sabato 30 gennaio 2016

Chi controlla veramente gli Stati Uniti?

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Nei 239 anni della sua esistenza, l’America è riuscita a non fare guerra ad altre nazioni, solo per vent’anni. Negli altri casi sembra che il governo americano semplicemente non riesca a reprimere la necessità di iniziare un conflitto con un qualche altro debole stato.
Secondo il quotidiano svedese Svenska Dagbladet, nell’ultimo anno ci sono stati nel mondo 40 conflitti armati in 27 differenti località e, anche se 39 possono essere classificati come “guerre civili”, in 13 di essi una delle due fazioni ha ricevuto aiuti da forze esterne. Avete capito bene, queste “forze esterne” sono quasi sempre gli Stati Uniti e i suoi alleati. Attualmente, gli Stati Uniti sono direttamente coinvolti in quattro operazioni militari, mentre in un’altra manciata di altri conflitti si può comunque facilmente scoprire il marchio caratteristico di Washington. La nazione che ha sofferto maggiormente per l’aggressione americana è la Siria, dal momento che, a tutt’ora, in questa nazione araba si contano più di 240.000 vittime, e questo significa che in questa guerra ci sono stati più morti che in tutti gli altri 39 conflitti del pianeta messi insieme.
Com’è scritto in una lettera del Presidente degli Stati Uniti Barak Obama al Presidente pro tempore del Senato degli Stati Uniti Orrin Hatch, recentemente resa pubblica, ci sono più di 16.750 commandos americani dispiegati dal Pentagono in 12 teatri bellici di tutto il mondo. Inoltre, secondo l’ambasciatore statunitense presso la NATO Douglas Lute, in Europa sono attualmente presenti oltre 60.000 soldati americani.
Nel tentativo di consolidare con le baionette la cosiddetta “egemonia americana”, Washington ha sprecato un terzo di tutte la spese militari mondiali in armi costose, invece di usare questo denaro per soddisfare le necessità primarie del popolo americano e cercare di migliorare le sue condizioni di vita.
Allo scopo di giustificare l’eccessiva spesa militare della Casa Bianca, nonostante il fatto che la persona chi vi risiede abbia vinto un Premio Nobel per la Pace, in un disperato tentativo di ottenere ancora più fondi per il sempre più avido e gigantesco apparato militare, il Segretario alla Difesa degli Stati Uniti Ashton Carter ha richiesto una nuova operazione terrestre in Iraq e Siria. Inoltre, si sa benissimo chi andrà in Iraq, sarà la “leggendaria 101° Divisione Aerotrasportata”, come ha scritto lo stesso Carter in un articolo pubblicato sul “Politico”. I soldati di questa divisione hanno già combattuto in Vietnam, Afganistan, hanno preso parte all’invasione dell’Iraq nel 2003 e fino al 2006 sono stati di stanza a Mosul.
Bisogna ricordare che Barak Obama, insieme a tutta una serie di altre personalità ufficiali, ha ripetutamente sostenuto che gli Stati Uniti non si sarebbero fatti coinvolgere in una nuova guerra terrestre su larga scala e che pertanto non ci sarebbero stati “scarponi sul terreno in Siria”. Inoltre, nel Discorso Sullo Stato dell’Unione del 12 gennaio, Obama ha dichiarato che “versare sangue e risorse americane è una cosa che alla fine ci indebolirà. E’ la lezione del Vietnam, è la lezione dell’Iraq”, anche se sembra che questa lezione non verrà ascoltata tanto presto.
In ogni caso, la recente dichiarazione di Ashton Carter fa chiaramente capire chi comanda a Washington, dal momento che sono i grossi fabbricanti di armi che hanno l’ultima parola su tutto quello che si muove in America oggi, sono quelli che “tirano i fili”, delegando al ruolo di fantoccio ubbidiente chiunque ricopra la carica di Presidente degli Stati Uniti. Le affermazioni del Segretario alla Difesa sono particolarmente curiose se si pensa che, secondo la Costituzione Americana, egli non è affatto il comandante delle Forze Armate degli Stati Uniti, compito questo che infatti spetta al Presidente. Sarebbe stato perciò compito di Obama annunciare un tale importante cambiamento nelle tattiche di combattimento contro l’ISIL, a meno che, anche lui, non sia altro che un burattino controllato da burattinai che stanno dietro le quinte.
Se volete sapere chi sono questi burattinai, non dovreste cercare più di tanto. I senatori repubblicani John McCain e Lidsey Graham sono stati fortemente critici nei confronti della strategia di Obama in Medio Oriente, chiedendo ad alta voce un vero e proprio attacco alla Siria. Nello scorso novembre, questi senatori hanno dichiarato che gli Stati Uniti dovrebbero triplicare la loro forza militare in Iraq, inviando in Siria un equivalente numero di truppe. Graham si è spinto fino al punto di presentare un vero e proprio piano per l’invasione della Siria, secondo il quale un contingente di 100.000 uomini provenienti da Arabia Saudita, Egitto e Turchia avrebbe dovuto essere affiancato da circa 10.000 soldati americani. Interventi congiunti di truppe arabe e statunitensi in Siria erano stati già proposti tempo fa, specialmente da John McCain, che gode di legami molto stretti con alcune personalità saudite, a lui particolarmente grate per via dei contratti militari fra Stati Uniti ed Arabia Saudita.
I burattinai che stanno dietro le quinte sono convinti non solo di avere il pieno controllo della Casa Bianca, ma anche di tutto quanto il mondo. Hanno creato la loro propria coalizione contro l’ISIL, svolgendo azioni militari sul territorio di Stati sovrani senza alcuna forma di consenso, in violazione dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite che, chiaramente, vieta tale tipo di azioni senza una decisione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. E’ comunque assai improbabile che queste autorità statunitensi “di spirito indomito” si preoccupino di ottenere il consenso dell’Iraq o della Siria prima di lanciare una nuova campagna militare contro di esse, dal momento che (per loro) l’ONU e il suo Consiglio di Sicurezza sono degli inutili reperti archeologici, facilmente ignorabili.
Per questo motivo gli Americani e la comunità internazionale non dovrebbe sostenere questa nuova, illegale azione dei burattinai che tirano le fila dell’esercito statunitense, ma dovrebbero invece fare proprio l’appello del sito Web AlterNet: “Ci deve essere un punto in cui un noioso e doloroso processo di pace sembra assai più desiderabile dello spianare a suon di bombe le altre nazioni. (Un punto) dove bisogna costruire invece che distruggere, negoziare invece che sopraffare. Dove i politici parlano delle guerre che hanno terminato, invece di quelle che hanno iniziato e che non finiscono mai. E sopratutto dovremmo cercare di non destabilizzare ancora un’altra regione, creando sempre più terreno fertile per la nascita di gruppi come l’ISIS”.
Per quanto riguarda poi i guerrafondai degli Stati Uniti, Gran Bretagna e dei vari stati alleati e sottomessi all’America, responsabili di guerre, caos, fame e povertà, questi dovrebbero essere alla fine puniti da un tribunale imparziale, istituito dalla comunità internazionale.
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Articolo di Martin Berger pubblicato da New Eastern Outlook il 25 gGnnaio 1016
Tradotto in Italiano da Mario per SakerItalia.it
http://sakeritalia.it/america-del-nord/chi-controlla-veramente-gli-stati-uniti/

