mercoledì 27 gennaio 2016

Intervento americano in Siria (passando sul cadavere di Litvinenko)

Il presidente russo Vladimir Putin

Comincia una nuova offensiva occidentale contro Putin e la Russia.

I segnali sono chiari: Ashton Carter, capo del Pentagono, annuncia che gli Stati Uniti stanno cominciando ad affrontare il problema di un intervento sul terreno in Siria. Il vice-presidente Joe Biden va in Turchia per rafforzare i legami con l'alleato della Nato, e annuncia l'ipotesi di un intevento congiunto turco-americano nello stesso scenario. In violazione plateale della legge internazionale, che non li autorizza a questo. Ma siamo ormai nell'era dell'assenza di regole. Dunque bisogna trovare una spiegazione pratica.
La Russia sta vincendo, da sola, la guerra contro Daesh, e controlla sostanzialmente e legalmente tutto lo spazio aereo della Siria. La fine dello Stato Siriano è scongiurata. Bashar al-Assad sarà — stanti così le cose — al tavolo negoziale. Bisogna fermarla prima che gl'incontri di Ginevra avviino la soluzione politica. Biden e Carter sono rappresentanti delle due fazioni nell'amministrazione Obama. Dunque c'è da attendersi qualche cosa di grosso. La recente visita alla base russa di Latakia, al possente sistema difensivo costruito da Mosca in Siria — organizzata dal Ministero della Difesa russo e alla quale ho potuto prendere parte — ha permesso a decine di canali televisivi occidentali di filmare la situazione sul campo. Quelle immagini stanno facendo il giro del mondo, insieme a quelle della ritirata in atto di Daesh da molti dei fronti di guerra.
Ripeto: bisogna fermare Mosca. E Putin, che in questi ultimi quattro mesi ha conquistato posizioni su posizioni nelle opinioni pubbliche occidentali, superando nei ratings perfino i leaders locali. Questo perché sono ormai molti coloro che cominciano a comprendere che la Russia, ben diversamente dall'immagine del "nemico" che si è cercato di formare, appare sempre di più come un partner e un alleato a un'Europa inquieta, anzi terrorizzata. Senza guida politica, senza piano per fronteggiare il terrorismo vero, le provocazioni artificiali come quella di Colonia, la crisi economica e sociale che non accenna a diminuire.
Dunque, a maggior ragione, la leadership americana si prepara a schiacciare il pedale dell'intensificazione della tensione. Ed ecco uscire, per la terza o quarta volta, il comodo dossier sull'assassinio al Polonio di Litvinenko, ex agente del KGB Litvinenko e collaboratore dell'altrettanto defunto (per presunta autoimpiccagione) Boris Berezovskij. Anche questa volta un magistrato di Sua Maestà Britannica ha risposto all'ordine e ha sollevato il caso. In verità senza aggiungere nulla di nuovo. Del resto non poteva: il caso è stato segretato qualche anno fa per questioni di sicurezza nazionale. Il che fa pensare che i servizi segreti britannici abbiano avuto a che fare con la vicenda. Ciò nonostante il magistrato ha concluso che è "probabile" la responsabilità dello stato russo nell'assassinio. Dunque di Putin. Cameron, che è responsabile della morte di migliaia di persone in Libia, si è lanciato in accuse contro Putin che, in un mondo normale dovrebbero precludergli per sempre ogni viaggio a Mosca.
Sulla base di una tale conclusione non c'è tribunale al mondo che possa iniziare alcun procedimento penale. Ma è stato quanto bastava per scatenare una campagna mediatica straordinaria che ha invaso, come un uragano l'intero mainstream occidentale. L'Italia non ha fatto eccezione. E La Repubblica ha superato tutti dedicando ben quattro paginoni al caso Litvinenko e mobilitando in un colpo solo e per qualche giorno tutti i suoi tromboni anti russi. Naturalmente inforcando la tesi del compiacente magistrato, cioè salendo su una bicicletta senza ruote. Non una parola alle tesi opposte. Per esempio quella del fratello Maksim, che già alcuni anni fa espresso il sospetto che l'assassinio fosse stato organizzato dai servizi segreti occidentali per togliere di mezzo un testimone informato delle operazioni di discredito di Vladimir Putin che avevano avuto per protagonista Boris Berezovkij.
Non resta che tornare alla domanda precedente. Quando si muovono le corazzate informative del mainstream occidentale, è legittimo aspettarsi movimenti successivi delle armi non metaforiche, cioè quelle con cui si fa la guerra e si uccidono le persone.


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