«Io voglio scrivere del nostro amore, voglio amarti scrivendo, prenderti scrivendo, non altro»; «Siamo davvero drogati: non posso vivere fuori dal cerchio magico del nostro amore». Sono parole che Italo Calvino scrisse all’ attrice Elsa de’ Giorgi in lettere appassionate, felici, infelici, potenti, sensuali, insomma cariche di vita. E’ un Calvino insolito, ben lontano dallo scrittore «freddo» e intellettuale di cui spesso parlano i critici. La sua storia d’amore con Elsa (di dieci anni più vecchia), cominciata nel ’ 55 e finita nel ’ 58, circola nel mondo della letteratura italiana, ma se né sa pochissimo. Dell’ epistolario, conservato dal ’ 94 nel Fondo Manoscritti di Pavia, alcune carte furono rese note nel ’ 90 dalla stessa de’ Giorgi. La quale voleva dimostrare quanto quella relazione incise sul percorso intellettuale e artistico dello scrittore. E’ vero, quell’ amore cambiò la sua vita e anche il suo modo di concepire la letteratura. Le lettere d’ amore di Italo Calvino, presentano un versante quasi sconosciuto dello scrittore (prima che dell’ uomo).
Appassionato, inaspettato, privato. Ma anche letterario, culturale e politico. Dal sentimento travolgente per l’attrice-contessa al travaglio intimo per la crisi esistenziale di una generazione. Sullo sfondo del dramma ungherese del 1956, fra viaggi in treno e incontri rubati, si snoda la storia che segna la vita e l’opera del grande scrittore italiano. Pubblichiamo qui alcuni stralci dalle circa 400 lettere scritte negli anni cinquanta da Italo Calvino alla contessa Elsa de’ Giorgi (Pesaro, 1914 – Roma, 1997), considerate da molti come «le più belle lettere d’amore del novecento»
«Voglio prenderti scrivendo»
Certo, il mio amore per te è nato come una protesta di individualista (e quindi d’altera solitudine) protesta contro tutto un clima mosso da un bisogno profondissimo, ma con un significato generale, una lezione per tutti, di non-rinuncia, di coraggio alla felicità. Come questa lezione si tradurrà nell’opera creativa è ancora da vedersi. (…)
(…) Se mi mancasse il tuo amore tutta la mia vita mi si sgomitolerebbe addosso. (…)
(…) Tu sei un’eroina di Ibsen, io mi credevo un uomo di Cechov. Ma non è vero, non è vero. Gli eroi di Cechov hanno la pateticità e la nobiltà degli sconfitti. Io no: o vinco o mi annullo nel vuoto incolore. E vinco, vinco, sotto le tue frustate. (…)
(…) No, cara, non hai nulla dell’eroina dannunziana, sei una grande donna pratica e coraggiosa, che si muove da regina e da amazzone e trasforma la vita più accidentata e difficile in una meravigliosa cavalcata d’amore. (…)
(…) Ho la tua lettera dal treno – Cara, amore – Ho sempre un’apprensione quando apro una tua lettera e uno slancio enorme di gratitudine e amore leggendo le tue parole d’amore. Il ritratto del giovane P.P. [Pier Paolo Pasolini, ndr] è molto bello, uno dei migliori della tua vena ritrattistica, di questa tua intelligenza delle personalità umane fatta di discrezione e capacità di intendere i tipi più diversi, questa tua gran dote largamente provata nei coetanei. È la stessa dote che portata all’estremo accanimento dell’amore ti fa dire delle cose così acute e sorprendenti quando parli con me di me che ti sto a sentire a bocca aperta, abbacinato insieme d’ammirazione per l’intelligenza, o inconfessabile narcisismo, e di gratitudine amorosa. (…)
(…) Ho più che mai bisogno di stare fra le tue braccia. E questo tuo ghiribizzo di civettare che ora ti ripiglia non mi piace niente, lo giudico un’intrusione di un motivo psicologico completamente estraneo all’atmosfera che deve regnare tra noi. Gioia cara, vorrei una stagione in cui non ci fossi per me che tu e carta bianca e voglia di scrivere cose limpide e felici. Una stagione e non la vita? (…)