CHI TI OFFRE LA SOLUZIONE? LA FONDAZIONE ROCKEFELLER!VIRUS ZIKA POSSIBILE PANDEMIA MONDIALE.

CHI TI OFFRE LA SOLUZIONE? LA FONDAZIONE ROCKEFELLER!VIRUS ZIKA POSSIBILE PANDEMIA MONDIALE.
“Jordi Casals-Ariet è nato a Viladrau, Girona, in Spagna, nel 1911. E’ venuto negli Stati Uniti dopo la laurea in medicina a Barcellona. Si è unito al Rockefeller Institute for Medical Research, nel 1936, dopo due anni nel dipartimento di patologia alla Cornell University Medical College. Quando il suo dipartimento al Rockefeller Institute si trasferisce a Yale nel 1964, anche il dottor Casals viene trasferito e vi rimane fino al suo pensionamento nel 1981.
Sua moglie, miss Casals-Ariet ha detto che negli ultimi anni "Jordi si è lamentato del fatto che i finanziamenti non commerciali erano sempre più difficile da trovare. Era un problema costante. È per questo che gli piaceva lavorare per il Rockefeller Institute. Erano liberi di perseguire la scienza per il bene della scienza e non perché qualche grande società potrebbe fare soldi da esso".
IN EFFETTI SAPPIAMO CHE I ROCKEFELLER VENGONO CONSIDERATI DEI FILANTROPI E NON USURAI DELLA PEGGIOR SPECIE, INQUINATORI DEL PIANETA CON LE LORO SOCIETA’ PETROLIFERE FIGLIE DEL COLOSSO STANDARD OIL, OVVIAMENTE FONDATO SEMPRE DA LORO.
SAPPIAMO CHE HANNO LE MANI IN PASTA NEL SETTORE FARMACEUTICO DAGLI INIZI DEL ‘900 E SAPPIAMO CHE ERANO DIETRO LA IG FARBEN, SOCIETA’ CHE DIVENNE IL MAGGIOR FINANZIATORE DI HITLER.
SAPPIAMO CHE FINANZIANO RICERCHE SUGLI OGM…
SAPPIAMO CHE HANNO I LORO UOMINI PIAZZATI NELLE AMMINISTRAZIONI DEI GOVERNI DEI PAESI OCCIDENTALI.
Però sono dei filantropi.
Basta cercare su un qualsiasi motore di ricerca “Virus Zika (ATCC ® VR-84 ™)” e si scopre che questi filantropi vendono a 599 Euro un farmaco per il VIRUS che sta generando non poche preoccupazioni, ovviamente amplificate dai soliti megafoni di regime.
LEGGERE PER CREDERE:
Che poi si scopra che non sono loro a guadagnarci direttamente ma qualcun altro per via dei “diritti temporanei” che la Costituzione degli Stati Uniti garantisce per le invenzioni, potrei anche crederci.
E’ un dato di fatto che la provenienza (giusto per capire che alla fine dietro ci sono sempre i soliti nomi) è la Fondazione Rockefeller e comunque, qualche dubbio mi viene su chi oggi guadagna su questo farmaco e su questo ennesimo allarme che sa tanto di “studiato”, viste le Olimpiadi che si terranno quest’anno in Brasile e viste le posizioni non sempre allineate del suo Presidente Dilma Rousseff.
Il Brasile fa parte dei BRICS con Russia e Cina.

