venerdì 1 gennaio 2016

Come l’Europa finì nelle mani del sultano Erdogan.


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di Eriprando Sforza

Quando cinque anni fa feci un breve viaggio a Istanbul, non avrei mai pensato di stare vivendo nel mio futuro. Cinque anni, in fondo, non sono tanti, ma in questo lasso di tempo il mondo in cui sono nato e cresciuto si è trasformato radicalmente. E davvero mai avrei scommesso che quello che allora veniva considerato un primo ministro infido e pronto a seppellire la democrazia sarebbe diventato il nostro leader. Leader di noi europei, intendo, la nostra guida Recep Tayyip Erdogan.
All’epoca gli ingenui tacciavano il premier turco di essere una variabile impazzita all’interno della Nato, sponsor nemmeno tanto occulto dell’Isis, un repressore che faceva chiudere i giornali dell’opposizione in diretta televisiva, un alleato che tale non era più e forse in cuor suo non lo era mai stato. Un mio conoscente aveva addirittura cercato, senza successo devo dire, di organizzare una marcia di protesta per chiedere la cacciata della Turchia dalla Nato. Non aveva capito niente.
Ai meno sprovveduti la mente cominciò ad aprirsi quando i turchi abbatterono un caccia di Mosca, una decina di giorni dopo le stragi di Parigi al Bataclan e in altri posti che non ricordo, pochi giorni dopo l’alleanza informale stretta dall’inquilino dell’Eliseo François Hollande con il presidente russo Vladimir Putin per combattere in maniera coordinata l’Isis in territorio siriano. Vado a memoria perché le tracce di quei giorni su Google sono frammentarie, il mese scorso Erdogan ha firmato un accordo con i vertici del gruppo americano per una più stretta vigilanza sulle offese all’islam e temo anche alla sua augusta personalità. Poiché le nostre menti da anni non sono più esercitate a ricordare (“che lo imparo a fare, tanto c’è Google”, era il mantra delle nostre vite), per non parlare di chi ha 18 anni, faccio davvero una gran fatica a rimettere in ordine gli avvenimenti.
Mi consola solo il fatto che i bambini di oggi almeno torneranno ad imparare a memoria qualcosa: non le poesie di Pascoli o di Ungaretti, ma i versetti del Corano.  Certo era strano: tutti noi, popolino europeo, sentivamo che il nostro più pericoloso nemico era l’Isis. In fondo ce lo ripetevano anche i nostri presidenti, seppur senza troppa convinzione. Cinque anni fa, dunque, la situazione era questa: i turchi, nostri alleati nella Nato, comprano il petrolio dall’Isis e compiono un atto di guerra nei confronti della Russia, che invece attacca l’Isis pesantemente. E la stessa Francia, principale vittima di questi uomini vestiti di nero e che pubblicano una patinata rivista in inglese, Dabiq, ha chiesto aiuto a Putin.
Quindi logica vorrebbe che la Russia fosse nostra alleata e la Turchia nostra nemica. E invece non è così. Perché non avevamo capito che il principale nemico dell’azionista di maggioranza della Nato (perdonate il linguaggio da ragioniere, ma per quarant’anni ci hanno fatto il lavaggio del cervello dicendoci che gli Stati devono essere amministrati come le aziende) era ancora e sempre la Russia. In realtà, Washington l’aveva proclamato a chiare lettere pochi mesi prima, ma la verità si era persa nel rumore di fondo dei media mainstream.
La Russia non può intervenire in Siria perché vuole mantenere al potere Assad il sanguinario. E poco importa che il presidente siriano protegga i cristiani che vivono sul suo territorio, mentre l’Isis taglia loro la testa. Assad se ne deve andare e per raggiungere questo obiettivo supremo l’America sostiene gruppi alleati di al Qaida, che alla fine si è dimostrata essere più moderata di tanti altri. La gente in Europa è confusa: ma come, quelli dell’Isis fanno il tiro al bersaglio contro di noi perché siamo infedeli e poi, dopo tutto quello che è successo, l’obiettivo numero uno di Washington resta quello di abbattere un uomo che non sarà di certo un santo ma almeno non ti ammazza perché sei cristiano?
