cosa fa infatti in realtà l’uomo di oggi quando volge lo sguardo alla natura? Egli dice: “ecco un processo naturale in corso. Prima d’esso se n’è svolto un altro, che ne costituisce la causa; prima di questo un altro ancora, che ne è a sua volta la causa”. L’uomo moderno trova così nella natura una catena di cause e di effetti ed è molto orgoglioso quando riesce a capire il mondo esterno in questo senso, ossia seguendo il filo conduttore della causalità. Cosa avviene allora? Chiedetelo, appellandovi alla loro coscienza, ad un geologo, ad un fisico, ad un chimico o ad un altro scienziato ortodosso di oggi; egli avrà sovente timore di trarre le conseguenze ultime della sua visione del mondo; ma chiedetegli se non dovrebbe piuttosto immaginare che la terra, com’è oggi in quanto terra (o le pietre, le piante ed anche molti animali) non si sarebbe evoluta proprio come è avvenuto se l’uomo non fosse esistito. Non si costruirebbero case, né macchine, non si costruirebbero aratri per bufali e tori e via dicendo; tutto il resto, però, che non viene percepito oggi come prodotto dall’uomo, dovrebbe esistere dall’inizio alla fine anche se l’uomo non fosse esistito, poiché nella natura esteriore sussisterebbe una catena di cause e di effetti. Secondo la visione che se ne ha oggi, quanto segue sarebbe la conseguenza di ciò che è venuto prima, e l’uomo non parteciperebbe in realtà al formarsi di tale catena. Questa concezione ha in sé il medesimo errore che avrebbe la concezione seguente. Guardate, alla lavagna scrivo semplicemente la “Voglio analizzare scientificamente quanto trovo scritto qui sulla lavagna. Cominciando dal fondo, abbiamo come prima lettera la j. Essa deriva dalla W. Prendiamo ora la W, che deriva dalla W che precede, la W dalla L, e la L dalla precedente F. Abbiamo ogni volta l’effetto della causa che precede. La j è effetto della W, la W dell’altra W e così via. Vedete bene che ciò è assurdo. Ogni lettera ha origine unicamente per il fatto che io l’ho scritta, e certamente la lettera che precede non ha prodotto quella che segue. È dunque completamente assurdo dire che la lettera che precede è la causa di quella che segue, che quella che precede produca quella che segue. Un’analisi approfondita e scevra da pregiudizi dell’essenza dei fenomeni naturali ci conduce alla medesima convinzione. Abbandonandoci alle grandi illusioni della scienza moderna, diciamo che gli effetti sono la conseguenza delle relative cause. Ma non è così. Le vere cause vanno ricercate altrove, cosi come dobbiamo ricercare la causa della successione delle lettere nel nostro intelletto. E dove risiedono, le cause dell’accadere naturale in generale? Lo si può stabilire soltanto per mezzo della concezione spirituale. Le cause risiedono nell’umanità. Sapete dove dovete volgere lo sguardo se volete riconoscere le cause reali dell’evoluzione naturale della terra? Dovete analizzare in che modo la volontà umana, che rispetto alla coscienza di oggi resta profondamente nell’inconscio, è collocata al centro del corpo umano, ossia nell’addome. Nel capo umano è attiva solamente una parte della volontà; la parte più significativa della volontà è centrata nell’altra organizzazione dell’uomo. E quanto entra nell’esistenza come processo naturale esteriore dipende dal modo in cui l’uomo si trova in relazione con la sua volontà inconscia Sinora abbiamo potuto addurre un unico caso significativo per l’evolversi della natura, ma lo stesso vale per l’intero corso naturale. Vi ho fatto sovente notare che in epoca atlantica l’uomo si era dato ad una specie di magia nera. Conseguenza ne fu la congelazione del mondo civilizzato. In senso più ampio, l’evoluzione della natura è in realtà la conseguenza dell’attività volitiva non del singolo uomo, bensì del concorso di diverse forze di volontà nell’ambito dell’umanità, le quali provengono dai baricentri umani. Se un essere adeguatamente evoluto volesse studiare la terra ed il suo corso, partendo, diciamo, da Marte o da Mercurio, tale essere non descriverebbe la natura come farebbe l’uomo che vuole essere erudito, ma abbraccerebbe la terra con uno sguardo e direbbe: “laggiù vi è la terra; vi sono molti punti ed in questi sono accentrate le forze che causano il corso della natura”. Per lui questi punti non sarebbero però nella natura, bensì sempre dentro agli uomini. Colui che volesse guardare dall’esterno, avvertirebbe che, volendo ricercare le cause di quanto avviene nei processi della natura, dovrebbe guardare nell’interiorità dell’umanità. Comprendere la connessione tra la volontà umana ed il corso naturale in generale (l’errore può sorgere ovviamente soltanto osservando i processi della natura senza andare più in là del proprio naso, poiché allora la connessione non risulta davvero), tra gli effetti della volontà – della direzione della volontà dell’umanità – ed il corso della natura dovrà divenire per l’umanità parte integrante della scienza futura. Con una scienza del genere l’uomo si sentirà responsabile per ciò che egli è in modo completamente diverso da quanto non faccia comunemente oggi. Da cittadino della terra l’uomo diverrà cittadino del cosmo. Imparerà a considerare il cosmo come qualcosa che gli appartiene. Riflettete però su ciò, che non appena si richiama l’attenzione su cose del genere, il sapere di esse si fa spazio in noi. Questa conoscenza non agisce in modo offuscato, come avviene per il nostro sapere intellettualistico, ma, essendo tratta dalla realtà in misura di gran lunga maggiore, agisce perciò in modo reale. E proprio perché agisce in modo molto più reale di quanto non faccia il sapere non illuminato dell’umanità attuale, è necessario che l’uomo prenda seriamente quanto gli si dischiude attraverso di essa Non si può da un lato divenire cittadino del cosmo nel senso testé descritto e rimanere dall’altro il filisteo di sempre, formatosi nei secoli scorsi, a partire dalla metà del XV secolo. Non si può volersi inserire coscientemente nei processi del cosmo e ad un tempo sparlare dei propri simili come avveniva in epoca borghese, in occasione di ogni “caffè”. Se deve seriamente giungere la scienza dell’iniziazione, è necessario che regnino allo stesso tempo una moralità diversa, altri impulsi morali. Ciò che ostacola oggi in particolar modo il diffondersi della scienza dell’iniziazione è quanto, nell’errore, favorisce quella che chiamerei l’apparizione di Arimane sulla terra. Ho già accennato recentemente a questo fatto, per caratterizzare in parte la giusta atmosfera festosa di questo Natale; voglio ora riparlarne soltanto brevemente. Retrocedendo nell’evoluzione della terra sino all’VIII secolo a.C., prima della nostra attuale cultura materialistica troviamo la cultura greco-latina. Un paio di secoli dopo l’inizio dell’epoca grecolatina vediamo affiorare quanto si vorrebbe definire come l’antica vita di