Bruxelles si dichiara ufficialmente avversa alla democrazia
Il caso svizzero: per la prima volta la democrazia viene messa in discussione perchè non favorisce la cessione di sovranità
Luca Steinmann - L'Intellettuale Dissidente
BERNA: Simone ha 24 anni ed è di Domodossola. Da quando ha finito la scuola si sveglia tutte all’alba e, insieme a tanti suoi compaesani, parte per Mendrisio, dove lavora come muratore. “Qui dalle mie parti siamo tutti frontalieri” mi dice, “perché in Svizzera un lavoro come il mio è pagato il doppio rispetto che in Italia, per questo chi, finite le superiori, decide di non continuare gli studi, non ha molta scelta: si cerca lavoro in Ticino”. Il vicino Canton Ticino, dove la qualità del lavoro e il rapporto tra stipendio e ore di lavorative sono decisamente migliori, è infatti il secondo datore di lavoro di tutta la Lombardia. E’ per questo che ogni mattina migliaia di italiani varcano il confine elvetico per andare a lavorare, per poi rimpatriare la sera. E’ anche per questo che in Ticino il referendum volto a limitare l’immigrazione tenutosi lo scorso 9 febbraio è stato un plebiscito, con un record di consensi pari al 68,17% della popolazione. La Svizzera Italiana è infatti la parte del paese con il più alto tasso di disoccupazione (5,1%) e la concorrenza dei frontalieri è molto sentita. Il referendum, però, non preoccupa Simone: “noi che abbiamo già il lavoro lo manterremo, da oggi cambia solo che potranno essere assunti in Ticino solo gli italiani più competenti, qualora non si riesca ad affidare a nessuno svizzero il posto assegnato. Per noi è una garanzia in più, perché trovando lavoro in Svizzera siamo sicuri di andare incontro ad ottime condizioni”.
Non si preoccupano dunque i lavoratori stranieri, diretti interessati alle misure di limitazione introdotte dal referendum, non si preoccupano neanche i lavoratori svizzeri, sono invece estremamente preoccupati molti tecnocrati europei che, contrariamente alle solite lente tempistiche della burocrazia comunitaria, stanno rapidamente approvando progetti di danneggiamento della Svizzera per far pressione in modo che il governo di Berna non metta in atto quanto richiesto democraticamente dalla maggior parte del suo popolo. Per capire cosa crei questa discrepanza di vedute tra lavoratori e tecnocrati è necessario capire in cosa consista il nuovo corso svizzero approvato dal referendum.
L’iniziativa popolare referendaria prevede che in tre anni il governo svizzero abbandoni il sistema attuale di gestione dell’immigrazione. Attualmente tra gli stati dell’Unione Europea e la Svizzera vige la libera circolazione delle persone. Queste disposizioni sono regolati da dei trattati bilaterali che inseriscono la Svizzera, che pur non fa parte dell’UE, all’interno dell’area Schengen per quanto riguarda la circolazione delle persone, cedendo di fatto la gestione dell’immigrazione a Bruxelles. Il referendum prevede il ritorno dello stato a gestire tutta l’immigrazione e la limitazione del rilascio dei permessi di dimora tramite l’istituzione di tetti massimi e di contingenti annuali per tutti gli stranieri. Essi valgono per tutte le categorie di questi, dunque per tutti i lavoratori, i frontalieri, i congiunti e i richiedenti d’asilo. Sul mercato del lavoro, inoltre, i datori devono dare la preferenza ai cittadini svizzeri e i trattati internazionali in contraddizione con queste disposizioni devono essere abrogati o rinegoziati.
Queste innovazioni, che sono state approvate dalla maggior pare degli svizzeri e dei suoi cantoni, sono state fortemente volute dall’SVP, il partito di maggioranza, per tutelare le classi sociali più svantaggiate dalla situazione precedente, ossia quelle più deboli. Essendo la Svizzera un paese prospero all’interno della libera circolazione europea, è rapidamente diventata un polo d’attrazione per i lavoratori di tutto il continente che, immettendosi sul mercato del lavoro svizzero e essendo disposti a lavorare per stipendi più bassi, hanno comportato un leggero aumento della disoccupazione elvetica e un netto abbassamento salariale. Per evitare lo scatenarsi di una guerra tra poveri gli svizzeri hanno deciso di appoggiare l’iniziativa e di tornare ad essere padroni delle proprie scelte in materia di immigrazione. Contenti i lavoratori svizzeri, contenti i frontalieri italiani, tedeschi, francesi e austriaci, che non vedranno messo in discussione il proprio posto di lavoro. Sarà dunque contenta anche l’Europa?
A vedere dalla reazione isterica non sembra proprio. In brevissimo tempo i tecnocrati comunitari hanno annullato la discussione in corso sull’accordo istituzionale (in pratica l’applicazione del diritto europeo in Svizzera) e preso misure concrete: hanno annullato gli incontri già fissati per discutere l’importante trattato sull’energia e hanno sospeso l’accordo per la partecipazione al progetto Erasmus per lo scambio di studenti universitari e al progetto Orizzonte 2020 per la ricerca. La Commissione Europea ha inoltre fatto sapere per bocca di alcuni suoi esponenti che non permetterà che la Svizzera metta a rischio il progetto di integrazione europea e che farà di tutto per far sì che i trattati bilaterali da rinegoziare o da abrogare per volontà degli svizzeri rimangano invariati.