Una domanda che proprio tutti si sono posti quando, tra l’orrore generale, una settimana dopo papa Francesco venne fatto saltare in aria mentre apriva le porte del Giubileo nella Cattedrale di Bangui, nella Repubblica Centrafricana, un posto dove cristiani e musulmani se le davano di santa ragione. Un frammento del bianco abito talare impregnato di sangue del gesuita argentino venne portato a Roma e lì è venerato dai pochi che ancora si professano cattolici. La reliquia non è vegliata dalle Guardie Svizzere perché sono state sostituite dai bosniaci di Erdogan, una delle personalità più commosse il giorno dei solenni funerali in Piazza San Pietro. Vennero prese misure di sicurezza mai viste prima e tutto filò liscio sebbene quella sarebbe stata l’occasione giusta per decapitare l’intera élite planetaria (tra il pubblico c’era anche Warren Buffett, le labbra incollate per tutto il tempo della cerimonia a una lattina di Coca-Cola). Qualcuno osò dire che sembrava un funerale di mafia, con i mandanti in prima fila a rendere omaggio alla vedova. Non lo si vide più sugli schermi della Rai.
Erdogan parlò per esprimere tutto il dolore e l’indignazione del mondo islamico, le sue furono parole di pace, dette con la solennità di tempi antichi. I traduttori nelle principali lingue del mondo, compreso per una volta l’italiano, vennero scelti accuratamente, avevano voci profonde, ben impostate, da attori professionisti. “La vera voce dell’Islam”, titolò il Corriere della Sera. Erdogan diventò seduta stante il massimo rappresentante dell’Islam dialogante con l’Occidente. Con la benedizione degli Stati Uniti. Due mesi dopo Putin sopravvisse a un attentato rivendicato dai ceceni in cui morirono 250 russi. Ma rimase senza gambe e decise di ritirarsi in Crimea. Al Cremlino tornò il peso piuma Medvedev, che ben presto venne defenestrato da Alexander Dugin, il barbuto ideologo di Putin. Fin dal primo giorno del suo insediamento la Russia piombò nel caos e scomparve dalla scena internazionale, in preda a una massacrante guerra civile.
Nel frattempo, la Crimea era tornata sotto il controllo di una ringalluzzita Ucraina. Tutti ricordano il momento in cui il nuovo presidente del regime di Kiev, il georgiano Mikheil Saakashvili, ammanettò davanti alle telecamere un umiliato Putin immobile nella sua carrozzella. Qualcuno notò che la messinscena e la tecnica di regia ricordavano quelle dei più famigerati filmati dell’Isis. E da quel giorno non comparve più in Rai.
Dopo un estenuante conclave lungo 36 giorni venne eletto papa il colombiano Pedro Valderrama. Quando si affacciò al balcone nessuno tra i fedeli e i giornalisti presenti in piazza San Pietro lo aveva mai sentito nominare. E grande fu la costernazione quando rivelò di essere un laico. Soli pochi cultori di diritto ecclesiastico sapevano che può assurgere al soglio di Pietro qualsiasi individuo di sesso maschile, battezzato, cattolico e che possegga l’uso della ragione. Il baldanzoso cinquantaseienne Valderrama era affiliato ai Cavalieri di Colombo, un’organizzazione cattolica fondata negli Stati Uniti nel 1882. Presentandosi ai fedeli ammutoliti, Valderrama, che aveva assunto il nome di papa Cristoforo, disse che la ricchezza materiale può essere un dono di dio se ben gestita (disse proprio così nel suo italiano quasi perfetto) per poi citare in modo inopinato e con un certo disprezzo lo storico dittatore argentino Juan Domingo Peron, cosa che venne interpretata come un affronto al povero Francesco da poco fatto saltare in mille pezzi. I pochi fedeli rimasti erano sconcertarti e nonostante il favore dei più importanti media occidentali, Valderrama riuscì ad attirare le simpatie solo di qualche anziano prelato italiano.
Così quando uno scandalo rivelato dal giornalista Gianluigi Nuzzi, noto per essere riuscito a evadere dalle carceri vaticane, mostrò al mondo intero che sui conti correnti dello Ior erano depositati i risparmi dei più pericolosi latitanti della criminalità organizzata italiana e sudamericana, la cosa non fece neanche troppo scalpore. Papa Cristoforo aveva fatto perdere ogni senso del sacro, le chiese erano sempre più vuote, chi era attratto dalla religione si rivolgeva in misura crescente all’Islam.