giovedì 28 gennaio 2016

Srebrenica: esce fuori la verità, il massacro fu compiuto da tagliagole bosniaci musulmani


Finalmente emerge la verità su Srebrenica: i civili non furono uccisi dai Serbi, ma dagli stessi musulmani bosniaci per ordine di Alija Izetbegovic, presidente dei musulmani bosniaci, d’accordo con Bill Clinton. Una operazione, come le bombe di mortaio sul mercato di Sarajevo, per incolpare i serbi e bombardarli. Un po’ come il gas nervino in Siria.


(Nicola Bizzi) – Dopo la confessione shock del politico bosniaco Ibran Mustafi?, veterano di guerra, chi restituirà la dignità a Slobodan Miloševi?, ucciso in carcere, aRadovan Karadži? e al Generale Ratko Mladi?, ancora oggi detenuti all’Aja?
Lo storico russo Boris Yousef,  in un suo saggio del 1994, scrisse quella che ritengo una sacrosanta verità: «Le guerre sono un po’ come il raffreddore: devono fare il loro decorso naturale. Se un ammalato di raffreddore viene attorniato da più medici che gli propinano i farmaci più disparati, spesso contrastanti fra loro, la malattia, che si sarebbe naturalmente risolta nel giro di pochi giorni, rischia di protrarsi per settimane e di indebolire il paziente, di minarlo nel fisico, e di arrecare danni talvolta permanenti e imprevedibili».
Yousef scrisse questa osservazione nel Luglio del 1994, nel bel mezzo della guerra civile jugoslava, un anno prima della caduta della Repubblica Serba di Krajina e sedici mesi prima dei discussi accordi Dayton che scontentarono in Bosnia tutte le parti in campo, imponendo una situazione di stallo potenzialmente esplosiva. E ritengo che tale osservazione si adatti a pennello al conflitto jugoslavo. Un lungo e sanguinoso conflitto che, formalmente iniziato nel 1991, con la secessione dalla Federazione delle repubbliche di Slovenia e Croazia, era stato già da tempo preparato e pianificato da alcune potenze occidentali (con in testa l’Austria e la Germania), da diversi servizi segreti, sempre occidentali, da gruppi occulti di potere sovranazionali e transnazionali (Bilderberg, Trilaterale, Pinay, Ert Europe, etc.) e, per certi versi, anche dal Vaticano.

La Jugoslavija, forte potenza economica e militare, da decenni alla guida del movimento dei Paesi non Allineati, dopo la morte del Maresciallo Tito, avvenuta nel 1980, era divenuta scomoda e ingombrante e, di conseguenza, l’obiettivo geo-strategico primario di una serie di avvoltoi che miravano a distruggerla, a smembrarla e a spartirsi le sue spoglie.
Si assistette così ad una progressiva destabilizzazione del Paese, avviata già nel biennio 1986-87, destabilizzazione alla quale si oppose con forza soltanto Slobodan Miloševi?, divenuto Presidente della Repubblica Socialista di Serbia, e che toccò il culmine con la creazione in Croazia, nel Maggio del 1989, dell’Unione Democratica Croata (Hrvatska Demokratska Zajednica o HDZ), partito anti-comunista di centro-destra che a tratti riprendeva le idee scioviniste degli Ustascia di Ante Paveli?, guidato dal controverso ex Generale di Tito Franjo Tu?man.
Sarebbe lungo in questa sede ripercorrere tutte le tappe che portarono al precipitare degli eventi, alla necessità degli interventi della Jugoslosvenska Narodna Armija dapprima in Slovenia e poi in Croazia, alla definitiva scissione dalla Federazione delle due repubbliche ribelli e all’allargamento del conflitto nella vicina Bosnia. Si tratta di eventi sui quali esiste moltissima documentazione, la maggior parte della quale risulta però essere fortemente viziata da interpretazioni personali e di parte degli storici o volutamente travisata da giornalisti asserviti alle lobby di potere mediatico-economico europee ed americane. Giornalisti che della Jugoslavija e della sua storia ritengo che non abbiano mai capito niente.