(…) Ora basta, perché ho cominciato così questa lettera, io voglio scrivere del nostro amore, voglio amarti scrivendo, prenderti scrivendo, non altro. È forse anche qui la paura di soffrire che prende il sopravvento? Cara, cara, mi conosci troppo, ma no, troppo poco, devo ancora farmi conoscere da te, devo ancora scoprirmi a te, stupirti, ho bisogno di farmi ammirare da te come io continuamente ti ammiro. Sto scrivendo una cosa su Thomas Mann per il Contemporaneo – sotto forma di lettera – su cosa significa per me il suo atteggiamento d’uomo classico e razionale al cospetto dell’estrema crisi romantica e irrazionale del nostro tempo. Sono temi che ritornano puntualmente nella cultura e nell’arte contemporanea come nella mia vita: il mio rapporto con Pavese, o la coscienza della poesia, il mio rapporto con te, o la coscienza dell’amore. (…)
«Sassolini di Lukacs»
(…) Il male non ha destino, del male né vanno disperse le ceneri. Il bene resta, non si distrugge, sparge i suoi semi e ricresce. (…)
(…) Ho avuto coraggio ad amarti, a portarti in questa mia vita d’uomo che sempre insegue la felicità e non conosce la calma. (…)
(…) Ho due belle lettere tue cui rispondere. Una (quella di giovedì) sulla «missione di darmi gioia» che tu con meravigliosa generosità amorosa hai scelto (e io potrei parlare di una mia «ambizione di darti gioia», di un mio orgoglio, che quando non riesco mi fa sentire sconfitto), l’altra, quella di ieri, col dialogo delle donne sul perfetto amante, che pare un po’ da corte d’amore, ma con una malizia da brigata di Boccaccio in villa durante la peste, e con una razionalità da ragionamento filosofico e cortese cinquecentesco e in più un senso dello scabroso e dell’insoddisfatto che è tutto moderno. Ma tu che taci, e dici l’ultima battuta, e le altre che stanno in silenzio, e quel tipo di Panfilo o Filostrato o Dioneo che trae, galante ma concettoso, la morale, è un quadro di pura bellezza. Ma a parte quest’ammirazione formale, quello che soprattutto m’ha attratto è la bellezza della tua etica amorosa, che è anche mia, che io t’ho insegnato – perdona il mio orgoglio – nel momento stesso in cui l’imparavo da te, su te e di cui tu ora dai una formula perfetta, questo «suscitare l’amore senza mai stimolare il vizio», questa condizione così rara, che tu sola sai creare.
(…) Ti scrivo in una pausa di una giornata intensamente «filosofica», in discussione d’estetica con Lukács la mattinata, poi a pranzo con lui in collina (nel ristorante in cui un anno fa ho portato la più affascinante delle donne, quest’anno sono andato con la più formidabile testa di filosofo) e tra poco lo dovrò accompagnare in giro per Torino. È un vecchietto dalla formidabile chiarezza, venata dalla malinconia e malizia degli ebrei. Mi diverto a cercare di buttare sassolini puntuti nella sua macchina e vederglieli restituire perfettamente levigati e sferici. (…)
(…) L’averti incontrata è stato un’esplosiva conquista di tante cose per me, dentro di me, un tale salto e volo nella mia vita, che mi sembra di non riuscire a toccare terra, a riportare queste mie forze in una vita integrata. E tu dirai: «E che dovrei dire io allora?». E io sarei al solito confuso, ma non è vero: per te sono crollate cose intorno, tu sei rimasta te stessa, puoi decidere di te come ora dicendo che reciterai con sicurezza di quel che sei. A me, in una generale irritabilità per tutto, non resta che un nugolo di ragioni astratte, e la concretezza del tuo corpo nudo. (…)
(…) Amor mio. Tutte le lettere ora mi viene da cominciarle con l’elemento climatico-atmosferico ma non è una cosa da scherzare. Qui si vive sotto un cielo caliginoso, un freddo che serpeggia nelle ossa, un’aria da finimondo. Se né parla poco, ma la coscienza che un terribile cataclisma atomico sia stato scatenato e sia ormai impossibile salvarci, s’affaccia all’animo di tutti. Da anni vivevo nella completa ignoranza della pioggia e del sole; ora questo inizio dell’inverno alla fine di maggio mi riempie di un nervosismo che non conoscevo finora. (…)
(…) La tua lontananza s’inserisce in questa situazione come qualcosa di simbolico. La tua identificazione col sole non è casuale. Bisogna che ti raggiunga al più presto e che questa tristezza, che non è, direi, psicologica ma quasi metafisica, si dissipi… Dopo questa lettera arrivo io. Ti abbraccio e desidero. (…)
«Telefonata a Caracciolo»
