Iniziare a fare un lavoro su di sé vuol dire proprio eleggere un testimone, una parte di noi che inizia ad osservare. Si dice infatti che l’osservazione è l’inizio e la fine del lavoro su di sé. Basterebbe semplicemente osservarsi con sincerità e senza giudizio per arrivare a ottenere la fusione con l’Uno. Bisogna diventare i testimoni di tutto ciò che accade nella nostra mente, in modo asettico e senza applicare alcun giudizio. Il lavoro da fare consiste nell’annotare mentalmente o per iscritto tutte le nostre emozioni (gioie, dolori, preoccupazioni). In tal modo procederemo a fare una sorta di scatto fotografico mentale dello stato di addormentamento della nostra macchina del sonno. Questo passaggio è fondamentale perché l’osservazione è in grado di modificare l’oggetto osservato. Pertanto quando annotiamo le emozioni altro non facciamo che cercare nei ricordi come si comportava la macchina durante il giorno mentre era nel sonno, non osservata. I cardini di questo lavoro sono principalmente due. Accettazione: bisogna accogliere le emozioni senza cercare di reprimerle. La repressione non risolve il problema, ma anzi lo aggrava. Rigettando le emozioni nel nostro inconscio, infatti, riemergeranno prima o poi ancora più violente. Non-giudizio: non giudicate le vostre emozioni. Non etichettatele. Invece sforzatevi di amarle se potete, ricordandovi che sono lì per aiutarvi a crescere.Andiamo ora al ricordo di sé… Il ricordo di sé è in realtà una stato nel quale siamo sempre ma non lo notiamo, non abbiamo cioè coscienza. Tramite “un emozione molto intensa”, dice Ouspensky, “si può creare la base per il ricordo di sé”. Ma come si fa? Mi ricordo di me tutte le volte che passo attraverso una porta, mi ricordo di me tutte le volte che mi alzo o mi siedo e così via. Il ricordo di sé implica sempre uno sforzo: io non posso ricordarmi di me meccanicamente, non è una cosa che accade nella mia vità così, anche se non ci penso. Mantenere il ricordo di me significa che devo sforzarmi di farlo, devo esserci, devo impiegare una certa energia. Il ricordo di sé consiste nell’auto-osservazione portata nel momento presente. Istante dopo istante, ci si osserva mentre si agisce. L’obiettivo è restare sempre agganciato al corpo e a ciò che stafacendo nell’adesso. Anzi, ricordate, di tanto in tanto durante il giorno ponete la vostra attenzione sul vostro corpo e dirigetela in ogni parte di esso. I movimenti inconsapevoli, meccanici, devono sparire dalla vostra vita. Ogni singola azione deve essere permeata di coscienza, cioè avviene perché siete voi a volerla. Gli esercizi di auto-osservazione e del ricordo di sé deve essere il primo pensiero la mattina appena sveglio e l’ultimo la sera prima di andare a dormire. Buon lavoro. Buon risveglio. Fonte:aterzaattenzione.blogspot.it Ma può una coscienza che è testimone cantare davvero, danzare e gustare la vita? Osho insegna: Ci dici continuamente di “essere un testimone, un osservatore”, di tutto quello che facciamo, pensiamo e sentiamo. Ma può una coscienza che è testimone cantare davvero, danzare e gustare la vita? La mente deve fare queste domande, prima o dopo. perché la mente ha molta paura che tu diventi un testimone. Perché la mente ha così paura di te che diventi un testimone? – perché tu che diventi un testimone è la more della mente. La mente fa, vuole fare cose, e l’essere testimone è uno stato del non-fare. La mente teme che, “se tu diventi testimone, non ci sarà più bisogno di me.”. E da un certo punto di vista, la mente ha ragione…Quando il testimone sorge dentro di te la mente deve scomparire, proprio come quanto porti la luce nella stanza e l’oscurità deve scomparire; è inevitabile. La mente può esistere solo se tu rimani profondamente addormentato, perché la mente è in uno stato di sogno, e i sogni possono esistere solo nel sonno. Diventando un testimone non sei più addormentato, sei sveglio. Diventi consapevole – chiara come un cristallo, fresca e giovane, vitale e potente. Tu diventi la fiamma – intensa, che brucia da entrambi i lati…come se, in quello stato di intensità, di luce e di consapevolezza, la mente muore, la mente si suicida. Ecco perché la mente ha paura. La mente creerà molti problemi per te, e solleverà molte domande. Ti farà esitare dal fare un salto nell’ignoto; cercherà di tirarti indietro. Cercherà di convincerti che, “Con me c’è la sicurezza; con me tu vivi sotto un riparo, ben sorvegliato. Mi prenderò cura di te. Con me sei efficiente, esperto. Nel momento in cui mi lasci, dovrai lasciare tutta la tua conoscenza, dovrai lasciare tutte le tue sicurezze e le tue salvezze. Dovrai lasciare andare la tua armatura e andare verso l’ignoto. Dovrai prendere dei rischi, non necessari, senza alcun “motivo”. Cercherà di portarti delle belle razionalizzazioni. Questa è una delle razionalizzazioni che quasi sempre accade a tutti i meditatori. Non sei tu a porre la domanda; è la tua mente, il tuo nemico, che sta mettendoti queste domande dentro. E’ la mente che dice, “Può una consapevolezza che è testimone cantare davvero, danzare e gustare la vita?”