Come ho scritto poc’anzi, ritengo che la saggia affermazione di Boris Yousef si adatti molto bene al conflitto civile jugoslavo. A prescindere dal fatto che esso è stato generato da palesi ingerenze esterne, ritengo che sarebbe potuto terminare ‘naturalmente’ manu militari nel giro di pochi mesi, senza le continue ingerenze, le pressioni e le intromissioni della sedicente ‘Comunità Internazionale’, delle Nazioni Unite e di molteplici altre organizzazioni che agivano dietro le quinte (Fondo Monetario Internazionale, OSCE, UNHCR, Unione Europea e criminalità organizzata italiana e sud-americana). Sono state proprio queste ingerenze (i vari farmaci dagli effetti contrastanti citati nella metafora di Yousef) a prolungare il conflitto per anni, con la continua richiesta, dall’alto, di tregue impossibili e non risolutive, e con la pretesa di ridisegnare la cartina geografica dell’area sulla base delle convenienze economiche e non della realtà etnica e sociale del territorio.
Ma si tratta di una storia in buona parte ancora non scritta, perché sono state troppe le complicità di molti leader europei, complicità che si vuole continuare a nascondere, ad occultare. Ed è per questo che gli storici continuano ad ignorare che la Croazia di Tu?man costruì il suo esercito grazie al traffico internazionale di droga (tutte quelle navi che dal Sud America gettavano l’ancora nel porto di Zara, secondo voi cosa contenevano?). È per questo che continuano a non domandarsi per quale motivo tutto il contenuto dei magazzini militari della defunta Repubblica Democratica Tedesca siano prontamente finiti nelle mani di Zagabria.
Si tratta di vicende che conosco molto bene, perché ho trascorso nei Balcani buona parte degli anni ’90, prevalentemente a Belgrado e a Skopje. Parlo bene tutte le lingue dell’area, compresi i relativi dialetti, e ho avuto a lungo contatti con l’amministrazione di Slobodan Miloševi?, che ho avuto l’onore di incontrare in più di un’occasione. Sono stato, fra l’altro, l’unico esponente politico italiano ad essere presente ai suoi funerali, in una fredda giornata di Marzo del 2006.

Sono stato quindi un diretto testimone dei principali eventi che hanno segnato la storia del conflitto civile jugoslavo e degli sviluppi ad esso successivi. Ho visto con i miei occhi le decine di migliaia di profughi serbi costretti a lasciare Knin e le altre località della Srpska Republika Krajina, sotto la spinta dell’occupazione croata delle loro case, avvenuta con l’appoggio dell’esercito americano.
Ho seguito da vicino tutte le tappe dello scontro in Bosnia, i disordini nel Kosovo, la galoppante inflazione a nove cifre che cambiava nel giro di poche ore il potere d’acquisto di una banconota. Ho vissuto il dramma, nel 1999, dei criminali bombardamenti della NATO su Belgrado e su altre città della Serbia. Ed è per questo che non ho mai creduto – a ragione – alle tante bugie che riportavano la stampa europea e quella italiana in primis. Bugie e disinformazioni dettate da quell’operazione di marketing pubblicitario (non saprei come altro definirla) pianificata sui tavoli di Washington e diLangley che impose a tutta l’opinione pubblica la favoletta dei Serbi ‘cattivi’ aguzzini di poveri e innocenti Croati, Albanesi e musulmani bosniaci. Favoletta che ha però incredibilmente funzionato per lunghissimo tempo, portando all’inevitabile criminalizzazione e demonizzazione di una delle parti in conflitto e tacendo sui crimini e sulle nefandezze delle altre.
La guerra, e a maggior ragione una guerra civile, non è ovviamente un pranzo di gala e non vi si distribuiscono caramelle e cotillon. In guerra si muore. In guerra si uccide o si viene uccisi. La guerra significa fame, sofferenza, freddo, fango, sudore, privazioni e sangue. Ed è fatta, necessariamente, anche di propaganda. Durante il lungo conflitto civile jugoslavo nessuno può negare che siano state commesse numerose atrocità, soprattutto dettate dal risveglio di un mai sopito odio etnico. Ma mai nessun conflitto, dal termine della Seconda Guerra Mondiale, ha visto un simile massiccio impiego di ‘false flag’, azioni pianificate ad arte, quasi sempre dall’intelligence, per scatenare le reazioni dell’avversario o per attribuirgli colpe non sue. Ho già spiegato il concetto di ‘false flag’ in numerosi miei articoli, denunciando l’escalation del loro impiego su tutti i più recenti teatri di guerra.
Fino ad oggi la più nota ‘false flag’ della guerra civile jugoslava era la tragica strage di civili al mercato di Sarajevo, quella che determinò l’intervento della NATO, che bombardò ripetutamente, per rappresaglia, le postazioni serbo-bosniache sulle colline della città. Venne poi appurato con assoluta certezza che fu lo stesso governo musulmano-bosniaco di Alija Izetbegovi? a uccidere decine di suoi cittadini in quel cannoneggiamento, per far ricadere poi la colpa sui Serbi.
E quella che io ho sempre ritenuto la più colossale ‘false flag’ del conflitto, ovvero il massacro di oltre mille civili musulmani avvenuto a Srebrenica, del quale fu incolpato l’esercito serbo-bosniaco comandato dalGenerale Ratko Mladi?, che da allora venne accusato di ‘crimi di guerra’ e braccato dal Tribunale Penale Internazionale dell’Aja fino al suo arresto, avvenuto il 26 Maggio 2011, si sta finalmente rivelando in tutta la sua realtà. In tutta la sua realtà, appunto, di ‘false flag’.

I giornali italiani, che all’epoca scrissero titoli a caratteri cubitali per dipingere come un ‘macellaio’ ilGenerale Mladi? e come un folle criminale assetato di sangue il Presidente della Repubblica Serba di Bosnia Radovan Karadži?, anch’egli arrestato nel 2008 e sulla cui testa pendeva una taglia di 5 milioni di Dollari offerta dagli Stati Uniti per la sua cattura, hanno praticamente passato sotto silenzio una sconvolgente notizia. Una notizia a cui ha dato spazio nel nostro Paese soltanto il quotidiano Rinascita, diretto dall’amico Ugo Gaudenzi, e fa finalmente piena luce sui fatti di Srebrenica, stabilendo che la colpa non fu dei vituperati Serbi, ma dei musulmani bosniaci.

