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venerdì 10 ottobre 2014

Metterci la faccia da troika


renzi3_MGzoomOrmai è chiaro: fin dalla scorsa estate salotti buoni, pessimi giornali e poteri finanziari avevano lanciato l’avviso al burattino Renzi, temendo che si facesse distrarre sulla strada del massacro sociale da dinamiche di partito, questioni di consenso, semplice mancanza di idee. Prima Scalfari, poi De Bortoli con in mezzo i malpancisti delle lobby gli hanno fatto capire che era davanti a un bivio: andare avanti a tappe forzate, ad ogni costo, oppure dimenticare Palazzo Chigi. E perché la cosa fosse chiara, al di là di ogni equivoco chiara è intervenuto Draghi a mettere la spada di Brenno: “Mi sembra che ora tutti questi governi abbiano un incentivo molto potente a fare la cosa giusta. E questo e’ che se non fanno le cose giuste spariranno per sempre dalla scena politica perché non saranno rieletti”.
Ma discorsi così espliciti può farli solo il banchiere centrale fingendo di spalmare su tutto il continente la minaccia direttamente rivolta all’Italia e forse a qualche socialista francese. Parole di piombo, difficilmente digeribili o tollerabili, ma dette appositamente affinché le cupole del potere locale e i loro megafoni mediatici potessero imbastire una nuova dottrina per proteggere il loro manchurian candidate dal discredito, Una catechesi semplice, anzi grossolana, ma adatta alla sempre più evidente infantilizzazione della società italiana: o il burattino cui un Geppetto cosmopolita ha insufflato l’anima, oppure direttamente la troika.
Una scelta tanto falsa, quanto rudimentale nei suoi termini perché visto che comunque sono in ballo gli stessi provvedimenti, la stessa idea di regressione politica e sociale, non si vede quale differenza possa fare. Tanto più che Renzi, tirato per i fili con più energia del solito, ha dovuto commissariare il Parlamento (cosa che persino il Corriere è costretto a riconoscere) il che rende del tutto superflua la differenza tra una governance apparentemente autoctona e una esplicitamente “straniera”.  Solo l’ìmpatto psicologico è diverso, perché un fiduciario locale lascia sempre spazio all’illusione di poter influire sul corso degli eventi, rende meno acuta la sensazione di essere stati espropriati dei propri diritti. E poi -last but not least -mentre un governatore mascherato da premier è costretto ad imporre la sostanza dei diktat, può trovare le forme adatte per mettere assieme un’arca che salvi il peggio del sistema Italia, le varie forme genetiche del tangentismo e della collusione politica – affari – finanza. Insomma una bazza per i salotti buoni che nemmeno devono temere la possibilità che occhi estranei si interessino delle proprie opache rendite.
Non sembra che ci sia nulla in grado di interrompere questa drammatica dinamica, non i sindacati di cui sono rimaste le spoglie, né le minoranze parlamentari, né la rabbia che non riesce a trovare un terreno comune, ma si spezzetta in  mille frammenti: la verità finale è che come settant’anni fa solo un intervento dall’esterno potrà mettere in moto un cambiamento che il Paese non è in grado di generare e sostentare da sé, nonostante il fuoco che cova sotto la cenere. Ed è probabile che la scintilla venga proprio dalla Germania e dai destini di Berlino: finora essa è stata mezzana delle dottrine austeritarie, ma nel contempo e paradossalmente per le stesse ragioni, anche un argine verso la governance globale della finanza che rischiava di toglierle il ruolo egemone in Europa. Ora che il Paese è entrato in crisi grazie alle politiche liberiste attuate da più di un decennio, che il suo modello (lo stesso del job act) è trascinato sul banco degli imputati da illustri economisti autoctoni, che il discredito verso le politiche di compressione salariale e di precarizzazione prende forma nel j’accuse dello Spiegel e arriva  non attenuato anche dalle parti della Die Welt, il quotidiano più conservatore in assoluto, molte cose sono destinate a cambiare. E non nel senso di una attenuazione del rigore, che del resto sarebbe troppo poco e arriverebbe troppo tardi, quanto sotto forma di una scelta: o abbandonare l’euro e tentare di rimanere il centro del continente, oppure arrendersi anch’essa alla dittatura della finanza e a Wall Street.
Altro che burattini e facce da troika.

http://ilsimplicissimus2.wordpress.com/2014/10/10/metterci-la-faccia-da-troika/

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