Mia cara, sono qui con un diavolo per capello. Sono arrivato all’una e ho trovato tutti che ce l’avevano con me perché sono stato fatto oggetto negli ultimi giorni d’una caccia telefonica da tutta Italia per questo maledetto premio Pavese che l’accidente m’ha preso quando ho accettato di occuparmene. (…)
(…) Cecchi non viene, Levi vuole che si rimandi perché ci ha i poeti russi, Soldati ha l’influenza, Mila non vuol venire perché non ha avuto in tempo i manoscritti, Antonicelli perché non c’è Cecchi e non si può fare senza presidente (…)
(…) Bo è ancora il più bravo e vuol solo saper tutti gli orari, Einaudi vuole che il premio non sia assegnato, a Alba hanno preparato tutto e ci aspettano (…)
(…) Levi vuole la macchina a prenderlo all’aereo ma non sa quando arriva, Antonicelli dice che non si deve festeggiare Pavese con una festa popolare, Soldati dice che in quell’albergo c’è puzza di tartufi. Tutti sono d’accordo di premiare la R. ma nessuno è convinto che meriti un milione. (…)
(…) Basta, decisamente stasera non sono capace che di questi sfoghi ed è perché mi manchi molto, mi manca molto la tua presenza consolatrice e rasserenatrice, testimonianza sicura della felicità. (…)
Mia cara, eccomi qui e appena arrivato mi sono trovato difronte a un piccolo tentativo scandalistico da parte dell’Espresso che spero d’aver fatto in tempo ad evitare. M’hanno mandato la bozza dell’articolo per la manifestazione delle fiabe e alla fine dell’articolo, che è piuttosto lungo, tirano fuori la dedica a Raggio di sole e che a via Veneto la sera si discuteva su chi era Raggio di sole. Furono suggeriti molti nomi, ma soltanto a sera tarda, dopo molte discussioni, ad un tavolo di letterati fu trovata la risposta esatta: Elsa de’ Giorgi. Raggio di sole è infatti l’anagramma quasi esatto del tuo nome, manca solo la «e». Ho mandato subito un telegramma lampo a Benedetti raccomandandomi alla sua cortesia perché elimini la parte finale. E ho telefonato a Carlo (Caracciolo, ndr) perché telefonasse subito e si interessasse della cosa, magari soltanto facendo togliere il nome. Non so però se si è ancora in tempo, o se il numero è stato già stampato. Me lo sentivo che qualcosa combinavano. Spero soltanto che il mandarmi le bozze (per due giorni avevo inutilmente dato loro la caccia per riuscire a leggere l’articolo) sia stato fatto per vedere se protestavo. Sulla bozza il titolo non c’è e anche questo potrebbe essere uno scherzo di questo tipo. (Però, questa dell’anagramma è una scoperta loro, a cui noi non avevamo mai pensato, e che corrisponde alla verità! E se distogliamo il pensiero per un momento dalle implicazioni legali e giornalistiche è molto bello).
«Vince la controrivoluzione»
(…) Mia cara, siamo tornati ai bombardamenti delle città. Sono amareggiato e sconvolto. La rete dei pensieri più volte ritessuta e cercata di assestare stabilmente negli anni della sempre crescente minaccia atomica e guerra fredda, e poi in questi ultimi tempi in cui pareva riaprirsi una prospettiva di pace e di progresso straordinaria, ancora va ritessuta per poter guardare in mezzo al fuoco. Mi sento come sballottato e pestato. Notizie ancora più terribili arrivano dall’Ungheria dove tutte le mie speranze che il moto insurrezionale potesse avere alla testa la parte dei comunisti non compromessa coi crimini passati e salvare il socialismo sono ormai cadute e la controrivoluzione trionfa e i comunisti vengono massacrati in massa. Le posizioni che gruppi di compagni e io con loro avevamo preso in questi giorni, di critica alla direzione del nostro partito per la sua interpretazione dei fatti ungheresi, ricevono una smentita dai fatti, anche se profondamente giustificate nel fondo. Ora siamo fatti oggetto di gravi accuse da parte del partito, e ieri sera di fronte a una grande assemblea tumultuante ho riconosciuto la parte d’errori nella mia posizione, ho riconfermato la giustezza dell’esigenza che li aveva mossi. Sono arrivato ad assumere un po’ il ruolo di leader di questa piccola rivolta qui a Torino e devo battermi fino all’ultimo per non risolverla in disfatta, e a fianco degli amici e compagni che ho spinto a prendere posizione e non posso abbandonare (…).