Ibran Mustafi?, veterano di guerra e politico bosniaco-musulmano, probabilmente perché spinto dal rimorso o da una crisi di coscienza, ha rilasciato ai media una sconcertante confessione: almeno mille civili musulmano-bosniaci di Srebrenica vennero uccisi dai loro stessi connazionali, da quelle milizie che in teoria avrebbero dovuto assisterli e proteggerli, durante la fuga a Tuzla nel Luglio 1995, avvenuta in seguito all’occupazione serba della città. E apprendiamo che la loro sorte venne stabilita a tavolino dalle autorità musulmano-bosniache, che stesero delle vere e proprie liste di proscrizione di coloro a cui «doveva essere impedito, a qualsiasi costo, di raggiungere la libertà».
Come riporta Enrico Vigna su Rinascita, Ibran Mustafi? ha pubblicato un libro, Caos pianificato, nel quale alcuni dei crimini commessi dai soldati dell’esercito musulmano della Bosnia-Erzegovina contro i Serbi sono per la prima volta ammessi e descritti, così come il continuo illegale rifornimento occidentale di armi ai separatisti musulmano-bosniaci, prima e durante la guerra, e – questo è molto significativo – anche durante il periodo in cui Srebrenica era una zona smilitarizzata sotto la protezione delle Nazioni Unite.

Mustafi? racconta inoltre, con dovizia di particolari, dei conflitti tra musulmani e della dissolutezza generale dell’amministrazione di Srebrenica, governata dalla mafia, sotto il comandante militare bosniaco Naser Ori?. A causa delle torture di comuni cittadini nel 1994, quando Ori? e le autorità locali vendevano gli aiuti umanitari a prezzi esorbitanti invece di distribuirli alla popolazione, molti bosniaci fuggirono volontariamente dalla città. «Coloro che hanno cercato la salvezza in Serbia, sono riusciti ad arrivare alla loro destinazione finale, ma coloro che sono fuggiti in direzione di Tuzla ( governata dall’esercito musulmano) sono stati perseguitati o uccisi», svela Mustafi?. E, ben prima del massacro dei civili musulmani di Srebrenica nel Luglio 1995, erano stati perpetrati da tempo crimini indiscriminati contro la popolazione serba della zona. Crimini che Mustafi? descrive molto bene nel suo libro, essendone venuto a conoscenza già nel 1992, quando era fuggito da Sarajevo a Tuzla.
«Lì – egli scrive – il mio parente Mirsad Mustafi? mi mostrò un elenco di soldati serbi prigionieri, che furono uccisi in un luogo chiamato Zalazje. Tra gli altri c’erano i nomi del suo compagno di scuola Branko Simi? e di suo fratello Pero, dell’ex giudice Slobodan Ili?, dell’autista di Zvornik Mijo Raki?, dell’infermiera Rada Milanovi?. Inoltre, nelle battaglie intorno ed a Srebrenica, durante la guerra, ci sono stati più di 3.200 Serbi di questo e dei comuni limitrofi uccisi».
Mustafi? ci riferisce a riguardo una terribile confessione del famigerato Naser Ori?, confessione che non mi sento qui di riportare per l’inaudita credezza con cui questo criminale di guerra descrive i barbari omicidi commessi con le sue mani su uomini e donne che hanno avuto la sventura di trovarsi alla sua mercé. Ma voglio citare il racconto di uno zio di Mustafi?, anch’esso riportato nel libro: «Naser venne e mi disse di prepararmi subito e di andare con la Zastava vicino alla prigione di Srebrenica. Mi vestii e uscii subito. Quando arrivai alla prigione, loro presero tutti quelli catturati precedentemente a Zalazje e mi ordinarono di ritrasportarli lì. Quando siamo arrivati alla discarica, mi hanno ordinato di fermarmi e parcheggiare il camion. Mi allontanai a una certa distanza, ma quando ho visto la loro furia ed il massacro è iniziato, mi sono sentito male, ero pallido come un cencio. Quando Zulfo Tursunovi? ha dilaniato il petto dell’infermiera Rada Milanovic con un coltello, chiedendo falsamente dove fosse la radio, non ho avuto il coraggio di guardare. Ho camminato dalla discarica e sono arrivato a Srebrenica. Loro presero un camion, e io andai a casa a Potocari. L’intera pista era inondata di sangue».