saggezza della preistoria, già filtrata in Grecia. Nietzsche ebbe in questo senso notevoli percezioni, benché patologiche. Sin dagli inizi della sua attività spirituale egli si sentì nemico di Socrate e non si stancò mai di parlare del valore superiore della cultura presocratica greca rispetto a quella socratica e post-socratica. Non voglio addentrarmi in questo argomento, se non per dire che è indubbio che se con Socrate ebbe inizio, per l’umanità, un’epoca grande, che giunse al suo apice tra il XIV ed il XX secolo, l’era di Socrate è però oggi terminata, e lo è davvero: essa ha infatti estrapolato la logica pura, la dialettica pura dalla precedente saggezza istintiva. L’estrapolazione della logica, della dialettica pura dall’antica saggezza chiaroveggente costituisce la caratteristica della nostra cultura occidentale. Essa ha dato la sua impronta anche al Cristianesimo; anche la teologia occidentale è infatti una teologia dialettica. Ma quanto affiorò in Grecia come dialettica, come spiritualità filtrata fino alla astrazione, risale appunto ai misteri dell’Oriente. In questi misteri vi erano anche coloro che fondarono una cultura (che divenne poi la cultura cinese); tra questi si incarnò la figura di Lucifero. Non dobbiamo nasconderci che lo stesso Lucifero si incarnò un giorno entro un corpo, allo stesso modo in cui Cristo percorre le terra al tempo del mistero del Golgota. Considerando tutto quanto è stato prodotto da Lucifero come una sorta di “noli me tangere” si disconosce però in modo filisteo l’incarnazione luciferica. Da Lucifero è partita ad esempio anche la grandezza della cultura greca, l’arte antica stessa, l’impulso artistico dell’umanità così come lo consideriamo in definitiva anche noi. Soltanto che in Europa tutto ciò si è irrigidito sino a divenire luogo comune, privo di contenuto. Sapienza luciferica era altresì quella attraverso cui in un primo tempo venne compreso il Cristianesimo in Europa. È significativo proprio il fatto che con la saggezza greca, sviluppatasi come gnosi per comprendere il mistero del Golgota, abbia cooperato l’antica sapienza luciferica, dando una forma all’antica gnosi. Il fatto che l’evento del mistero del Golgota si sia rivestito di quanto Lucifero aveva dato all’evoluzione della terra, costituisce per quei tempi la più grande vittoria del Cristianesimo. Ma mentre la cultura di Lucifero va scomparendo, si delinea a poco a poco ciò che predispone la futura incarnazione di Arimane nel mondo occidentale. Quando i tempi saranno maturi (e vi si stanno preparando), Arimane si incarnerà semplicemente in un corpo umano, nel mondo occidentale. Questo evento si dovrà verificare, come pure si è incarnato Lucifero e come si è incarnato il Cristo, poiché ciò è stabilito per l’evoluzione terrestre. La sola cosa che conta è considerare questo evento in modo tale che ci si prepari nel giusto modo; Arimane non agirà infatti unicamente nel momento in cui comparirà sulla terra in veste umana; sin d’ora egli predispone dai mondi soprasensibili la sua apparizione. Egli opera già entro l’evoluzione dell’umanità; dall’aldilà egli ricerca gli strumenti attraverso i quali predisporre quanto dovrà venire. Uno strumento fondamentale perché quanto Arimane dovrebbe portare all’umanità possa avere un effetto positivo (allo stesso modo di Lucifero, anch’egli porterà con sé aspetti positivi) è costituito dal fatto che l’umanità si ponga nei suoi confronti nel giusto modo. Ciò che importa è che l’umanità non si lasci sfuggire dormendo la comparsa di Arimane. Quando un giorno egli comparirà nel mondo occidentale, sui registri comunali si annoterà: “È nato William Smith” (non sarà questo il nome, naturalmente) ed egli verrà considerato un cittadino grassoccio come tanti altri e ci si lascerà sfuggire quanto starà veramente accadendo. I nostri professori universitari non si preoccuperanno di certo affinché ciò non sfugga. Colui che farà allora la sua comparsa sarà per loro William Smith, ma ciò che importa è che gli uomini dell’epoca arimanica sappiano che si tratterà soltanto esteriormente di William Smith, mentre nell’interiorità sarà presente Arimane; è inoltre importante che non ci si lasci ingannare nel valutare quanto avviene, in un sogno illusorio. Già ora non è lecito abbandonarsi ad alcuna illusione sul fatto che si stanno preparando simili eventi. Tra i mezzi più significativi di cui Arimane dispone per agire sulla terra dall’aldilà, vi è quello di promuovere nell’umanità il pensiero astratto. E dal momento che il pensiero astratto è oggi tanto amato stiamo preparando nel modo più favorevole ad Arimane la sua comparsa. Nulla potrebbe meglio predisporre la cattura della terra intera da parte di Arimane, per la evoluzione, che il continuare la vita astratta ed astraente già oggi penetrata persino nella vita sociale. È questa una delle finzioni, uno degli scherzi attraverso cui Arimane prepara, secondo il suo disegno, il suo regno sulla terra. Invece di mostrare oggi agli uomini ciò che ha da venire in base ad un’esperienza completa, si parla all’umanità di teorie generiche, persino di teorie sociali. Coloro che parlano di teorie ritengono astratto proprio quanto si rifà all’esperienza, poiché non hanno alcuna idea della vita. Tutto ciò fa parte del piano voluto da Arimane. Arimane ha però anche un altro modo di predisporre la sua venuta, ossia attraverso, una errata interpretazione dei Vangeli (ed anche qui si tratta di qualcosa che oggi deve venire reso noto). Sapete che oggi vi sono molti uomini, in particolar modo tra i rappresentanti ufficiali delle varie religioni, che combattono radicalmente proprio quanto la scienza dell’iniziazione fa fiorire tra noi per una nuova conoscenza del Cristo. Tali persone, se non sono semplicemente schiave del razionalismo, accettano per lo meno ancora i Vangeli; ma cosa sanno in fondo della vera natura dei Vangeli? Questi sono stati proprio gli uomini che nel XIX secolo si sono serviti per interpretare i Vangeli, del metodo esteriore e laico, storico-scientifico. E che ne è stato dei Vangeli sottoposti al metodo scientifico del XIX secolo? Non si è avuto altro che una graduale materializzazione dell’interpretazione dei Vangeli. Per prima cosa si poterono constatare le contraddizioni dei quattro vangeli messi a confronto. Dalla percezione di tali contraddizioni ebbe in fondo inizio la caduta verso il basso, fino a giungere all’interpretazione di Schmiedel; cosa rappresenta infatti in definitiva nello studio dei Vangeli tutto quanto ci viene dallo Schmiedel di Basilea? (Non intendo il nostro Schmiedel, bensì il teologo, professor Schmiedel). Che cos’è questo, se non ciò che definirei lo scardinamento dei Vangeli? Che cosa cerca dunque il buon Schmiedel nei Vangeli? Egli cerca di dimostrare che essi non sono semplicemente prodotti della fantasia, sorti unicamente per glorificare