L’addio alla politica
(…) Ieri sono stato solennemente silurato alle elezioni del congresso. La cosa non ha fatto altro che rallegrarmi perché coincide con la mia decisione di abbandonare l’attività politica sul piano spicciolo, delle piccole battaglie interne. (…)
(…) Io vivo giornate tese in cui le cose da fare mi si accumulano a valanga, e non riesco a fare che pochissimo, con Carlo Levi che mi ha preso ieri tutto un lunghissimo pomeriggio e oggi di nuovo e domani forse anche, col lentissimo ritmo delle sue correzioni, mentre la casa editrice è nel suo periodo di punta stagionale, sono carico di testi pubblicitari da fare e in più c’è la politica in un momento culminante e non si farebbe che star tutto il giorno a discutere e combattere le posizioni dell’uno e dell’altro. In mezzo a tutto questo t’amo d’un amore furioso, la notte non dormo, eccitatissimo e girando a vuoto come una girandola. Gioia bella t’abbraccio e corro da Carlo che mi incalza di telefonate, a cercare di concentrarmi sulle sue virgole e congiunzioni. (…)
(…) Il mondo pubblica nella colonnina dell’«invitato» un ditirambo sul mio libro, contrapposto polemicamente a tutto il resto della letteratura contemporanea. Si vede che l’ambiente Mondo-Espresso, che sostiene molto il libro, non ha mandato giù la recensione piena di riserve di Bocelli e ha voluto replicare. Ottima cosa perché lancia il libro su un piano di «moda» ma anche un po’ seccante perché sembra contrappormi all’ambiente letterario e questo né è vero né mi può giovare.
(…) Guarda come riesci a influenzarmi anche nel giudizio sulle cose mie, non influenzarmi cambiandomi idee, ma ridandomi il senso di che cosa è vivo e mandandomi a monte impostazioni statiche di stile di vita, mettendo tutto al vaglio della tua folgorante verità umana, verità di donna, verità di amante. In treno ho pensato e scritto una poesia: Amore, dieci anni fa ero nei partigiani. Se non oggi domani ci scannavano uno a uno. E la cosa più esaltante di tutto quel che uno viveva era che chi lo viveva non era un altro, ero io. Amore, dieci anni dopo – che dono, o vita! – sono il tuo amante. È terribile come la guerra, la felicità che mi dai. E la cosa più esaltante di quel che provo fra le tue braccia è quando penso che chi ti abbraccia non è che sia un altro, sono io.
(…) Amor mio. Tutte le lettere ora mi viene da cominciarle con l’ elemento climatico-atmosferico ma non è una cosa da scherzare. Qui si vive sotto un cielo caliginoso, un freddo che serpeggia nelle ossa, un’ aria da finimondo. Se né parla poco, ma la coscienza che un terribile cataclisma atomico sia stato scatenato e sia ormai impossibile salvarci, s’ affaccia all’ animo di tutti. Da anni vivevo nella completa ignoranza della pioggia e del sole; ora questo inizio dell’ inverno alla fine di maggio mi riempie di un nervosismo che non conoscevo finora.
(…) La tua lontanza s’ inserisce in questa situazione come qualcosa di simbolico. La tua identificazione col sole non è casuale. Bisogna che ti raggiunga al più presto e che questa tristezza, che non è, direi, psicologica ma quasi metafisica, si dissipi… Dopo questa lettera arrivo io. Ti abbraccio e desidero.
(…) Guarda come riesci a influenzarmi anche nel giudizio sulle cose mie, non influenzarmi cambiandomi idee, ma ridandomi il senso di che cosa è vivo e mandandomi a monte impostazioni statiche di stile di vita, mettendo tutto al vaglio della tua folgorante verità umana, verità di donna, verità di amante. In treno ho pensato e scritto una poesia: Amore, dieci anni fa ero nei partigiani. Se non oggi domani ci scannavano uno a uno. E la cosa più esaltante di tutto quel che uno viveva era che chi lo viveva non era un altro, ero io. Amore, dieci anni dopo — che dono, o vita! — sono il tuo amante. E’ terribile come la guerra, la felicità che mi dai. E la cosa più esaltante di quel che provo fra le tue braccia è quando penso che chi ti abbraccia non è che sia un altro, sono io.
(…) Mia cara, eccomi qui e appena arrivato mi sono trovato di fronte a un piccolo tentativo scandalistico da parte dell’Espresso che spero d’ aver fatto in tempo ad evitare. M’ hanno mandato la bozza dell’ articolo per la manifestazione delle fiabe e alla fine dell’ articolo, che è piuttosto lungo, tirano fuori la dedica a Raggio di sole e che a via Veneto la sera si discuteva su chi era Raggio di sole. Furono suggeriti molti nomi, ma soltanto a sera tarda, dopo molte discussioni, ad un tavolo di letterati fu trovata la risposta esatta: Elsa de’ Giorgi.
