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mercoledì 14 febbraio 2018

IL LUNGO CAMMINO DEI SERAFINI

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Questo articolo svilupperà il sovrapporsi di significati diversi che possiede la radice ebraica Shin Resh Peh (SHRF). Essi sono principalmente quattro:
1) Saraf è il verbo indicante “bruciare”.
2) Saraf è il nome al singolare dell’angelo Serafino (plurale Serafini). Il legame sta nel fatto che gli angeli sono creature fatte di fuoco puro. I Serafini sono tra gli ordini angelici più elevati.
3) Saraf è il nome di un serpente veleno, probabilmente per il senso di bruciore che il suo morso causa.
4) Saraf è il nome della linfa che circola negli alberi.
Si noti come tutte queste parole sono scritte con le stesse identiche lettere nello stesso ordine. In un testo dove una di esse apparisse, non si potrebbe perciò sapere quale dei quattro significati sarebbe corretto, se non facendo riferimento al contesto nel quale è scritta.
I Serafini (serafim) appartengono ad una categoria di Angeli (etimologicamente, “Coloro che bruciano”). Sono figure in sembianze umane, munite di sei ali. Compaiono solo e soltanto in un brano di Isaia: “al di sopra (mima’al) di Lui, stavano dei serafini, ognuno aveva sei ali” (Is. 6,2).
In Isaia, questi esseri alati sono posti “sopra” il trono di D-o e proclamano l’un l’altro: “Qadosh, Qadosh Qadosh Adonai Tzevaot” “Santo, santo, santo il Signore degli eserciti! ” (Is. 6, 3). In virtù della loro posizione, sono i cavalieri (parashim) di D-o, i portatori della sua gloria (kavod) laddove  più necessita, nel cuore (lev) dell’umanità. Il viaggio dei Serafini li porta anche molto al di sotto del regno umano. La necessità del viaggio dei Serafini sgorga dall’esistenza di creature di smisurato potere negativo, presenti nel mondo del male, l’abisso della psiche umana, noto come Sheol. Tali “mostri” tendono ad estendere il loro potere oltre ogni confine di sicurezza, e minacciano la stessa esistenza del creato, cercando di riportarlo a Tohu, cioè allo stato totalmente confuso ed indifferenziato. La missione dei Serafini, che in qualità di angeli sono sempre e soltanto dei messaggeri, è di contenere l’espandersi di queste forze infere, riportandole al volere di D-o. Per compiere un viaggio che li porterà così lontano dalla loro origine celeste, i Serafini diventano dei “serpenti” velenosi.
Le creature mostruose che minacciano l’esistenza del creato sono principalmente tre, una di aria, una d’acqua e una di terra.
La creatura gigantesca dell’aria si chiama ZIZ SADDAI ed è un uccello di dimensioni enormi. Il mito racconta che in volo esso possa oscurare il sole. Non è difficile vedere in queste descrizioni leggendarie i residui di antiche memorie, che testimoniano l’esistenza di animali preistorici, giganteschi, come i pteriodattili.
Il nome di quest’uccello ha due parti: ZIZ SADDAI. Ziz è Zain – Zain.  ZIZ è muoversi, “zaz” è tutto ciò che si muove. Questa semplice radice di due lettere, è una Zain ripetuta. Nel Libro della Formazione, la Zain è la lettera del senso dell’andare, quindi zaz è il trionfo della mobilità. Saddai (Shin Dalet Yud) viene dalla radice indicante “potenza”, Shin Dalet. Unita alla Yud, questa radice forma la parola “Shadday”, “Onnipotente”, uno dei più importanti  Nomi di D-o. Da sole tuttavia, quelle due lettere, indicano ogni tipo di potenza, anche quelle non provenienti dalla parte della Luce. Ad esempio, “shed” è “spettro”. Nella Bibbia il Ziz Saddai è menzionato due sole volte: Salmo 50, 11   e Salmo 80, 14.
La creatura mostruosa che vive sulla terra si chiama BEHEMOT.  Anch’esso è citato nei salmi di Davide. È il plurale di BEHEMAH, “bestia”, che non ha un significato negativo al plurale. Al singolare è invece un enorme pericolo per l’umanità, per tutta la creazione. Inteso come animale moderno è l’ippopotamo. Ma nel midrash corrisponde ai giganteschi dinosauri. Contrariamente agli altri due mostri, è erbivoro ma è altrettanto vorace. Si dice che potrebbe mangiarsi tutta la vegetazione e rendere la terra un unico grande deserto.
Dal punto di vista simbolico, lo ZIZ SADDAI è ogni cosa capace di oscurare la mente, con le sue ali oscura il sole, limita la potenza dell’intelletto. Nota il rapporto con zizzania, nel senso di “litigio”.