il Cristo Gesù, e perviene ad un limitato numero di “punti”, i famosi “punti fondamentali” di Schmiedel, nei quali esprime anche cose negative sul Cristo. Secondo lui, se i Vangeli fossero stati scritti solamente per glorificare Gesù, questi elementi negativi non vi sarebbero stati. Si ha alla fine la sensazione che egli si fondi su tutto ciò che di negativo viene attribuito al Cristo Gesù per salvare, di fronte ai Vangeli, almeno un lembo della scienza laica. Anche questo lembo cederà; dalla scienza laica non si potrà ricavare alcunché che serva a dimostrare l’autenticità dei Vangeli nel senso in cui vogliono uomini come questo. Per avere l’atteggiamento giusto nei confronti dei Vangeli si dovrà sapere perché essi sono nati; ciò significa che si dovrà sapere cosa vogliono in definitiva i Vangeli. Lo si potrà riconoscere soltanto fecondandosi veramente con quanto può provenire dalla Scienza dello Spirito. Tuttavia approfondendo i Vangeli ed accogliendone il contenuto e le forze si ottiene un contenuto animico. Nessuna scienza esteriore potrà spiegarci i Vangeli, ma possiamo approfondirli, ricavandone così un contenuto animico. Questo contenuto animico è però una grande allucinazione, per quanto si tratti di un’allucinazione raffinata, l’allucinazione del mistero del Golgota. La cosa più alta che si possa ricavare dai Vangeli è appunto l’allucinazione del mistero del Golgota, né più né meno. Vedete, proprio la chiesa cattolica più recente conosce questo segreto. Per questo essa in fondo non vuole che i Vangeli vengano conosciuti dai profani, poiché teme che si arriverebbe a comprendere che attraverso di essi si può giungere solamente all’allucinazione del mistero del Golgota, ma non alla conoscenza storica di Cristo. Potrei anche definirla immaginazione, poiché l’allucinazione è tanto raffinata da essere una vera immaginazione. Ma attraverso il contenuto dei Vangeli non è possibile ottenere più che un’immaginazione. Qual è la via dall’immaginazione alla realtà? Tale via viene appunto schiusa dalla Scienza dello Spirito, soltanto per mezzo di essa e non di quanto ne sta al di fuori. Ciò significa che l’immaginazione dei Vangeli deve essere elevata a realtà dalla scienza dello spirito. È di estremo interesse per Arimane predisporre la propria incarnazione in modo tale che gli uomini non percorrano tramite la scienza dello spirito il cammino dall’immaginazione dei Vangeli alla realtà del mistero del Golgota. Proprio come Arimane ha il massimo interesse a conservare il senso per l’astrazione, così ha pure il massimo interesse che l’umanità sviluppi sempre più una religiosità che si basa unicamente sui Vangeli. Se riflettete su questo fatto, vi renderete conto che gran parte delle confessioni religiose oggi esistenti non sono altro che una preparazione di Arimane per realizzare i suoi fini nell’esistenza terrena. In che modo ad esempio si potrebbe meglio servire Arimane, se non decidendo di sfruttare un potere di cui si è in possesso per ordinare a coloro che in tale potere credono ed a cui si assoggettano, di non leggere la letteratura antroposofica? Non si potrebbe rendere ad Arimane servizio migliore che il provvedere a che un certo numero di persone non legga la letteratura antroposofica. Vi ho indicato, durante queste considerazioni, quali sono le persone che hanno preso questa decisione. Non è possibile oggi prospettare certi fatti senza riserve rispetto alla luce della verità! Oggi si deve invece riconoscere che l’evoluzione del mondo si trova in un preciso rapporto con i tempi cosmici, delimitati dall’incarnazione luciferica che si verificò, nello spazio e nel tempo, in epoca anteriore al mistero del Golgota. Questo corso viene però ostacolato dall’incarnazione occidentale di Arimane, proprio affinché le forze si rafforzino di fronte all’ostacolo. L’incarnazione di Arimane avrà luogo in un futuro non tanto lontano e può essere addirittura favorita da una culto offuscato dei vangeli o dall’astrazione. Molte persone hanno oggi un interesse interiore a chiudere gli occhi per indolenza di fronte a questa seria realtà. Gli antroposofi non dovrebbero avere un interesse del genere; dovrebbero piuttosto sviluppare un certo impulso a fare il più possibile per diffondere nell’umanità la scienza dello spirito. È del tutto errato che si continui a credere di doversi intendere con persone come Traub. Non ha senso reputare di potersi intendere con individui del genere; essi infatti non lo vogliono. Quel che importa è far luce su queste persone e parlarne al resto dell’umanità. È stato fatto davvero tutto perché possano intendersi con noi. Sarebbe sufficiente che leggessero ed approfondissero senza pregiudizi quanto già esiste. Bisogna distinguere severamente tra la caratteristica di tali esseri nocivi all’evoluzione dell’umanità e le altre persone, di fronte alle quali bisogna presentarsi e parlare di quello che di essi deve avvenire. Il tentativo d’intesa con loro non ha senso né significato; esse infatti propenderanno immediatamente per l’intesa quando non avranno più seguaci che diano loro solidità. Allora vi saranno spontaneamente propensi. Oggi è necessario chiarire agli uomini la loro condizione. Oh, se non serpeggiano sovente proprio tra di noi la disposizione a fare compromessi in questo senso, a non dichiararsi necessariamente con coraggio dalla parte della verità! Non è affatto necessario che ci abbandoniamo all’illusione di poter far in modo di giungere ad un’intesa con chi non ne vuole sapere. Potrebbe forse giovarci? È necessario per noi parteggiare con coraggio per la verità, per quanto sia possibile. Questo è quanto mi pare emergere in particolare dalla conoscenza di quanto è collegato all’evoluzione dell’umanità.
fonte https://mikeplato.myblog.it/2018/05/23/il-mistero-della-volonta/

MAGIA e FILOSOFIA DELLA GOLDEN DAWN


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di Sebastiano Fusco
Il destino talvolta gioca le sue partite su una scacchiera insolita e muove imprevedibili pedine. Con l’avvento dell’illuminismo, con l’imporsi della cosiddetta “dea ragione” germinata nel sangue della barbara e immonda rivoluzione francese, con il prevalere del rozzo positivismo ottocentesco spuntato come una muffa nei maleodoranti gabinetti di chimica degli atenei tedeschi, lo splendore del pensiero magico s’era perso nel mondo, la voce stessa del divino risuonava soltanto fra i banchi di legno unto di chiese decrepite frequentate da vecchie beghine. C’era stata, sì, qualche voce isolata che aveva tentato di far rivivere la sapienza antica. Louis-Claude de Saint-Martin, il “filosofo sconosciuto”, Eliphas Levi, il figlio del ciabattino, e pochi altri: ma tutti inascoltati, tutti alla fine confusi nel loro dire, tutti incapaci di realizzare una sintesi coordinata della massa immensa del sapere occulto che premeva alle loro spalle.
