Ambrose Evans-Pritchard sul Telegraph commenta – con una certa preoccupazione per il futuro dell’Alleanza Atlantica e per quello che lui chiama il sistema di sicurezza occidentale – il progressivo avvicinamento tra Grecia e Russia, che non ha prodotto risultati eclatanti ma ha posto le premesse per una buona collaborazione futura compromettendo l’unità del fronte occidentale, mentre la Grecia si prepara probabilmente a un default verso la BCE. La responsabilità è tutta di un’Europa che, nata per essere un’unione fraterna, si sta facendo a pezzi da sola per il “vil denaro”.
di Ambrose Evans-Pritchard, 8 aprile 2015
L’Unione Europea ha servito a Vladimir Putin un irresistibile premio strategico su un piatto d’argento.
L’Unione Europea ha servito a Vladimir Putin un irresistibile premio strategico su un piatto d’argento.
Insistendo rigidamente sul fatto che il governo greco di sinistra radicale deve ripudiare le sue promesse elettorali e sottomettersi al rituale di fedeltà – anche su richieste di poco peso economico o su cose che potrebbero apparire inopportune alla specifica antropologia di una società post-ottomana – ha spinto il premier greco tra le braccia di un Cremlino revanscista.
La visita di Alexis Tsipras a Mosca è stata un festival della fratellanza e della solidarietà. Questo mercoledì Tsipras ha deposto una corona di fiori sulla tomba del Milite Ignoto, e ha parlato della lotta congiunta contro il Fascismo e contro un nemico non meglio specificato. Lo squallido tema del denaro, ovviamente, è stato evitato. “La Grecia non è un mendicante“, ha detto.
“La visita non avrebbe potuto avvenire in un momento migliore“, ha detto Putin, facendo le fusa come un gatto che ha mangiato il topo.
Le sanzioni dell’UE contro la Russia termineranno a giugno, a meno che tutti i 28 paesi non siano d’accordo a rinnovarle, ma Tsipras ha già segnalato qual’è la sua intenzione. “Dobbiamo lasciarci alle spalle questo circolo vizioso” ha detto.
E ha aggiunto, per togliere ogni dubbio: “La Grecia è un paese sovrano che ha l’indiscutibile diritto di mettere in campo una politica estera propria e di svolgere il proprio ruolo geopolitico“.
Un veto greco alle sanzioni incoraggerebbe l’ungherese Viktor Orban ad unirsi alla rivolta, questa volta apertamente. Il suo paese si è già assicurato una linea di credito da 10 miliardi di euro dalla Russia, finalizzata ad ampliare le sue centrali nucleari, con un accordo che è stato descritto come un “acquisto di influenza politica” da un importante commentatore.
La Slovacchia si sta silenziosamente allontanando da quello che una volta era un fronte unito (pur con qualche insofferenza) della UE, che faceva da deterrente per un intervento del Cremlino in Ucraina. I numeri sono importanti in questa costellazione che si sta evolvendo, che gli avversari di Putin chiamerebbero la “quinta colonna” interna all’UE. Bruxelles può metterne in ginocchio uno, ma non un intero manipolo di ribelli. Sta perdendo potere.
Non c’è bisogno di dire che un mancato rinnovo delle sanzioni in un momento in cui il Donbass è ancora sotto il controllo delle forze legate a Putin aprirebbe una spaccatura tra gli USA e l’Europa, che toglierebbe ulteriore linfa vitale all’Alleanza Atlantica e a ciò che rimane della struttura di sicurezza occidentale. Ma non è finita qui.
Il progetto UE si sta indebolendo ad est. Pensavamo di sapere dove stavamo andando quando è stata presa la decisione finale nel giugno 2003 – curiosamente proprio ad Atene – di ammettere gli ex paesi satelliti del blocco sovietico, che chiedevano tutti a gran voce di unirsi a quello che sembrava essere un club illuminato di democrazie sotto il principio di legalità.
Ero là per il Telegraph quando Tony Blair, alla Stoa di Attalos, vicino alle colonne di Socrate e di Platone, esaltava la libertà “dalla dittatura e dalla repressione” che questi paesi avevano appena conquistato.
Ora a Budapest abbiamo un governo che si fa beffe della libertà di stampa e dell’indipendenza della magistratura, e ad Atene c’è un governo che sta difendendo disperatamente la propria democrazia contro la stessa UE. Putin deve solo lasciare tempo al tempo, finché il fianco sud-est dell’UE non andrà in pezzi.