Nonostante l’Isis continuasse a colpire l’Europa. L’attentato più clamoroso fu quello alla porta di Brandeburgo, a Berlino, il giorno dell’anniversario della riunificazione tedesca quindici kamikaze si fecero esplodere contemporaneamente, causando una carneficina in cui perse la vita la cancelliera Angela Merkel. Rimase miracolosamente indenne il ministro delle Finanze Wolfgang Schaeuble, che finalmente salì sulla poltrona a cui ambiva da una vita, arricchito da una cicatrice trasversale sulla guancia destra, unico lascito dell’attentato. La prima misura che prese da cancelliere fu di aprire le porte a un milione e mezzo di rifugiati dalle guerre in Siria e nel resto dei Paesi arabi parcheggiati in Turchia in attesa di entrare in Europa. Erdogan scrisse una commovente lettera a Schaeuble per ringraziarlo. In quegli anni non ci fu solo l’Isis a seminare morte in un’Europa sempre più sgomenta. Tornarono infatti in voga gli omicidi politici mirati, come negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso.
Il più importante fu quello che vide l’eliminazione di Marine Le Pen e di sua nipote Marion sul palco a Nizza mentre era alle ultime battute la campagna per il primo turno delle elezioni presidenziali. A centrarle con la precisione di un cecchino fu un giovane studente di scienze politiche a Montpellier, un certo Roger Lacroix, che a dispetto del nome aveva fondato le sedicenti Brigate Robespierre per difendere i valori dell’illuminismo e della rivoluzione francese, oltre che per vendicare la morte di Bernard-Henri Levy, il filosofo mediatico ispiratore della guerra a Gheddafi, trovato decapitato in una suite dell’Hotel Ritz di Parigi. Un omicidio ancora misterioso. Di nemici se ne era fatti tanti e non certo per le sue tesi filosofiche. stava antipatico a tutti, perfino gli israeliani non lo sopportavano più.
Ormai privo di avversari, venne rieletto Nicolas Sarkozy, più agitato a agitatore che mai: la sua prima mossa fu quella di mettere sotto assedio il quartiere di Saint Denis per riportarlo sotto la sovranità francese. Allo stesso tempo troncò ogni rapporto commerciale con la Russia, così la stampa anglosassone mise la sordina alle critiche per il suo operato a Saint-Denis, che in altre occasioni sarebbe stato definito “fascista”. Dopo tutti questi sconvolgimenti e il triste crepuscolo della chiesa cattolica era ormai chiaro che all’Europa non restava altra alternativa che sottomettersi all’Isis o alla Turchia di Erdogan. Non si andò a votare, ma se si fosse andati il 90 per cento degli europei avrebbe votato per Erdogan. E così il premier turco stese la sua benevola protezione sulla martoriata Europa.
Il presidente degli Stati Uniti Hillary Clinton si impegnò per fare firmare a Erdogan un patto in cui rinunciava a imporre la tassa sugli infedeli e tutti noi gliene siamo grati. Devo dire che non mi lamento. Il vino non è stato messo al bando e l’economia reale è ripartita. Incredibilmente, in Italia gli imprenditori sono tornati ad assumere gli operai. Ormai sono in maggioranza italiani purosangue caduti in miseria a causa della recessione decennale. Gli arabi di religione islamica sono invece commercianti, piccoli e medi imprenditori, non più solo nell’edilizia, e insegnanti. Si sta faticosamente riformando la classe media e sono loro a costituirne il nerbo. In fondo Milano è diventata l’Istanbul di cinque anni fa. La borghesia secolarizzata resiste, anche perché viene tollerata. Si sa che col tempo si assottiglierà fino a essere sommersa da quelle che io chiamo le donne con il foulard e dagli imam imprenditori, ma, come dimostra l’esempio di Istanbul, avverrà tutto con gradualità, senza scossoni.
Intanto mi sto convertendo anch’io all’islam. Un’adesione formale, certo. Ma fa comodo, ti risolve tanti problemi. Se non sei un eroe devi seguire la corrente. Cerco di godermela finché posso. Fra vent’anni sarò vecchio, la società sarà totalmente islamizzata, ma credo che non mi faranno problemi se fra le quattro mura domestiche ogni tanto mi berrò un bicchiere di vino comprato al mercato nero. L’essenziale è essere sopravvissuto a questi anni terribili. In fondo non è stato difficile perché all’Italia sono stati risparmiati attentati devastanti. Ne ignoro il motivo e non voglio nemmeno saperlo. So soltanto che grazie a Erdogan i soldi sono tornati a girare. Forse perché nelle mie tasche non ci sono più gli euro, ma le lire. Quelle turche.
Eriprando Sforza
http://scenarieconomici.it/come-leuropa-fini-nelle-mani-del-sultano-erdogan-ecco-come-di-eriprando-sforza/

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