  1. Quando il destino muove i pezzi
Poi, a metà del secondo Ottocento, il destino muove i suoi pezzi, ed ecco la svolta. Nello stesso anno, il 1875, muore Eliphas Levi, nasce Aleister Crowley e il fantasmagorico circo equestre della Società Teosofica comincia il suo viaggio. Non so se qualcuno creda ancora alle coincidenze (io non ci credo): fatto sta che quegli anni, che in seguito certi storici del pensiero bollarono come caratterizzati da una “fuga dalla ragione”, videro il risorgere di una più vasta sensibilità verso quello che poi venne chiamato “il paranormale”. Fantasmi bussavano alle porte dei vivi in salotti poco illuminati, strane apparizioni si mostravano nei cieli, bislacchi poteri venivano attribuiti a personaggi controversi, si ripresentavano dimenticate dottrine d’Oriente e d’Occidente, da ogni dove spuntavano mistagoghi e sedicenti profeti. L’angelo del bizzarro aveva nuovamente aperto le sue ali, ma nessuno ancora sapeva interpretare che cosa si nascondesse alla loro ombra.
Toccò ad una singolare consorteria di eccentrici vittoriani, con barbe fiorite e inamidate marsine, raccogliere in un sol fascio tutte le risvegliate tradizioni che giungevano loro dai luoghi e dai tempi più diversi, per fonderle in una corrente di pensiero unita e coerente. L’eterogeneità delle fonti dottrinarie cui si rifecero quegli straordinari personaggi è pari solo alle reciproche differenze. Difficile immaginare un gruppo più scombinato: impettiti intellettuali come il dottor Robert Woodman e austeri magistrati come Wynn Westcott partecipano a solenni rituali accanto ad attricette ninfomani come Florence Farr o vergini dalla timidezza paralizzante come Annie Horniman. Moira Bergson, sorella di uno dei massimi esponenti del pensiero speculativo, Henri, il filosofo de La Rire, diviene veggente e sposa quello che agli occhi di tutti è un pazzo fanatico, il sedicente sacerdote egizio Samuel Lyddell, che poi si fece chiamare MacGregor Mathers. Un asceta buddhista come Alan Bennett diviene il compagno inseparabile di un personaggio dèdito sin dalla prima giovinezza ad ogni genere di deboscia, come Aleister Crowley. Il più grande poeta di lingua inglese del Novecento, William Butler Yeats, nutrito di fiabe irlandesi e cattolicesimo, conversa con un pastore anglicano integralista come il dottor Ayton, scambiando informazioni sull’elisir di vita (secondo una leggenda, Ayton lo distillò, ma quando infine vi riuscì era ormai vecchio decrepito ed ebbe paura di berlo). Nei templi dell’Ordine, allestiti con ricchezza di addobbi e modellati sulla cripta di Christian Rosenkreutz, assistevano ai riti, paludati nei loro paramenti multicolori, scienziati come l’astronomo reale di Scozia, pittori alla moda, civil servantsreduci da remote plaghe dell’Impero, impiegati d’ordine e di concetto, giornalisti, commercianti milionari (in sterline) e disgraziati poveri in canna. Davvero un incredibile spaccato, tagliato in tutti i sensi possibili, della società vittoriana di fine Ottocento. Folta, fra tutta questa eterogenea umanità, la rappresentanza degli scrittori, in particolare dell’occulto e del soprannaturale. Per questo c’è una ragione, che chiariremo verso la fine di questo breve excursusnell’altrove assoluto. A questo gruppo così singolare che abbiamo descritto fu dato – da un destino le cui vie non oseremo giudicare – di correre la più esaltante delle avventure intellettuali: soffiare sulle braci ancora vive della sapienza magica, sepolte sotto la cenere dei secoli, per farne divampare ancora una volta il fuoco di una dottrina dimenticata.
In inglese Golden Dawn significa letteralmente “alba dorata”: ma, in senso un po’ più profondo, ha il significato che gli alchimisti assegnavano al nome Aurora. Abituati, per tradizione kabbalistica, a ragionare sulle parole, i seguaci di Ermete vedevano in tale nome la radice lessicale aur- da Aurum, l’oro, e la desinenza verbale –or da oriri, sorgere. Abituati inoltre a ragionamenti metaculturali basati sulla convinzione che tutti gli idiomi dell’umanità nascano da un originario Ursprache parlato nella Età d’Oro del mito, prima della confusione babelica, in Aurora vedevano inoltre un richiamo al dio egizio Horus, simbolo della rinascita e del rinnovamento tanto individuale quanto collettivo, ovvero il risorgere del mondo intero in una nuova èra di là da venire. Per gli alchimisti l’Alba d’Oro è il momento in cui il Sole nasce a fugare le tenebre di Apophis, la Notte Nera dell’Anima, e ad annunciare il sorgere glorioso della nuova personalità dell’Adepto, rinata dopo la disperazione della morte cui era stata assoggettata, come in un rito sacrificale, la personalità vecchia. Quest’uomo nuovo è dotato di poteri di percezione ed elaborazione spirituale ben più vasti di quelli dell’uomo comune. È in contatto diretto, senza intermediazioni di alcun tipo, con le immense Forze Magiche che permeano e modellano l’Universo, ed è perciò più vicino a Dio, in quanto totalmente partecipe della Sua volontà, così come essa si esplica nel Tetramundio. Un uomo del genere viene detto Iniziato perché ha ormai fatto il suo ingresso (intus-ire) nelle dimensioni superiori dell’Essere ed è partecipe del Divino.
  1. Le quattro vie dell’iniziazione
Il termine “Iniziazione” è da sempre soggetto ad interpretazioni, ahimé, poco felici. Complice soprattutto il gusto scenografico della massoneria britannica, viene associato a fastose cerimonie, solenni rivelazioni, tremende prove e spaventosi contatti con entità ultraterrene. Tutto questo può anche esserci, ma è pura coreografia: iniziazione significa, semplicemente, fornire a qualcuno i mezzi per iniziare con cognizione di causa un certo cammino.