Per la prima volta ci si trova di fronte ad una presa di posizione netta e aperta da parte di Bruxelles rispetto alla democrazia. L’impegno preso ufficialmente per impedire l’attuazione della volontà del popolo svizzero espressa democraticamente esprime come la democrazia sia un concetto valido per l’Unione Europea solo qualora questo favorisca la cessione di fette di sovranità da parte degli stati nazionali alle istituzioni comunitarie. In caso contrario la volontà del popolo diventa un nemico da tentare di abbattere tramite pressioni e la destabilizzazione politica ed economica dello stato interessato. La Svizzera fa paura all’Unione Europea perché teme possa essere d’esempio per altri stati europei in vista delle vicine elezione europee di maggio. I tecnocrati europei sperano dunque che la loro azione di contrasto, di destabilizzazione e il loro tentativo di demolizione della volontà del popolo svizzero possano essere da monito: non votate per la riappropriazione della vostra sovranità altrimenti vi attaccheremo come stiamo facendo con la Svizzera! Questo ragionamento potrebbe essere vincente qualora i popoli europei fossero avversari sciovinisti tra loro e si rallegrassero delle difficoltà di una nazione rivale e dunque ne giovassero dall’indebolimento della Svizzera rispetto all’UE. Alla luce dei moltissimi attestati di solidarietà che la Svizzera sta ricevendo, però, i segnali non sembrano essere così. Sembra invece che in Europa vi siano diversi partiti eurocritici che non vogliano cadere nel pozzo del nazionalismo di nicchia terminale e che per evitare che ciò accada stiano cercando di organizzarsi in un unico blocco identitario europeo per unirsi, nelle rispettive differenze, contro le politiche di cessione di sovranità perpetrate da Bruxelles. Singolare è la posizione assunta dal partito italiano parte di questo blocco identitario, ossia la Lega Nord. Il suo segretario Matteo Salvini si è dichiarato molto favorevole all’esito del referendum svizzero impegnandosi comunque a tutelare i diritti dei frontalieri italiani, che, a quanto dicono, non sono assolutamente preoccupati della situazione. Contenti i lavoratori svizzeri e italiani è scontenta l’Europa. Ma è giusto, cara Europa, che la democrazia venga messa da parte perché il voto esprime l’interesse dei lavoratori europei?
http://www.lintellettualedissidente.it/bruxelles-si-dichiara-ufficialmente-avversa-alla-democrazia/
Il caso svizzero: per la prima volta la democrazia viene messa in discussione perchè non favorisce la cessione di sovranità
Luca Steinmann - L'Intellettuale Dissidente
BERNA: Simone ha 24 anni ed è di Domodossola. Da quando ha finito la scuola si sveglia tutte all’alba e, insieme a tanti suoi compaesani, parte per Mendrisio, dove lavora come muratore. “Qui dalle mie parti siamo tutti frontalieri” mi dice, “perché in Svizzera un lavoro come il mio è pagato il doppio rispetto che in Italia, per questo chi, finite le superiori, decide di non continuare gli studi, non ha molta scelta: si cerca lavoro in Ticino”. Il vicino Canton Ticino, dove la qualità del lavoro e il rapporto tra stipendio e ore di lavorative sono decisamente migliori, è infatti il secondo datore di lavoro di tutta la Lombardia. E’ per questo che ogni mattina migliaia di italiani varcano il confine elvetico per andare a lavorare, per poi rimpatriare la sera. E’ anche per questo che in Ticino il referendum volto a limitare l’immigrazione tenutosi lo scorso 9 febbraio è stato un plebiscito, con un record di consensi pari al 68,17% della popolazione. La Svizzera Italiana è infatti la parte del paese con il più alto tasso di disoccupazione (5,1%) e la concorrenza dei frontalieri è molto sentita. Il referendum, però, non preoccupa Simone: “noi che abbiamo già il lavoro lo manterremo, da oggi cambia solo che potranno essere assunti in Ticino solo gli italiani più competenti, qualora non si riesca ad affidare a nessuno svizzero il posto assegnato. Per noi è una garanzia in più, perché trovando lavoro in Svizzera siamo sicuri di andare incontro ad ottime condizioni”.
Non si preoccupano dunque i lavoratori stranieri, diretti interessati alle misure di limitazione introdotte dal referendum, non si preoccupano neanche i lavoratori svizzeri, sono invece estremamente preoccupati molti tecnocrati europei che, contrariamente alle solite lente tempistiche della burocrazia comunitaria, stanno rapidamente approvando progetti di danneggiamento della Svizzera per far pressione in modo che il governo di Berna non metta in atto quanto richiesto democraticamente dalla maggior parte del suo popolo. Per capire cosa crei questa discrepanza di vedute tra lavoratori e tecnocrati è necessario capire in cosa consista il nuovo corso svizzero approvato dal referendum.