Da quanto ci racconta Mustafi?, gli elenchi dei ‘bosniaci non affidabili’ erano ben noti già da allora alla leadership musulmana ed al Presidente Alija Izetbegovi?, e l’esistenza di questi elenchi è stata confermata da decine di persone. «Almeno dieci volte ho sentito l’ex capo della polizia Meholji? menzionare le liste. Tuttavia, non sarei sorpreso se decidesse di negarlo», dice Mustafi?, che è anche un membro di lunga data del comitato organizzatore per gli eventi di Srebrenica. Secondo Mustafi?, l’elenco venne redatto dalla mafia di Srebrenica, che comprendeva la leadership politica e militare della città sin dal 1993. I ‘padroni della vita e della morte nella zona’, come lui li definisce nel suo libro. E, senza esitazione, sostiene: «Se fossi io a dover giudicare Naser Ori?, assassino conclamato di più di 3.000 Serbi nella zona di Srebrenica (clamorosamente assolto dal Tribunale Internazionale dell’Aja!) lo condannerei a venti anni per i crimini che ha commesso contro i Serbi; per i crimini commessi contro i suoi connazionali lo condannerei a minimo 200.000 anni di carcere. Lui è il maggiore responsabile per Srebrenica, la più grande macchia nella storia dell’umanità».
Ma l’aspetto più inquietante ed eclatante delle rivelazioni di Mustafi?  è l’ammissione che il genocidio di Srebrenica è stato concordato tra la comunità internazionale e Alija Izetbegovi? , e in particolare tra Izetbegovi? e il presidente USA Bill Clinton, per far ricadere la colpa sui Serbi, come Ibran Mustafi? afferma con totale convinzione.
«Per i crimini commessi a Srebrenica, Izetbegovi? e Bill Clinton sono direttamente responsabili. E, per quanto mi riguarda, il loro accordo è stato il crimine più grande di tutti, la causa di quello che è successo nel Luglio 1995. Il momento in cui Bil Clinton entrò nel Memoriale di Srebrenica è stato il momento in cui il cattivo torna sulla scena del crimine», ha detto Mustafi?. Lo stesso Bill Clinton, aggiungo io, che superò poi se stesso nel 1999, con la creazione ad arte delle false fosse comuni nel Kosovo (altro clamoroso esempio di ‘false flag’), nelle quali i miliziani albanesi dell’UCK gettavano i loro stessi caduti in combattimento e perfino le salme dei defunti appositamente riesumate dai cimiteri, per incolpare mediaticamente, di fronte a tutto il mondo, l’esercito di Belgrado e poter dare il via a due mesi di bombardamenti sulla Serbia.

Come sottolinea sempre Mustafi?, riguardo a Srebrenica ci sono inoltre state grandi mistificazioni sui nomi e sul numero reale delle vittime. Molte vittime delle milizie musulmane non sono state inserite in questo elenco, mentre vi sono stati inseriti ad arte cittadini di Srebrenica da tempo emigrati e morti all’estero. E un discorso simile riguarda le persone torturate o che si sono dichiarate tali. «Molti bosniaci musulmani – sostiene Mustafi? – hanno deciso di dichiararsi vittime perché non avevano alcun mezzo di sostentamento ed erano senza lavoro, così hanno usato l’occasione. Un’altra cosa che non torna è che tra il 1993 e il 1995 Srebrenica era una zona smilitarizzata. Come mai improvvisamente abbiamo così tanti invalidi di guerra di Srebrenica?».
Egli ritiene che sarà molto difficile determinare il numero esatto di morti e dei dispersi di Srebrenica. «È molto difficile  – sostiene nel suo libro – perché i fatti di Srebrenica sono stati per troppo tempo oggetto di mistificazioni, e il burattinaio capo di esse è stato Amor Masovi?, che con la fortuna fatta sopra il palcoscenico di Srebrenica potrebbe vivere allegramente per i prossimi cinquecento anni! Tuttavia, ci sono stati alcuni membri dell’entourage di Izetbegovi? che, a partire dall’estate del 1992, hanno lavorato per realizzare il progetto di rendere i musulmani bosniaci le permanenti ed esclusive vittime della guerra».
Il massacro di Srebrenica servì come pretesto a Bill Clinton per scatenare, dal 30 Agosto al 20 Settembre del 1995, la famigerata Operazione Deliberate Force, una campagna di bombardamento intensivo, con l’uso di micidiali bombe all’uranio impoverito, con la quale le forze della NATO distrussero il comando dell’esercito serbo-bosniaco, devastandone irrimediabilmente i sistemi di controllo del territorio. Operazione che spinse le forze croate e musulmano-bosniache ad avanzare in buona parte delle aree controllate dai Serbi, offensiva che si arrestò soltanto alle porte della capitale serbo-bosnica Banja Lukae che costrinse i Serbi ad un cessate il fuoco e all’accettazione degli accordi di Dayton, che determinarono una spartizione della Bosnia fra le due parti (la croato-musulmana e la serba). Spartizione che penalizzò fortemente la Republika Srpska, che venne privata di buona parte dei territori faticosamente conquistati in tre anni di duri combattimenti.
Alija Izetbegovi?, fautore del distacco della Bosnia-Erzegovina dalla federazione jugoslava nel 1992, dopo un referendum fortemente contestato e boicottato dai cittadini di etnia serba (oltre il 30% della popolazione) è rimasto in carica come Presidente dell’autoproclamato nuovo Stato fino al 14 Marzo 1996, divenendo in seguito membro della Presidenza collegiale dello Stato federale imposto dagli accordi di Dayton fino al 5 Ottobre del 2000, quando venne sostituito da Sulejman Tihi?. È morto nel suo letto a Sarajevo il 19 Ottobre 2003 e non ha mai pagato per i suoi crimini. Ha anzi ricevuto prestigiosi premi e riconoscimenti internazionali, fra cui le massime onorificenze della Croazia (nel 1995) e della Turchia (nel 1997). E ha saputo bene far dimenticare agli occhi della ‘comunità internazionale’ la sua natura di musulmano fanatico e fondamentalista ed i suoi numerosi arresti e le sue lunghe detenzioni, all’epoca di Tito, (in particolare dal 1946 al 1949 e dal 1983 al 1988) per attività sovversive e ostili allo Stato.