Quando si parte per un viaggio in un paese che non si conosce, occorre provvedersi di una serie di cose. Innanzitutto, aver chiara una mèta, ad evitare di girare in tondo e perdersi senza arrivare a nulla; poi si ha bisogno di un baedeker, una guida comprendente almeno un dizionarietto essenziale che ci aiuti a comprendere quel che si vede e ad interloquire con chi si incontra; infine, nell’ipotesi che il territorio possa a tratti rivelarsi ostile, occorre premunirsi di un mezzo di difesa. L’iniziazione non è nulla più di questo: la trasmissione delle informazioni necessarie per “iniziare” il viaggio.
A un viaggio del genere si apparecchia, per esempio, il protagonista delle Nozze chimiche di Christian Rosenkreutz, romanzo “iniziatico” quanto mai ve ne è stato uno. La meta gli è stata comunicata: il Palazzo del Re, in cui si celebreranno i mistici sponsali cui è invitato. La guida ce l’ha: le istruzioni ricevute per il cammino e, soprattutto, il Magnete, ovvero la bussola che indica la direzione. Gli sono state fornite anche le difese: la Croce che gli orna il petto e il Sigillo d’oro che reca un simbolo protettivo. Per giungere al Palazzo, attraversando un paese che non conosce, gli si offrono quattro vie. Due sono lunghe, ma piane e scorrevoli; di queste, la prima richiede un’attenzione costante al Magnete, per non sviarsi; la seconda offre tante di quelle distrazioni che i più finiscono per smarrirsi. Delle altre due, brevi, la prima è irta di ostacoli sormontabili soltanto con grande difficoltà, mentre la seconda è adatta unicamente ad esseri indistruttibili. Per iniziare il suo cammino, il protagonista deve scegliere la via che gli sembra più adatta.
Bene, queste sono esattamente le opportunità che offrono le scuole iniziatiche tradizionali. Si dividono in due categorie: da un lato quelle che seguono le vie più semplici ma lunghe, dall’altro quelle che scelgono itinerari brevi ma rischiosi. Le prime due sono dette vie del mistico, si dipanano sotto la luce argentea della Luna e sono rinfrescate dalla pioggia e dall’acqua delle fonti. Le seconde sono proprie del guerriero o dell’eroe: i raggi dorati del Sole le rendono ardenti, i nemici sono ad ogni passo e il fuoco è costante compagno.
La prima via del mistico si percorre da soli; è piana e scorrevole, ma occorre non distogliere mai gli occhi dall’ago magnetico: basta un nulla per perdersi in una foresta dalla quale non c’è via d’uscita; la seconda gode di compagni di viaggio che seguono la stessa strada e attraversa splendidi panorami, ma c’è il rischio che la compagnia diventi tanto piacevole e i luoghi visitati tanto gradevoli da far smarrire il desiderio stesso di giungere alla meta. L’eroe e il guerriero scelgono invece le vie brevi e difficili e le percorrono senza compagni né scudieri. Il primo si affida alla propria forza interiore per superare gli ostacoli e gli avversari, ed è esattamente questo il cimento che lo qualifica come eroe. Il secondo si apre la strada grazie alle armi di cui s’è munito: ma è un rischio tremendo, perché quegli stessi strumenti possono rivolgersi contro di lui.
Fuor di metafora, le vie lunari sono quelle in cui l’apertura della propria coscienza viene ottenuta con una lenta maturazione interiore, che si opera mercè un regime di vita opportuno e con un’adatta coltivazione dello spirito attraverso operazioni mentali, ovvero le varie forme di concentrazione, meditazione e contemplazione di simboli specifici. Chi trasmette le istruzioni iniziatiche fissa le regole da seguire, che in genere prevedono un’applicazione costante per molti anni, perché la via è lunga. Queste norme cambiano a seconda delle atmosfere culturali e dei retaggi sapienziali, ma hanno tutte lo stesso scopo: conferire all’adepto, se vogliamo chiamarlo così, la possibilità di apprendere sempre più cose nel corso del suo iter, sino a pervenire alla conoscenza dei mondi ulteriori, all’interazione con le entità che li popolano e all’esplicazione della propria Volontà, opportunamente coltivata su tutte le molteplici dimensioni dell’essere. Si può viaggiare da soli: ma occorre stare attenti e seguire sempre alla lettera le istruzioni ricevute (l’ago della bussola), perché ogni deviazione potrebbe far smarrire il delicato equilibrio psicofisico che l’adepto va progressivamente consolidando. Se si osserva questo, la via non presenta ostacoli, ma ha uno svantaggio: inevitabilmente, si percorreranno le orme di altri che ci hanno preceduti, non si potranno fare mai scoperte originali ma si potrà soltanto avere la prova che certe cose che abbiamo letto, o che ci sono state comunicate, sono vere e conformi alle testimonianze di chi ha seguito le stesse tappe prima di noi. Molte scuole iniziatiche fanno esattamente questo – e sono consolidate proprio perché quanto affermano è verificabile.
Altre scuole, specie quelle derivate da sviluppi esoterici di fedi religiose, prevedono invece che l’adepto non sia solo durante il cammino, ma che il viaggio sia un’avventura collettiva che coinvolge tutta una comunità. Questa via prevede in genere complessi ritualismi, diversi obblighi di tipo cerimoniale e varie liturgie. Apre splendide visioni che tuttavia possono distrarre, sino a divenire il fine del viaggio, anziché un’esperienza di passaggio. È la via favorita da quei mistagoghi che, offrendo il miraggio della trascendenza, si ergono a santoni per assumere il controllo delle coscienze. Per questo, le Nozze Chimiche ammoniscono che soltanto uno su mille fra coloro che s’inoltrano su tale via ha la possibilità di giungere alla meta. Gli altri finiscono per giocare con se stessi e conseguire un falso appagamento nei riti e nella socialità, quando non si trovano invischiati in pericolose azioni trasgressive, come quelle ispirate da tanti personaggi carismatici che ogni tanto s’affacciano alla cronaca.
Le due vie solari, dal canto loro, sono brevi perché caratterizzate dalla violenza. Non agiscono come l’acqua (il menstruum o fluido lunare) che discioglie lentamente le resistenze interiori poste ad impedire alla consapevolezza umana di prendere contatto con l’altra realtà, ma sono come un fuoco che divampa e distrugge o una forza subitanea il cui urto manda in pezzi il guscio dell’anima, come la sfera d’acciaio che sbriciola il palazzo destinato ad essere abbattuto. In questo caso, le istruzioni iniziatiche sono volte ad accrescere a poco a poco la solidità dell’Io, in modo che questo ultimo sia in grado di resistere all’impeto della forza applicata senza finire anch’esso in pezzi. Il prosieguo del cammino è sempre così: vi sono ostacoli da superare (la nostra coscienza è protetta da spesse stratificazioni) che vengono di volta in volta affrontati di petto dopo essersi adeguatamente rafforzati.
