Sarà anche che chi difende l’articolo 18 è un conservatore rosicone, come dice l’indomito Renzi, disposto ogni giorno a fare barricate contro l’intelligenza e l’onestà, ma purtroppo i fatti i documenti, l’evidenza portano a concludere che la tana degli inetti e dei cialtroni è altrove, nei luoghi in cui si nasconde la classe dirigente italiana. E uno di questi è Confindustria che appena esce dal seminato dei numeri e delle manipolazioni sugli stessi, non perde tempo a mostrare, come dire l’esilità e la volgarità della cultura e della politica che rappresenta,
Dunque accade che uno dei vicepresidenti di Confidustria, Ivanhoe Lo Bello, con delega all’educazione, abbia accusato la scuola di essere all’origine della disoccupazione giovanile e lo fa sulla base di un sedicente studio della McKinsey che è un capolavoro di povertà e di malafede, com’è d’uso del resto per queste società di consulenza che sono parte integrante del sistema oligarchico occidentale. In realtà è tutto da ridere, a cominciare dal documento in cui si appalesa il j’accuse, intitolato “L’education per la crescita” che probabilmente nasconde una forte pulsione verso il lavoro minorile sia pure contrabbandato con un titolo da telefilm di quarta, per finire allo stesso cavaliere di re Artù, che è titolare di una semisconosciuta aziendina di biscotti per bambini e altri manicaretti neonatali, ma che in realtà, per magia di un qualche Merlino, è soprattutto un banchiere. E’ conosciuto per aver lanciato la campagna contro il pizzo, promettendo di escludere da Confindustria le aziende che lo avessero pagato, iniziativa sacrosanta se per caso fossero dei seguiti dei fatti e non fosse rimasta tutta sulla carta dei giornali che l’hanno riportata. La sua vera carriera comincia con la nomina a consigliere di amministrazione del Banco di Sicilia, voluta dal presidente della Regione, quel Giuseppe Provenzano che per anni era stato l’amministratore dei beni miliardari della camiciaia e nullatenente Saveria Benedetta Palazzolo, moglie del quasi omonimo Bernardo Provenzano. E di lì il volo verso la vicepresidenza del istituto di credito, poi la presidenza e infine la massima poltrona dell’Unicredit Leasing. Assieme ad altre cariche come quella di membro dell’Anvur, Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca, non si bene a quale titolo e con quale competenza. O forse lo si intuisce fin troppo bene.
Credo che queste schegge biografiche siano necessarie a comprendere l’humus in cui nasce L’education per la crescita, le sue conclusioni e i metodi vergognosi con cui è stata confezionata. Infatti l’idea che la disoccupazione giovanile dipenda da un mancato collegamento tra scuola e azienda, con tutta l’opacità del tema, deriva unicamente non da uno studio, ma da una sorta di delirante atto di fede della McKinsey (reperibile qui ), la quale dopo aver notato che nella maggior parte dei Paesi europei il rapporto tra la disoccupazione giovanile e quella adulta è di 2 a 1, si chiede come mai questo rapporto sia di 3,5 a 1 per l’Italia. Dunque “se consideriamo il rapporto 2 a 1un valore naturale (sic, Dio perché fabbrichi gli idioti in così grande numero?) possiamo concludere che la quota che eccede questo livello dipende da inefficienze proprie del nostro sistema di transizione dalla scuola al lavoro”. Si tratta solo di una illazione di stampo ideologico e priva di qualsiasi consistenza, anzi è il tipico inganno di stabilire una qualsiasi correlazione come quella ad esempio, piuttosto celebre, tra il consumo di cioccolato e il numero dei premi nobel, tanto per dare una patina di credibilità ad asserzioni assurde.
In sostanza si vorrebbe far credere che sul milione e centomila giovani tra i 15 e i 29 anni che sono disoccupati, almeno 450 mila ( il numero che viene fuori se ci fosse il valore naturale) avrebbero a loro disposizione un comodo e soddisfacente posto di lavoro se solo avessero il diploma giusto. Ora questa idea che l’educazione scolastica e pubblica debba costituire praticamente solo un addestramento al lavoro magari minorile, sempre precario e sottopagato, è già di per sé un segno di inciviltà sociale e di scarsa intelligenza delle cose perché è solo dalla cultura che nasce l’innovazione. Ma il fatto è che sarebbe bastato prendersi le statistiche dell’Unioncamere per apprendere che i casi in cui l’assunzione in un ‘impresa viene negata per inadeguata preparazione scolastica sono circa 1,8% sul totale delle assunzioni, per mandare all’aria la tesi fraudolenta e consentire un utilizzo più adeguato dei fogli della costosa brochure, affastellata dall’ancor più costoso Ivanhoe al quale, nella sua multiforme vita, toccherebbe pure il compito di valutare la qualità della ricerca.
Allora la volete finire di dire sciocchezze, di contrabbandare bugie come fossero oro colato, di spacciare una visione ideologica e reazionaria alterando i dati o sostituendo ai numeri pure e ottuse supposizioni ? Volete di grazia lasciare stare almeno la scuola senza tirarla dentro la vostra avidità e il vostro profitto? O proprio siete senza education, senza testa e senza futuro?
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