Le potenze creditrici dell’Europa hanno avvertito la Grecia che non vogliono essere prese in giro, e di non provare a mettere Bruxelles contro Mosca, ma sembrano stranamente inconsapevoli del fatto che anche loro dovranno fare delle concessioni, se vogliono impedire che le cose vadano fuori controllo, tanto per loro quanto per la Grecia.
La loro reazione imperiosa invece è stata quella di rivolgere a Tsipras delle richieste stonate, ordinandogli di scaricare l’ala sinistra di Syriza e di formare una coalizione con gli screditati resti del vecchio regime – quella stessa oligarchia che ha depredato il paese.
“Stanno cercando di negare i risultati delle nostre elezioni. È un evidente disprezzo del processo democratico, e produrrà forti reazioni“, ha detto Costas Lapavitsas, deputato di Syriza, e ha continuato: “Ogni volta che le potenze straniere cercano di intromettersi in questo modo, si arriva a dei risultati opposti. Tsipras sa che, se seguisse una strada così disastrosa, sarebbe la fine della sua carriera politica“.
Syriza ha imparato velocemente. Avevano ritenuto possibile formare un fronte comune insieme a Portogallo, Italia e Spagna contro il regime dell’austerità, e speravano che il leader socialista francese si sarebbe messo dalla loro parte nel consiglio europeo. “Hanno peccato di eccessivo ottimismo“, ha detto il prof. Jacques Sapir, della École des Hautes Études di Parigi.
Hanno scoperto invece che i governi conservatori di Spagna e Portogallo – definite da Tsipras “potenze dell’Asse” durante uno sfogo rivelatore – erano i loro più implacabili nemici, e per ovvi motivi. I leader spagnoli e portoghesi hanno legato il loro stesso futuro al rispetto dell’austerità, e se Syriza dovesse ottenere una qualsiasi concessione, dovrebbero entrambi vedersela con la minaccia populista a casa propria.
Sapir ha detto che Syriza ha fatto lo stesso errore dei bolscevichi nel 1917, che sognavano che il loro esempio avrebbe dato avvio ad una rivoluzione parallela in Germania. Quando non è avvenuto, la loro strategia è collassata, costringendoli a ripiegare nell’autarchia. Un’avvilita Syriza sembra sempre più riconciliata con l’idea di un’espulsione dall’unione monetaria, anche se ben consapevole che ciò potrebbe essere giustificato di fronte al popolo greco solo se avvenisse per costrizione.
“Il governo greco ha capito che non potrà trovare alcun terreno comune con l’Eurogruppo e la Banca Centrale Europea, a meno di accettare una resa incondizionata“, ha affermato Sapir.
Un funzionario greco mi ha detto che Atene non sta nemmeno chiedendo del denaro alla Russia e alla Cina in questa fase, perché sarebbe inutile. Syriza sta già guardando oltre, sta cercando chi potrà aiutarla nella ricostruzione, dopo l’inevitabile default – che sia dentro l’unione monetaria, come essi sperano, o fuori, come temono.
La Russia non è abbastanza ricca per salvare la Grecia. È essa stessa in una profonda crisi – con una contrazione economica del 3% per quest’anno – e rischia una stagnazione in stile età sovietica se i prezzi del petrolio si fermano a 60 dollari al barile. La maggior parte dei suoi 360 miliardi di dollari di riserve estere servono a tappare i buchi e ad aiutare le aziende russe a rinnovare i loro debiti in valuta forte. Comunque non è ancora in bancarotta.
Putin ha detto di aver discusso “di cooperazione in diversi settori dell’economia, inclusa la possibilità di sviluppare importanti progetti energetici” piuttosto che di una qualche richiesta di aiuto. Così viene condotta la diplomazia, a questo livello.
La cartina di tornasole di ciò che sta davvero accadendo sarà vedere se la Russia comprerà i buoni del tesoro greci che verranno messi in vendita, alleviando così la pressione nel momento in cui la BCE ha detto alle banche greche di astenersene. Atene deve rinnovare 1,4 miliardi di euro il 14 aprile e un ulteriore miliardo il 17 aprile, e ciò può portare un certo stress. La Cina ha già comprato 100 milioni di euro di buoni del tesoro, come segno di sostegno morale.
Syriza ha abbastanza denaro per pagare i 458 milioni di euro che deve al Fondo Monetario Internazionale questo giovedì, ma questo la lascia a corto di soldi per pagare 1,7 miliardi di euro di pensioni e stipendi cinque giorni dopo. Hanno già raschiato il fondo del barile, sebbene qualche piccola somma possa forse essere recuperata dai fondi ospedalieri o facendo razzia dei conti correnti presso la banca centrale. Potremmo non sapere se Mosca ha offerto una qualche forma di prestito ponte – magari indirettamente – per coprire questo urgente ammanco di bilancio.