Si può tuttavia esser tentati di bruciare le tappe scegliendo la seconda via solare, quella che le Nozze definiscono adatta soltanto agli esseri indistruttibili. Essa prevede che l’apertura della coscienza si attui anche con l’ausilio di mezzi esterni, ovvero l’assunzione di droghe specifiche o l’impiego di quelle forze che si liberano nell’orgasmo sessuale. È una via estremamente pericolosa perché nessuno sa in anticipo come il proprio Io potrà reagire all’applicazione di questi sistemi. Per fare un paragone, è come liberare la furia del berserker senza però scatenarla in una battaglia cieca ma guidandola fermamente e lucidamente. Gli alchimisti definivano droghe, sesso e sistemi analoghi col termine di “acque corrosive”, perché non agivano sciogliendo lentissimamente il guscio interiore ma lo corrodevano come un getto d’acido, spezzandolo di colpo. È la via più pericolosa, ma è anche la più antica, la prima praticata dall’umanità: risale all’esperienza sciamanica (residuo, ci dicono i tradizionalisti, di pratiche cultuali risalenti a remote civiltà scomparse) che era affidata soltanto ad individui a ciò predestinati. Si trasferì poi nei Misteri dell’antichità, come quelli di Eleusi, e nelle pratiche di certe congregazioni, come alcune sette del Tantrismo, dove era sottoposta alla vigilanza di classi sacerdotali appositamente addestrate. Ma fu trasmessa anche a diverse società iniziatiche, ed è attraverso di esse che è giunta fino a noi. Per la sua pericolosità, è tuttavia una pratica sulle cui specifiche operative è sempre stato richiesto il segreto, e sono scarsi e confusi gli accenni che se ne fanno nella letteratura magica corrente.
La distinzione fra pensiero magico e religioso è sottile ma, almeno per quanto riguarda le Tradizioni d’Occidente, può essere rimarcata nel fatto che la Magia prevede un atteggiamento sostanzialmente gnostico: ossia, affida la prospettiva d’elevazione individuale alla Sapienza (Sophia), non vedendola come semplice frutto della Fede (Pistis), che è libero dono di Dio. In altre parole, per il mago l’elevazione va duramente conquistata con un aspro tirocinio (Gnosis) in questa vita e non può essere vista, come per il fedele, come la prospettiva d’un premio certo dopo la morte fisica conseguente all’accettazione del dono divino e all’adeguarsi ad una serie di precetti di comportamento fissati dai preti. L’ingresso nel Paradiso degli Eroi – essi dicevano – si trova all’ombra delle spade: vi si perviene dopo una feroce “guerra santa” contro tutto ciò che contrasta il cammino – principalmente noi stessi.
Per questo, tutte le religioni “del libro” – sia esso libro la Torah, i Vangeli, il Libro di Mormon o i manuali di Scientology – sono ferocemente avverse al pensiero magico. Quest’ultimo prevede infatti lo sviluppo al massimo grado delle facoltà di pensare e di volere autonomamente da parte dell’adepto: e tali facoltà sono esattamente quelle che i “sacerdoti del libro” ritengono sia loro specifico mandato indirizzare e modellare, in nome di un Ente superiore del quale si pongono come i soli autentici interpreti. Nulla di ciò nella Magia, nella quale la parola chiave è libertà: libertà di scegliersi da soli il proprio cammino, libertà di eleggersi le guide che si desiderano, libertà di scavare nel proprio animo, affrontando ad occhi aperti ciò che vi si nasconde, libertà di individuare la propria meta. Di certo voleva significare questo Samuel Lyddell MacGregor Mathers, il vero fulcro della Golden Dawn delle origini, quando, come proprio motto, scelse la splendida frase Deo Duce, Comite Ferro: “Dio come unica guida, la Spada come sola compagna”.
  1. L’alba di un nuovo giorno
Non so se i dotti vittoriani britannici che fondarono l’Ordine Ermetico dell’Alba Dorata lo abbiano presagito (non mi stupirebbe), ma la loro opera fu davvero l’alba di un giorno nuovo. Le scaturigini della sapienza cui si rifecero erano diverse quanto erano diversi, come già accennato, coloro che le accolsero: la Kabbalah faticosamente decifrata sui testi originali (era ancora bene al di là da venire Gershom Scholem per dare dignità filologica a questi studi); la teurgia degli Oracoli Caldei reinterpretata da Proclo, Porfirio e Plotino; le conversazioni angeliche del dottor Dee nella sconosciuta lingua enochiana, dissepolte dai polverosi manoscritti nascosti nel British Museum; le filosofie e i sistemi magici induisti, cinesi e tibetani, riportati in auge dalla Società Teosofica; l’alchimia, riscoperta dallo studio dei grandi maestri inglesi come Filalete, Ripley e Fludd; la Magia Cerimoniale, estratta dai grimori pseudo-salomonici, la Chiave e il Lemegeton; e, ancora, l’ermetismo del Pimandro, i Tarocchi, le tecniche di veggenza ed estroflessione del Sé, le tradizioni egizie o presunte tali, le sapienze rosicruciane… Un catalogo infinito, un’immensa biblioteca di Babele dell’Occulto. Il miracolo è che da tutto ciò sia uscito un sistema non soltanto coerente, ma soprattutto efficace per la coltivazione dell’Io vero, che è l’autentico obiettivo dell’autentica Magia.
Non so, non voglio sapere, se vi sia stata una suprema Mano nascosta dietro tutto ciò. I documenti non ce lo dicono, le leggende sono contraddittorie, le testimonianze incoerenti e in più il tempo ha compiuto efficacemente la sua opera. I capi dell’Ordine – soprattutto MacGregor Mathers, che ne fu la vera anima e fu il principale autore della sintesi da cui scaturirono i mirabili rituali che scandivano per l’adepto i passi del cammino iniziatico – sostenevano di essere in contatto con quei Superiori Incogniti che erano le vere fonti della dottrina. Ma questo era un espediente consueto in tutte le società occulte, dalla massoneria esoterica alla teosofia. Anche l’inquietante madame Helena Petrovna, maritata Blavatsky, diceva la stessa cosa nell’elargire le sue Verità Supreme su cui venne fondata la Società Teosofica. Forse, in qualche misterioso intermundio, vi sono separati collegi di Superiori Incogniti che si scelgono i loro discepoli fra i mortali, secondo criteri a noi incomprensibili, e ad alcuni di essi rivelano il vero, ad altri propinano sogni assurdi.