L’iniziativa popolare referendaria prevede che in tre anni il governo svizzero abbandoni il sistema attuale di gestione dell’immigrazione. Attualmente tra gli stati dell’Unione Europea e la Svizzera vige la libera circolazione delle persone. Queste disposizioni sono regolati da dei trattati bilaterali che inseriscono la Svizzera, che pur non fa parte dell’UE, all’interno dell’area Schengen per quanto riguarda la circolazione delle persone, cedendo di fatto la gestione dell’immigrazione a Bruxelles. Il referendum prevede il ritorno dello stato a gestire tutta l’immigrazione e la limitazione del rilascio dei permessi di dimora tramite l’istituzione di tetti massimi e di contingenti annuali per tutti gli stranieri. Essi valgono per tutte le categorie di questi, dunque per tutti i lavoratori, i frontalieri, i congiunti e i richiedenti d’asilo. Sul mercato del lavoro, inoltre, i datori devono dare la preferenza ai cittadini svizzeri e i trattati internazionali in contraddizione con queste disposizioni devono essere abrogati o rinegoziati.
Queste innovazioni, che sono state approvate dalla maggior pare degli svizzeri e dei suoi cantoni, sono state fortemente volute dall’SVP, il partito di maggioranza, per tutelare le classi sociali più svantaggiate dalla situazione precedente, ossia quelle più deboli. Essendo la Svizzera un paese prospero all’interno della libera circolazione europea, è rapidamente diventata un polo d’attrazione per i lavoratori di tutto il continente che, immettendosi sul mercato del lavoro svizzero e essendo disposti a lavorare per stipendi più bassi, hanno comportato un leggero aumento della disoccupazione elvetica e un netto abbassamento salariale. Per evitare lo scatenarsi di una guerra tra poveri gli svizzeri hanno deciso di appoggiare l’iniziativa e di tornare ad essere padroni delle proprie scelte in materia di immigrazione. Contenti i lavoratori svizzeri, contenti i frontalieri italiani, tedeschi, francesi e austriaci, che non vedranno messo in discussione il proprio posto di lavoro. Sarà dunque contenta anche l’Europa?
A vedere dalla reazione isterica non sembra proprio. In brevissimo tempo i tecnocrati comunitari hanno annullato la discussione in corso sull’accordo istituzionale (in pratica l’applicazione del diritto europeo in Svizzera) e preso misure concrete: hanno annullato gli incontri già fissati per discutere l’importante trattato sull’energia e hanno sospeso l’accordo per la partecipazione al progetto Erasmus per lo scambio di studenti universitari e al progetto Orizzonte 2020 per la ricerca. La Commissione Europea ha inoltre fatto sapere per bocca di alcuni suoi esponenti che non permetterà che la Svizzera metta a rischio il progetto di integrazione europea e che farà di tutto per far sì che i trattati bilaterali da rinegoziare o da abrogare per volontà degli svizzeri rimangano invariati.
Per la prima volta ci si trova di fronte ad una presa di posizione netta e aperta da parte di Bruxelles rispetto alla democrazia. L’impegno preso ufficialmente per impedire l’attuazione della volontà del popolo svizzero espressa democraticamente esprime come la democrazia sia un concetto valido per l’Unione Europea solo qualora questo favorisca la cessione di fette di sovranità da parte degli stati nazionali alle istituzioni comunitarie. In caso contrario la volontà del popolo diventa un nemico da tentare di abbattere tramite pressioni e la destabilizzazione politica ed economica dello stato interessato. La Svizzera fa paura all’Unione Europea perché teme possa essere d’esempio per altri stati europei in vista delle vicine elezione europee di maggio. I tecnocrati europei sperano dunque che la loro azione di contrasto, di destabilizzazione e il loro tentativo di demolizione della volontà del popolo svizzero possano essere da monito: non votate per la riappropriazione della vostra sovranità altrimenti vi attaccheremo come stiamo facendo con la Svizzera! Questo ragionamento potrebbe essere vincente qualora i popoli europei fossero avversari sciovinisti tra loro e si rallegrassero delle difficoltà di una nazione rivale e dunque ne giovassero dall’indebolimento della Svizzera rispetto all’UE. Alla luce dei moltissimi attestati di solidarietà che la Svizzera sta ricevendo, però, i segnali non sembrano essere così. Sembra invece che in Europa vi siano diversi partiti eurocritici che non vogliano cadere nel pozzo del nazionalismo di nicchia terminale e che per evitare che ciò accada stiano cercando di organizzarsi in un unico blocco identitario europeo per unirsi, nelle rispettive differenze, contro le politiche di cessione di sovranità perpetrate da Bruxelles. Singolare è la posizione assunta dal partito italiano parte di questo blocco identitario, ossia la Lega Nord. Il suo segretario Matteo Salvini si è dichiarato molto favorevole all’esito del referendum svizzero impegnandosi comunque a tutelare i diritti dei frontalieri italiani, che, a quanto dicono, non sono assolutamente preoccupati della situazione. Contenti i lavoratori svizzeri e italiani è scontenta l’Europa. Ma è giusto, cara Europa, che la democrazia venga messa da parte perché il voto esprime l’interesse dei lavoratori europei?
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