Il BEHEMOT classico ha invece una fame insaziabile di cose fisiche. È una passione sfrenata e smodata per ogni bene fisico di questo mondo, denaro, lusso, piaceri, appagamenti del corpo.
Il mostro marino è il LEVIATANO, il più noto dei tre e, come gli altri due, vorace e insaziabile. Il Leviatano, sul piano umano, opera sull’inconscio e sull’affettivo. È la paura della solitudine. Il Leviatano fu creato da D-o con una compagna femmina, una “leviatanessa”. Però, subito dopo, per evitare la distruzione del mondo, D-o uccise la Leviatana e castrò il Leviatano, affinché non si potesse riprodurre nemmeno incrociandosi con qualche altro animale. Quindi il Leviatano esprime una pena infinita, castrato e vedovo. Il Leviatano è portatore di questa pena. Dev’esserci in lui anche una profonda rabbia contro il suo Creatore, oltre a tutta la passione e la fame che possiedono anche gli altri due mostri.
Eppure il suo nome significa “accompagnare”, come Levi, Lamed Vav Yud, è il nome del terzo figlio di Giacobbe e Lea. Genesi 29, 34:
“apaam ilavè ishi elai – questa volta mio marito si sentirà unito a me..”
Significa accompagnare in senso intimo, festoso, anche musicale, oppure sessuale. È il piacere della compagnia. Lea “sente” un sentimento diverso da parte del marito alla nascita di questo figlio, tanto da chiamarlo Levi.
Il Leviatano è il passaggio dal piacere di stare con qualcuno alla paura di rimanere soli. È la paura che attanaglia già perfino mentre ci si accompagna piacevolmente con qualcuno, il pensiero o sospetto che ciò possa finire, deludere. Tale pensiero rovina sovente la gioia del momento di piacere.
Il Leviatano è una grande prova di iniziazione nel cammino verso il divenire simili a D-o.
L’insaziabilità di queste tre creature è paragonabile all’entropia, al caos, al disordine che aumenta in un sistema chiuso, all’interno del quale le particelle tendono a non scambiarsi più informazioni, se non ad urtarsi in modo caotico.
La Cabalà dice che il mondo galleggia entro la luce infinita, l’OR EIN SOF. Ma ciò porta con se due problemi, uno grande ed uno piccolo. Un mondo limitato non può venire collegato con un serbatoio di luce infinita perché il piccolo mondo sarebbe invaso e cancellato. Sarebbe come la luce di una candela dentro il sole. Questo è il problema più grande. Il problema più piccolo è che, anche coesistendo, la luce infinita non avrebbe comunicazione con una serie di luci estremamente più ridotte e limitate. Il balzo esistenziale tra di loro sarebbe esagerato. La Cabalà insegna tuttavia che esiste un sistema di comunicazione tra Luce Infinita e le luci finite, ed esso è il sistema dei 32 Sentieri (Lamed Beit Netivot), che con DA’AT sono saliti a 33. in altri termini, si tratta dell’Albero della Vita, che unisce Keter con Malkhut.
I Serafini sono i messaggeri di fuoco di D-o, che scendono all’occorrenza nel mondo degli inferi. D-o affida loro la missione di farsi simili alle creature che devono penetrare e con la quale entrare in contatto, affinchè venga ristabilito un ordine nel mondo e la voracità delle creature infere sia rinsavita o, comunque, posta sotto controllo. Si noti l’uso della parola Serafim, Sin Resh Reh in Numeri 21,6 col significato di serpenti brucianti, e l’uso della parola saraf in Nm 21,8 ancora col significato di serpente. In quel brano, il popolo di Israele, per l’insofferenza a cibarsi di manna nel deserto, viene punito da D-o con il morso di serpenti velenosi. Dietro suggerimento di D-o, Mosè costruisce allora un bastone con un serpente di bronzo, attorcigliato intorno ad esso. Al solo vederlo, gli ebrei che erano stati morsi dai serpenti velenosi si riprendevano e guarivano. Cioè, quel dispositivo poteva ridare vita ai moribondi. Dunque, il serpente/serafino ha una doppia valenza di vita e morte.
In Numeri 21, 9, serpente è scritto Nachash, Nun Cheit Shin.
Si noti questo interessante fenomeno numerico: la differenza tra le ghematrie di saraf 580 e nachash 358è 222, che corrisponde alla parola berakh “benedire”. I Serafini, divenuti nel mondo intermediari di D-o, hanno un potere salvifico attraverso la sua parola, di cui sono portatori. La parola di D-o giunge alla creature malefiche attraverso una benedizione. 222 è anche “rakhav”, “cavalcare”, la radice che indica il viaggio sul Cocchio Celeste. Ciò sottolinea come un viaggio mistico possa contenere anche fasi di discesa nei mondi inferiori, come fanno i Serafini.