Nella sua celebre Dichiarazione Islamica, pubblicata nel 1970, dichiarava: «non ci sarà mai pace né coesistenza tra la fede islamica e le istituzioni politiche e sociali non islamiche» e che «il movimentoislamico può e deve impadronirsi del potere politico perché è moralmente e numericamente così forte che può non solo distruggere il potere non islamico esistente, ma anche crearne uno nuovo islamico». E ha mantenuto fede a queste sue promesse, precipitando la tradizionalmente laica Bosnia-Erzegovina, luogo dove storicamente hanno sempre convissuto in pace diverse culture e diverse religioni, in una satrapia fondamentalista, con l’appoggio ed i finanziamenti dell’Arabia Saudita e di altri stati del Golfo e con l’importazione di migliaia di mujahiddin provenienti da varie zone del Medio Oriente, che seminarono in Bosnia il terrore e si resero responsabili di immani massacri.
Slobodan Miloševi?, accusato di ‘crimini contro l’umanità’ (accuse principalmente fondate su una sua presunta regia del massacro di Srebrenica), nonostante abbia sempre proclamato la sua innocenza, venne arrestato e condotto in carcere all’Aja. Essendo un valente avvocato, scelse di difendersi da solo di fronte alle accuse del Tribunale Penale Internazionale, ma morì in circostanze mai chiarite nella sua cella l’11 Marzo 2006. Sono insistenti le voci secondo cui sarebbe stato avvelenato perché ritenuto ormai prossimo a vincere il processo e a scagionarsi da ogni accusa, e perché molti leader europei temevano il terremoto che avrebbero scatenato le sue dichiarazioni.
Radovan Karadži?, l’ex Presidente della Repubblica Serba di Bosnia, e il Generale Ratko Mladi?, comandante in capo dell’esercito bosniaco, sono stati anch’essi arrestati e si trovano in cella all’Aja. Sul loro capo pendono le stesse accuse di ‘crimini contro l’umanità’, fondate essenzialmente sul massacro di Srebrenica.
Adesso che su Srebrenica è finalmente venuta fuori la verità, dovrebbe essere facile per loro arrivare ad un’assoluzione, a meno che qualcuno non abbia deciso che debbano fare la fine di Miloševi?.
Ma chi restituirà a loro e al defunto Presidente Jugoslavo la dignità e l’onorabilità? Tutte le grandi potenze occidentali, dagli Stati Uniti all’Unione Europea, dovrebbero ammettere di aver sbagliato, ma dubito sinceramente che lo faranno.
Fonte: press.russianews.it
tramite http://www.cogitoergo.it/?p=30540

Libri. ‘Un mare di abusi’: Un libro sui due marò italiani di Giuseppe Paccione



Bari, 27 GEN. - Il libro affronta la vicenda del mercantile Enrica Lexie e dei due Fanti del Reggimento San arco della Marina Militare Italiana, Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, facenti parte del Nucleo Militare di Protezione (NMP), sul piano prettamente del diritto internazionale, attraverso l’analisi giuridica che ha, ormai da alcuni anni, dominato un’ampia discussione nell’opinione pubblica italiana e nell’ambito della dottrina internazionalistica. Ancora oggi, due ragazzi che erano nelle loro piene funzioni, come organi dello Stato italiano, si trovano tra l’incudine e il martello senza sapere quale sarà la loro sorte. L’autore ha voluto, in maniera dettagliata, entrare nel merito delle questioni come l’arricchimento di concetti sul diritto del mare, la delimitazione giurisdizionale dell’India sul mare, il contrasto tra ordinamento internazionale e quello dell’Unione d’India, per poi giungere al tema dell’incidente avvenuto nel febbraio 2012 del mercantile battente bandiera italiana nell’ambito della zona grigia del diritto internazionale. Va anche aggiunto come l’autore ha saputo esaminare due aspetti fondamentali nel suo volume, come quello inerente alla violazione da parte dello Stato indiano del diritto diplomatico che determina la sacralità dell’ambasciatore, in quanto organo diretto dello Stato che rappresenta, come pure quello sulla mancanza da parte dell’India di non aver rispetto e posto in essere l’Istituto dell’Immunità funzionale di cui i due Marò beneficiavano. Infine, sempre l’autore non poteva non occuparsi della linea che poteva la stessa Italia seguire per giungere alla soluzione definitiva di questa assurda e annosa storia come quella di attivarsi nell’esperire tutti i canali necessari dalla via diplomatica, sino a quella politica senza dover giungere all’ultima extrema ratio cioè quella dell’Arbitrato internazionale, fortemente voluta dal nostro Paese. Il libro di Giuseppe Paccione è accompagnato dalla interessante prefazione scritta dall’ambasciatore Giulio Terzi di Sant’Agata, già Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale del Governo Monti, che era a favore nel 2013 al non rientro dei due Marò pugliesi in India per esigenze di garanzia di fondamentali diritti della persona umana che poteva rappresentare una giusta ragione per negarne il ritorno nell’Unione d’India allo scadere del permesso speciale, ma che il governo di Mario Monti aveva già deciso di rimandarli in India. Come le cronache hanno riportato, in illo tempore, l’ambasciatore Terzi rassegnava le dimissioni davanti alla Camera dei Deputati. Poi, dall’introduzione, in cui si percorre l’excursus della questione Enrica Lexie e dei due Marò, del Generale di Brigata (Ris.) Fernando Termentini.