C’è tuttavia un metodo infallibile per discernere il grano dal loglio, separando i veri dai falsi profeti. Questo metodo ce l’addita l’autorità dell’Evangelio: “Dai loro frutti, voi li riconoscerete” (Matteo, 7:16). E non c’è alcun dubbio che i frutti elargiti ai Maghi della Golden Dawn appaiano colti dagli alberi stessi del Gan Eden, profumati melograni ricolmi di gemme provenienti dal mistico frutteto del Pardes Rimmonim. Chiunque li abbia assaggiati può testimoniarlo.
Chi si accosta al mistico banchetto e accoglie i raggi dell’Alba d’Oro ne esce trasformato, non è più la persona di prima. Soprattutto, è in possesso di mezzi trascendenti per accrescere in modo mirabile la propria personalità, la propria spiritualità, il proprio intelletto (questo ultimo inteso come strumento per acquisire la vera conoscenza). Dal punto di vista kabbalistico, gli vengono consegnate le chiavi per aprire le Cinquanta Porte di Briah: sarà lui, poi, a scegliere quali serrature tentare, quali soglie attraversare. E potrà farlo da uomo libero, perché nessuna ideologia condizionante gli sarà impressa per pilotare le sue scelte. Anzi, si sarà sbarazzato delle pastoie, se c’erano, che ne imbrigliavano la volontà.
Uomini, nonostante tutto, del positivismo, i sapienti della Golden Dawn organizzarono un’architettura mirabile per dispensare le loro conoscenze: diedero cioè, di fatto, al loro Ordine la struttura di un college universitario, la suprema istituzione docente della civiltà britannica. Vennero istituite delle vere e proprie Facoltà, ciascuna con un suo Decano, per impartire i diversi insegnamenti: Simbolismo, Kabbalah, Veggenza, Magia Cerimoniale, Dottrine Rosa+Croce, e così via. Venne stabilito un preciso cursus studiorum, organizzato su cicli di lezioni ed esami periodici per impartire le diverse nozioni e verificare l’apprendimento dei partecipanti. Il superamento degli esami scritti, orali e pratici (come si fa per esempio nelle facoltà di Chimica o di Fisica, che prevedono anche prove di laboratorio) segnava il passaggio dei discepoli da un ciclo di studi all’altro, ovvero il loro avanzamento nei Gradi dell’Ordine. Il passaggio di grado degli adepti veniva celebrato con magnifiche cerimonie d’iniziazione, il cui profondo significato simbolico era esso stesso fonte di mirabile dottrina.
Nella scelta di quei maghi vittoriani di costituirsi come “università dell’occulto” in fondo non c’è nulla di strano. Le associazioni iniziatiche si evolvono di pari passo con la società e, di volta in volta, adottano procedure e simbologie idonee al contesto culturale in cui si muovono. Per questo certi testi antichi ci appaiono oggi incomprensibili: non perché volessero deliberatamente celare certe verità ma perché adottavano un linguaggio specifico che va studiato per essere compreso, come si studierebbero il cinese o l’industano. L’uso del simbolo non serviva a nascondere ma a far capire meglio il portato dell’insegnamento: se non lo comprendiamo, ciò accade soltanto perché oggi i simboli hanno assunto un valore diverso. Non c’è bisogno di nascondere deliberatamente al “profano” certe verità, perché egli non sarebbe comunque in grado di capirle e, in ogni caso, non gli interesserebbero: inutile celare le verità dello spirito a chi bada soltanto al proprio portafogli, al ventre o ai genitali. Lo stesso Evangelio, allorché esorta a non offrire perle ai porci (Matteo, 7:6), non allude al pericolo che essi possano mangiarsele o profanarle, ma semplicemente all’inutilità di porgere qualcosa di prezioso a chi desidera soltanto immondizia. L’obbligo del segreto veniva in genere osservato soltanto nei confronti delle pratiche più pericolose: quelle, cioè, che, se messe in opera da parte di persone non adeguatamente preparate, potevano generare una disgregazione psichica. Eminenti fra queste erano le istruzioni relative all’uso delle acque corrosive, che di solito venivano trasmesse oralmente, da iniziatore ad iniziando, e solo quando ve ne fosse effettiva necessità.
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  1. L’immaginazione secondo Paracelso
Paracelso affermava che un grande potere d’immaginazione è l’ingrediente fondamentale di ogni operazione magica. Sapeva, ovviamente, quel che diceva, perché il mago deve ricostruire nel proprio pensiero simboli e procedure, operando in un particolare stato della mente, se vuole portare ad efficacia il rito che compie. I sapienti della Golden Dawn erano perfettamente d’accordo su questo. Sottolineavano tuttavia come il grande esoterista rinascimentale non parlasse semplicemente di immaginazione, ma ad essa aggiungesse il termine potere. Questo perché l’immaginazione efficace in magia non è la semplice elaborazione fantastica, l’oziosa divagazione cui tanto spesso ci abbandoniamo per evadere dalla noia, quanto piuttosto uno specialissimo potere della mente che va individuato, coltivato e, soprattutto, rafforzato con la volontà.
Grazie alla immaginazione accoppiata alla volontà la nostra fantasia assume vere e proprie capacità creatrici, nel senso proprio del termine: ovvero, elabora su piani più alti delle realtà “forme-pensiero”, che possono essere caricate di poteri magici ed anche visibilmente evocate. Questa procedura è molto complessa, richiede un lungo tirocinio da parte dell’operatore e prevede faticosi e ripetuti esercizi di concentrazione, meditazione e contemplazione (termini che non sono sinonimi ma individuano ben precise operazioni spirituali). Il tirocinio parte dal corpo, si esplica con la mente e si fissa nello spirito. Soltanto così potrà essere efficace, realizzando la compiuta operazione magica. Il corpo si addestra con esercizi simili a quelli dello yoga. La mente viene appunto allenata con pratiche di concentrazione, meditazione e contemplazione affinché, grazie all’immaginazione creatrice, possa dar vita a strutture ed entità autonome sui piani superiori dell’essere. Quindi, la coscienza di sé del mago e le sue facoltà intellettuali vanno trasferite nello spirito, che è una dimensione più rarefatta del suo essere, nella quale la volontà rettificata agisce come un atto puro. L’operazione è detta “trasferimento del senso di sé nel cuore”.