Particolarmente gravoso è il compito di entrare nello Sheol, e la trasformazione dei Serafini non è senza pena. Durante il viaggio di andata verso gli inferi, essi si spogliano della natura angelica e si rendono simili alle creature del male, diventando dei serpenti, per poter svolgere la loro missione di comunicare la parola di D-o a chi sta in basso.
Compiuta la loro missione non possono, però, riacquistare istantaneamente la loro forma originaria e tornare al loro luogo di appartenenza, “al sopra del trono”, a proclamare la gloria di D-o, se non tramite un modo molto ingegnoso. Per poter scendere in basso, la loro trasformazione è vera e totale. Ecco il perché ciò non può essere capovolto istantaneamente.
Dopo essere penetrati nelle viscere della terra, risaliranno verso l’alto solo diventando linfa vitale degli alberi, saraf. La linfa negli alberi sale ad una velocità di 15 metri all’ora, contro la forza di gravità. Durante l’inverno però, questo processo rallenta o si ferma. Secondo la tradizione ebraica la linfa riprende a scorrere negli alberi ancor prima che giunga la primavera, e ciò inizia il giorno di TU BE SHEVAT.
Tu be-Shevat corrisponde al quindici del mese di Shevet, il mese il cui segno zodiacale è l’Aquario, ancor prima della primavera. In ebraico ogni lettera ha anche un valore numerico e le lettere Tet e Vav, che formano, la parola “Tu”, equivalgono al numero 15. Tale giorno, detto il Capodanno degli alberi, Rosh Ha-Shanà Lailanot, viene indicato come il giorno in cui cominciano a fiorire i mandorli. È la “festa degli alberi”. È la luna piena di Shvat. Si noti come la luna piena duri in realtà due giorni del mese lunare, il 14 esimo e il 15 esimo. La festa di Tu bi Shvat corrisponde dunque, nel calendario cristiano, al 14 di febbraio, San Valentino, la festa dell’amore. In un prossimo articolo spiegheremo il significato esoterico di ciò.
Qualche osservazione sul simbolismo dell’albero.
1) Nella tradizione ebraica quando nasce un bambino si usa piantare un albero. A tempo debito, i rami di quello stesso albero serviranno per costruire la chuppà, cioè il suo baldacchino nuziale.
2) La riflessione sulla natura dell’uomo: l’uomo come creatura è una specie di albero rovesciato (con le radici in alto). Questa identità simbolica propone una riflessione sulle origini dell’uomo, sulla sua dipendenza dall’alto nelle risorse naturali e spirituali, sulla sua potenzialità produttiva di frutti buoni e utili, sulla sua forza e sulla sua debolezza, sul suo destino. La responsabilità: la storia dell’umanità in questo mondo comincia dalla colpa di Adamo ed Eva, che mangiano un frutto proibito. Mangiare ritualmente della frutta, con atteggiamento meditativo e benedicente, fa parte di un processo di presa di coscienza di responsabilità e di riparazione.
3) “Se stai piantando un albero e ti dicono che è arrivato il Messia, prima finisci di piantare l’albero e poi vai ad accogliere il messia”. Ciò dice quanto sia veramente importante la presenza degli alberi nel creato.
4) Questa festività è molto amata dai bambini ed in Israele si vedono intere scolaresche armate di picconi in miniatura che eccitati mettono a dimora nella terra ciascuno il suo alberello.
5) Ma si usa anche mangiare un frutto “nuovo” e si fa il Seder Tu Bi-Shevat, una sorta di pasto a base di frutta, durante il cui svolgimento, così come si fa nel più noto Seder di Pesach, si leggono brani della tradizione e si recitano particolari preghiere.
Ora, come visto, la risalita dei Serafini avviene all’interno delle piante, e termina nei fiori e nei frutti. Il trionfo dei loro profumi, colori e sapori, è già di per se il momento nel quale essi tornano a riunirsi ai cori angelici. Infatti, tale bellezza è sicuramente un canto di lode. Ma c’è un’altra via. Ed è attraverso la persona consapevole che si ciba, benedicendoli, dei frutti. Le scintille angeliche in essi si uniscono così alla specie umana, realizzando un connubio di ardite proporzioni e dimensioni. L’uomo diventa simile ad un angelo, e l’angelo, che è energia divina, si “incarna”.
Nella continuazione di questo articolo parleremo di san Valentino, della coppia uomo-donna che tengono le loro mani sull’albero e gli danno il segnale di risalita, della via della coppia, oneg e della via della solitudine, nega , che ci si fa inchiodare e soffrire sul legno per farlo diventare da conoscenza a vita.
fonte http://mikeplato.myblog.it/2009/12/16/il-lungo-cammino-dei-serafini/

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