.” Si. In effetti solo una consapevolezza che è testimone può davvero cantare, ballare e gustare la vita. Appare come un paradosso – lo è! Ma tutto ciò che è vero è sempre paradossale, ricorda.Se la verità non è paradossale allora non è verità per niente; allora è un’altra cosa. Quando sei nella mente, come puoi cantare? La mente crea miseria; e non c’è canzone che nasca dalla miseria. Quando sei nella mente, come puoi danzare? Si, puoi continuare a fare gesti vuoti che chiami danza, ma no è una danza vera. La danza vera accade solo quando tu sei diventato un testimone. Solo allora sei così pieno di beatitudine che la beatitudine stessa comincia a straripare; questa è la danza. La beatitudine stessa comincia a cantare; una canzone nasce da sé. E solo quando sei un testimone puoi gustare la vita. Posso comprendere la tua domanda: sei preoccupato che diventando un testimone uno diventi solo uno spettatore della vita. No, essere uno spettatore è una cosa e essere testimone è una cosa totalmente diversa, qualitativamente diversa. Uno spettatore è indifferente, è ottuso; è un uno stato di sonno. Non partecipa alla vita. Ha paura, è un codardo. Rimane sul lato di una strada e guarda gli altri che vivono. Questo è ciò che fai da sempre: qualcun atro recita un film e tu osservi. Tu sei spettatore! Le persone sono incollate alle sedie di fronte alla TV – spettatori! Qualcun altro canta; tu ascolti. Qualcun altro danza; tu sei solo uno spettatore. Qualcun altro ama e tu osservi. Tu non sei un partecipante. Dei professionisti stanno facendo quello che tu avresti dovuto fare per te. Un testimone non è uno spettatore. E allora che cos’è un testimone? Un testimone è colui che partecipa rimanendo sveglio. Un testimone non è colui che è scappato dalla vita. Vive nella vita, vive molto più totalmente, molto più appassionatamente, eppure, in profondo, rimane un osservatore; e continua a ricordare che, “Io sono consapevolezza”. Prova a camminare per strada; ricordati di essere una coscienza. Il camminare continua…e si aggiunge una cosa nuova, una nuova ricchezza, una nuova bellezza. Un qualcosa di interiore si aggiunge ad un atto esteriore. Tu diventi una fiamma di coscienza, e poi il camminare ha una giogaia completamente diversa; sei sulla terra e al contempo i tuoi piedi non toccano la terra. Non sono contro l’azione, ma la tua azione deve essere illuminata dalla consapevolezza. La parola azione è l’opportunità migliore per diventare consapevoli. Ti offre una sfida, rimane una sfida costante. O ti addormenti e diventi uno che fa; allora sei un uomo del mondo, un sognatore, una vittima delle illusioni – oppure puoi diventare un testimone e comunque continuare a vivere nel mondo; allora la tua azione ha una diversa qualità. E’ un azione reale. Coloro che non sono consapevoli, agiscono azioni che non sono azioni ma reazioni; reagiscono e basta. Qualcuno ti insulta e tu reagisci. Insulta il Buddha: non reagisce – agisce. La reazione dipende dall’altro; spinge un bottone e tu sei solo una vittima, uno schiavo; funzioni come una macchina. La vera persona, che conosce la consapevolezza, non reagisce mai; agisce dalla sua consapevolezza. L’azione non ha origine dall’atto di un altro; nessuno può spingere il bottone. Se sente spontaneamente ciò che è giusto fare, lo fa; se sente che niente occorre, se ne sta quieto. Non è repressivo; è sempre aperto, sempre espressivo. La sua espressione è multidimensionale. Fluisce nel canto, nella poesia, nella danza, nell’amore, nella preghiera, nella compassione. Se non diventi consapevole, ci sono solo due possibilità: sarai o repressivo o indulgente. In entrambi i casi sarai in schiavitù. “The Dhammapada: The Way of the Buddha”
Fonte: www.activemeditation.com
https://ununiverso.it/2017/08/04/9151/
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