Raggio di sole è infatti l’ anagramma quasi esatto del tuo nome, manca solo la «e» . Ho mandato subito un telegramma lampo a Benedetti raccomandandomi alla sua cortesia perché elimini la parte finale. E ho telefonato a Carlo perché telefonasse subito e si interessasse della cosa, magari soltanto facendo togliere il nome. Non so però se si è ancora in tempo, o se il numero è stato già stampato. Me lo sentivo che qualcosa combinavano. Spero soltanto che il mandarmi le bozze (per due giorni avevo inutilmente dato loro la caccia per riuscire a leggere l’ articolo) sia stato fatto per vedere se protestavo. Sulla bozza il titolo non c’ è e anche questo potrebbe essere uno scherzo di questo tipo. (Però, questa dell’ anagramma è una scoperta loro, a cui noi non avevamo mai pensato, e che corrisponde alla verità! E se distogliamo il pensiero per un momento dalle implicazioni legali e giornalistiche è molto bello).
(…) Ti scrivo in una pausa di una giornata intensamente «filosofica» , in discussione d’ estetica con Lukacs la mattinata, poi a pranzo con lui in collina (nel ristorante in cui un anno fa ho portato la più affascinante delle donne, quest’ anno sono andato con la più formidabile testa di filosofo) e tra poco lo dovrò accompagnare in giro per Torino. E’ un vecchietto dalla formidabile chiarezza, venata dalla malinconia e malizia degli ebrei. Mi diverto a cercare di buttare sassolini puntuti nella sua macchina e vederglieli restituire perfettamente levigati e sferici. Un uomo che esercita su di me insieme avversione e attrazione, di cui percorro pagine e pagine avversando il suo — pur duttilissimo e acutissimo– sistematicismo e ogni tanto ci trovo uno squarcio di una tale ampiezza d’illuminazione da lasciare storditi.
(…)Le cose che scrivi sul libro di Pasolini sono giuste. Lui ha puntato sull’impianto plurilinguistico infischiandosene delle contraddizioni, ma non ha l’inventiva e l’allegria per farne una grande cosa alla Rabelais o anche solo alla Gadda. Raggiunge però un generale clima lirico , sincero, abbastanza modulato. Ho la tua lettera dal treno — Cara, amore — Ho sempre un’ apprensione quando apro una tua lettera e uno slancio enorme di gratitudine e amore leggendo le tue parole d’ amore. Il ritratto del giovane P.P.P. è molto bello, uno dei migliori della tua vena ritrattistica, di questa tua intelligenza delle personalità umane fatta di discrezione e capacità di intendere i tipi più diversi, questa tua gran dote largamente provata nei Coetanei. E’ la stessa dote che portata all’ estremo accanimento dell’ amore ti fa dire delle cose così acute e sorprendenti quando parli con me di me che ti sto a sentire a bocca aperta, abbacinato insieme d’ ammirazione per l’ intelligenza, o inconfessabile narcisismo, e di gratitudine amorosa.
(…) No, cara, non hai nulla dell’ eroina dannunziana, sei una grande donna pratica e coraggiosa, che si muove da regina e da amazzone e trasforma la vita più accidentata e difficile in una meravigliosa cavalcata d’ amore.
(…) Ho due belle lettere tue cui rispondere. Una (quella di giovedì) sulla «missione di darmi gioia» che tu con meravigliosa generosità amorosa hai scelto (e io potrei parlare di una mia «ambizione di darti gioia», di un mio orgoglio, che quando non riesco mi fa sentire sconfitto), l’ altra, quella di ieri, col dialogo delle donne sul perfetto amante, che pare un po’ da corte d’ amore, ma con una malizia da brigata di Boccaccio in villa durante la peste, e con una razionalità da ragionamento filosofico e cortese cinquecentesco e in più un senso dello scabroso e dell’ insoddisfatto che è tutto moderno. Ma tu che taci, e dici l’ultima battuta, e le altre che stanno in silenzio, e quel tipo di Panfilo o Filostrato o Dioneo che trae, galante ma concettoso, la morale, è un quadro di pura bellezza. Ma a parte quest’ ammirazione formale, quello che soprattutto m’ ha attratto è la bellezza della tua etica amorosa, che è anche mia, che io t’ ho insegnato — perdona il mio orgoglio– nel momento stesso in cui l’ imparavo da te, su te e di cui tu ora dai una formula perfetta, questo «suscitare l’ amore senza mai stimolare il vizio» , questa condizione così rara, che tu sola sai creare.
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