Le autorità dell’unione monetaria hanno fatto presente che potrebbero essere disposte a sborsare qualche fondo se il FMI verrà pagato, confermando così le sottigliezze formali della Troika EU-FMI. Ma come riportato dal Telegraph la scorsa settimana, Syriza teme una trappola. “Stanno cercando di metterci nella posizione in cui siamo costretti o a fare default verso il nostro stesso popolo, o a firmare un accordo che per noi sarebbe politicamente letale“, ha detto un funzionario.
La situazione era ormai così grave che il ministro delle finanze Yanis Varoufakis la domenica di Pasqua è volato a Washington per rompere l’impasse con Christine Lagarde del FMI. La Grecia ha accettato di rispettare il pagamento dovuto al FMI: il FMI in cambio ha accettato di mostrare “la massima flessibilità” sui piani di riforme di Syriza. Ciò appare come un impegno da parte del FMI che i greci non saranno lasciati a secco il prossimo 14 aprile.
Syriza ha saggiamente deciso che sarebbe pericoloso fare default col FMI, o anche solo lasciare degli arretrati. Nessun paese sviluppato è mai arrivato a questo. Il Peru di Alan Garcia – lo Tsipras del suo tempo – fece default negli anni ’80 e poi disse che era stato il peggiore errore mai compiuto.
Se devono fare default, dovrebbero piuttosto scegliere di mettersi contro i creditori dell’UE e soprattutto la BCE, il nemico numero uno che ha preso la decisione politica preventiva di togliere alle banche grece un’ancora di salvezza fondamentale proprio pochi giorni prima delle elezioni greche.
Guarda caso, la Grecia deve pagare alla BCE 194 milioni di euro di interessi il prossimo 17 aprile. Anche se la Grecia dovesse riuscire a raccattare abbastanza denaro per soddisfare le esigenze di rinnovo del debito per questa primavera, potrebbe non essere in grado di coprire i 6,7 miliardi di euro di rimborsi obbligazionari dovuti alla BCE per luglio e agosto, a meno che non ci sia un nuovo programma di salvataggio.
E Syriza non è disposta a pagare, dato che la BCE ha comprato questi bond nel 2010 per salvare le banche tedesche e francesi e per impedire una crisi bancaria che avrebbe coinvolto tutta l’unione monetaria, e non per aiutare la Grecia. Il parlamento greco non è stato mai consultato. E Syriza non vede nemmeno un grosso vantaggio a trascinare avanti l’agonia. “Se deve succedere, che senso ha aspettare?” ha detto un ministro.
Un ex funzionario della BCE ha detto che il timore è che la Grecia dia il calcio d’inizio dichiarando un default selettivo verso Francoforte, ritenendolo un bersaglio politico più facile. Ciò coprirebbe sia i titoli pubblici che gli 80 miliardi di passività verso il sistema dei pagamenti “Target2″ della BCE, passività che si sono accumulate automaticamente a causa della fuga di capitali.
“Il punto cruciale è che le passività Target2 non sono coperte da alcun collaterale. I greci potrebbero semplicemente chiudere la Banca della Grecia un venerdì mattina, e creare una nuova banca centrale pronta per il lunedì mattina successivo. Non c’è corte di giustizia in Europa che possa costringere al pagamento una Banca della Grecia che non c’è più. Questa è la loro migliore possibilità di proteggere il popolo greco, ma non sarebbe molto carino verso la BCE”, ha detto.
Se Syriza farà saltare il sistema Target2, sarà un trauma per la BCE – e forse anche una ricapitalizzazione forzata a spese dei paesi membri – e darebbe inizio ad una tempesta politica in Germania.
Hans-Werner Sinn dell’IFO Institute ha da lungo tempo avvertito che la Germania e gli altri paesi creditori sono esposti per somme enormi tramite il sistema Target2, che non sono mai state riconosciute o approvate dal Bundestag. Le sue proteste hanno portato solo a delle risposte sprezzanti da parte della Bundesbank e delle autorità politiche.
Tuttavia, se queste esposizioni verso la Grecia si congelassero, non è affatto detto che il parlamento tedesco continuerà a permettere che il sistema Target2 faccia maturare perdite potenziali ancora più grosse verso il resto dell’Europa meridionale. Senza Target2, l’eurozona finirebbe di funzionare come unione monetaria.
Putin sarà certamente soddisfatto per aver ottenuto così tanto con così poco. Un quarto di secolo fa guardava con orrore l’Unione Sovietica avviarsi all’autodistruzione. Questa volta ha la soddisfazione di vedere i suoi nemici, molto più ricchi, farsi a pezzi da soli per il vil denaro.
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