La cosiddetta “culla del Diritto” ha partorito un altro capolavoro: grazie al Decreto “Salva Ilva”, licenziato con grande strepito da Renzi, quell’azienda non dovrà pagare un euro alle centinaia di parti civili che erano già state ammesse al processo. È accaduto all’udienza preliminare, quando il Gup Vilma Gilli ha accolto la richiesta dei legali dell’Ilva di escluderla dal novero dei responsabili civili dei misfatti venuti alla luce con l’inchiesta “Ambiente svenduto”.
Inutile ricostruire i bizantinismi delle norme che lo hanno permesso, vi annoieremmo oltre che disgustarvi, il nocciolo è che in caso di condanna penale (praticamente certa, vista l’enorme mole probatoria a carico), i parenti delle vittime uccise dal cancro indotto dalle attività di quella fabbrica maledetta, gli allevatori che si sono visti abbattere gli animali perché contaminati, i miticoltori rovinati dalle acque inquinate, gli operai della fabbrica costretti a lavorare in quell’ambiente infernale e gli stessi abitanti del quartiere Tamburi, il più vicino, che hanno vissuto e vivono in ostaggio dei fumi e delle esalazioni dell’impianto, tutti, non avranno alcun risarcimento. Nulla!
Per darvi un’idea del valore di cui si parla, le richieste complessive di tutta quella gente, a cui s’erano accodati Enti Locali, Sindacati e organizzazioni di categoria, s’aggiravano intorno ai 30 Mld. Un super regalo per un’azienda che ha permesso alla famiglia Riva di portare all’estero montagne di denaro, accumulate sulla pelle e sulla salute dell’intera comunità.
Con quel decreto è stato infranto il principio basilare secondo il quale chi inquina paga, e tanti saluti a parole come “diritto” o “giustizia” che in Italia, da troppo tempo, fra un provvedimento ad hoc e l’altro, hanno assunto il sapore della beffa.
Molte delle parti civili escluse dal risarcimento, hanno annunciato una denuncia al Tribunale per i diritti dell’uomo di Strasburgo, ma si sa, in un simile processo si rischia di ottenere una sentenza nel prossimo decennio se non più avanti.
Nel frattempo, dopo che, su istanza dell’amministratore straordinario Pietro Gnudi, la società è finita in amministrazione controllata e il Tribunale di Milano ne ha certificato l’insolvenza, il Governo ha accelerato sulla “soluzione” progettata, mettendo attorno a un tavolo Cassa Depositi e Prestiti, Ministero delle Finanze, Ministero dello Sviluppo Economico e così via.
Pare che il nostro Premier, fra una pressione effettuata sugli interlocutori e una modifica “alla carta” del Decreto “Salva Ilva” (che è all’esame delle Commissioni riunite Industria e Ambiente), stia per spuntarla ed intestarsi un nuovo “miracolo”.
Come avevamo spiegato in precedenti articoli, i soldi messi in campo da Cdp, quelli dei risparmi postali per intenderci, serviranno nella sostanza a far rientrare le banche esposte con quell’azienda per l’enormità di circa 1,5 Mld. Infatti, non è un caso se è il S. Paolo, creditore per il 62% dell’intero debito, che ha aperto ancora i rubinetti con un prestito ponte che impedisca all’Ilva di stramazzare prima che la procedura sia ultimata.
Dopodiché l’azienda può anche fallire, e si dirà che a mettere sul lastrico operai e indotto sarà stata “la dura legge del mercato”, malgrado i meritori sforzi del Governo. E tanti saluti a inquinamento, lutti e occupazione. Francamente, di prese in giro interessate ne abbiamo già viste troppe.
Salvo Ardizzone - Il Faro Sul Mondo
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