Grazie a queste esperienze, l’Io dell’operatore subisce una vera e propria trasmutazione alchemica e acquisisce nuove capacità di percepire ed operare. Era questo il senso che gli alchimisti davano all’espressione simbolica “trasmutare la materia vile in Oro”, ovvero innalzare la personalità ordinaria ad una nuova e più alta forma di coscienza. Immaginazione e volontà sono i due cardini di tutta l’operazione: nella Golden Dawn s’insegnava come coltivare e sviluppare queste facoltà con procedure apposite, spesso molto elaborate. A corollario di queste pratiche, l’immaginazione dell’adepto veniva stimolata particolarmente, specie con una pratica detta “veggenza”: trattavasi della capacità di spostare la propria coscienza percettiva, svincolata dal corpo, su piani simbolici ultraterreni, ed entrare in conversazione con le entità che li popolavano. Ciò che emergeva da queste pratiche era, per uno scrittore del fantastico, una materia narrativa già quasi preformata. Nessuna meraviglia, quindi, che per l’associazione magica vittoriana abbiano sentito attrazione scrittori già affermati, esordienti o aspiranti, o persone dall’immaginazione vivida che al contatto con tali esperienze scoprirono la propria vocazione narrativa.
L’elenco di tutte le persone di cui sia certa l’affiliazione alla Golden Dawn, o ad una delle sue incarnazioni successive, è compreso nel settimo volume della raccolta di testi completi della società esoterica, da me curato nel 2007 per le Edizioni Mediterranee (Insegnamenti magici della Goilden Dawn, in tre volumi, che si aggiungono ai quattro curati molti anni prima sempre dal sottoscritto insieme a Gianfranco de Turris). Scorrendolo, saltano subito agli occhi i nomi di importanti personalità della letteratura, a partire dall’irlandese William Butler Yeats, il poeta visionario che fu una delle voci più alte della letteratura in lingua inglese di tutti i tempi. Per lui, l’esperienza mistica nella Golden Dawn fu cruciale, circostanza che la critica ortodossa, accecata come al solito dal materialismo/razionalismo, ha compreso soltanto da poco. Il suo “nome magico” nell’associazione era piuttosto significativo: Daemon Est Deus Inversus. Ma, su un piano inferiore e ristretto alla narrativa fantastica, troviamo altri nomi di grande spessore. Innanzitutto, quello di Arthur Machen (aveva assunto due nomi, in due logge diverse, vale a dire Filius Aquarii e Avellaunus). Poi Algernon Blackwood (Umbram Fugat Veritas), che H. P. Lovecraft considerava fra i massimi, se non il maggiore, fra gli scrittori del soprannaturale. E poi ancora John William Brodie-Innes, i cui romanzi sulla stregoneria e il folklore scozzese godettero di enorme popolarità all’inizio del Novecento; Violeth Firth, più nota con lo pseudonimo Dion Fortune, direttamente mutuato dal suo nome magico Deo Non Fortuna; Mabel Collins, che fu anche membro eminente della Società Teosofica; Edith Nesbit, poetessa, disegnatrice e scrittrice di enorme successo; William Sharp, che insieme a Yeats fu una delle figure eminenti del movimento letterario noto come Celtic Revival; Alfred Percy Sinnett, romanziere, saggista e autore teatrale che fu figura eminente della Società Teosofica; Charles Williams, che con C. S. Lewis e J. R. R. Tolkien fu uno degli “Inklings”, un gruppo selezionato di intellettuali che soleva incontrarsi informalmente nell’appartamento di Lewis a Magdalen per discussioni letterarie e filosofiche, e ci ha lasciato alcuni romanzi di straordinaria profondità e bellezza. Le brevi biografie di questi autori, che ne mettono in luce i legami con la Golden Dawn e le sue filiazioni, sono incluse nell’opera a mia cura citata in precedenza. L’elenco potrebbe continuare con molti altri di minore rilevanza, che magari pubblicarono una sola opera narrativa direttamente ispirata dalle loro esperienze “magiche”. Potrebbe essere infoltito da altri ancora che si espressero sul piano della saggistica, con testi spesso di fondamentale rilevanza (un nome fra tutti, quello di Arthur Edward Waite), e diventerebbe una lista strabocchevole se vi aggiungessimo i pittori, illustratori e disegnatori la cui arte si rifece alle visioni ottenute con i sistemi di “viaggio astrale” insegnati nella Golden Dawn. Non siamo poi neppure certi che i nomi compresi nell’elenco noto siano tutti quelli inseribili: di molti autori, come Meyrink, Dunsany ed Eddison, si parla di una loro affiliazione alla società magica sotto pseudonimo, ma nessuna prova certa è mai emersa, in questo senso. D’altra parte, molti dei nomi compresi nell’elenco sono risultati non corrispondere ad una persona reale e non si sa chi vi si nascondesse.
Per capire il motivo di tanta presa sull’immaginazione letteraria delle pratiche visionarie della Golden Dawn, fondamentale è il ricorso alla “magia enochiana” di John Dee. Fra tutti i meriti ascrivibili alla Golden Dawn nella rinascita della Magia nel mondo moderno, uno dei più importanti è infatti l’aver riportato in auge il metodo di “conversazione angelica” cui si affidò per lunghi decenni della sua vita uno degli occultisti più grandi di tutti i tempi, il dottor John Dee (1527-1608), astrologo di corte della regina d’Inghilterra Elisabetta I nonché matematico, geografo, filologo, esperto militare e agente segreto per conto della Corona. Non sappiamo attraverso quali vie tale sistema, estremamente complesso ed elaborato, sia giunto sino a lui. Il dottor Dee disse che gliel’avevano comunicato gli angeli stessi attraverso un suo medium, tale John Kelly, personaggio dalla fama poco raccomandabile, che all’età di soli ventiquattro anni ebbe gli orecchi mozzi quale falsario di moneta. Comunque sia, il sistema si rivelò di un’efficacia spettacolare. Non sto a descriverlo, ma vorrei far notare come i sapienti dell’Ordine abbiano elaborato un modo del tutto diverso da quello di John Dee per interrogare gli angeli. Mentre il mago elisabettiano li invocava per poi farli presentare davanti a sé in presenza visibile all’interno di un cristallo, e porre loro domande ricevendone risposte mediante un codice complicatissimo, i veggenti della Golden Dawn andavano invece a consultare tali entità recandosi a trovarle a casa loro. In sostanza, usavano le cosiddette Tavole Enochiane (un’articolatissima “carta geografica” dei Mondi Ulteriori, in cui ogni regione ospita una classe particolare di esseri e creature ed è preposta ad una specifica intermediazione con il mondo di qua) come una griglia attraverso cui far scivolare la propria coscienza di sé, andando a compiere visite stupefacenti nei più diversi distretti dell’Altra Realtà.
fonte https://mikeplato.myblog.it/2018/05/22/magia-e-filosofia-della-golden-dawn/