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IL VOLUME, PREZZO DEL LIBRO 15€, pp.250, È REPERIBILE IN TUTTE LE LIBRERIE OPPURE È POSSIBILE ORDINARLO DIRETTAMENTE ALLA CASA EDITRICE ADDA EDITORE: sito: www.addaeditore.it fax: +390805539502 email: addaeditore@addaeditore.it
Fonte   http://www.lagazzettameridionale.com/2016/01/libri-un-mare-di-abusi-un-libro-sui-due.html#sthash.FlSzvNOd.dpuf


mercoledì 27 gennaio 2016

UNIONE EUROPEA E POTERI FORTI STANNO PREPARANDO UNA MAIDAN 2.0 IN POLONIA ? PARE PROPRIO DI SI

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DI MAURO BOTTARELLI
rischiocalcolato.it
Il 10 gennaio scorso in venti città polacche si sono tenute manifestazioni e cortei a favore della libertà di espressione e contro la controversa legge sui media appena promulgata dall’esecutivo di destra di Diritto e giustizia (PiS). Su invito del Comitato della difesa della democrazia (Kod), la cosiddetta espressione della società civile che in dicembre scorso ha difeso l’autonomia della Corte costituzionale e che pare abbia legami con l’Open Society di George Soros, la gente è scesa nelle strade di Varsavia, Cracovia, Danzica, Poznan, Lodz, Lublino, Breslavia, Kielce, Katowice e Rzeszow. A Cracovia l’esperto di media, professor Tomasz Goban Klas, ha detto ai 5mila presenti (un vero oceano) che il telecomando è il nuovo “simbolo di libertà, perchè con il telecomando è possibile sconfiggere le tv del governo”, scegliendo i canali concorrenti (magari su CNN o Fox News) e cercando le vere notizie su internet (magari su Lercio).


“Ogni potere autoritario aspira ad avere il controllo sui media ma noi non lo permetteremo” ha dichiarato poi Jaroslaw Kurski, viceredattore del quotidiano Gazeta Wyborcza. Suo fratello, Jacek Kurski, ex vice-ministro della Cultura, il giorno prima era stato nominato dal PiS nuovo presidente della televisione polacca Tvp, mentre la giornalista e scrittrice Barbara Stanislawczyk è stata chiamata alla guida della Polskie Radio. Due fedelissimi del governo, occorre ammetterlo, tanto da scatenare le vibrate proteste delle organizzazioni nazionali e internazionali dei giornalisti e anche un allarme dalla sempre presente Unione europea.
Cosa ha fatto di diverso il governo polacco rispetto ai quelli italiani dal pentapartito in poi? Nulla, ha lottizzato l’informazione pubblica ma almeno ha avuto la decenza di fare una legge al riguardo, mentre qui da noi i giornalisti e i capi-struttura di viale Mazzini si pongono proni al potente di turno per loro scelta e senza bisogno di imposizioni. Certo, con Berlusconi sono stati meno zerbini del solito ma forse anche perché il Cavaliere poteva contare sull’altra metà del cielo mediatico per difendersi. Il problema non è la legge sul servizio pubblico e nemmeno quella che a dicembre ha portato sotto il potere del presidente la nomina dei giudici costituzionali: il problema è che in Polonia c’è un governo di destra che ammicca alle idee di Victor Orban. Insomma, la bandiera del pericolo fascista sta sventolando.
E le piazze si riempiono, i cortei sfilano con le bandiere polacche e quelle dell’Ue insieme: Bruxelles sta forse preparando una Maidan 2.0 in Polonia per scalzare un governo sgradito alle lobby e ai potentati? I fatti paiono dirci di sì. Mettiamoli in fila. Tre giorni dopo le manifestazioni, il 13 gennaio, un primo screzio diplomatico si è tenuto tra il ministro della Giustizia polacco, Zbigniew Ziobro e il Commissario europeo, Gunther Oettinger: il primo, in una lettera al vetriolo, ricordava come già una volta nella storia i tedeschi avessero deciso di supervisionare la Polonia e lo invitava a guardare in casa propria riguardo alla tematica della libertà di stampa, riferendosi al silenzio mediatico rispetto ai fatti di Colonia a Capodanno.
Boom! Il problema è che in contemporanea il settimanale polacco Wprost, uno dei più letti del Paese, usciva in edicola con questa copertina
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e con il titolo “Vogliono supervisionare la Polonia ancora una volta”. Tradotto: vogliono occuparci ancora. Chi? La copertina è chiara: la Merkel insieme ai Commissari europei Juncker, Oettinger e Schultz, oltre al leader dei liberali al Parlamento europeo ed ex premier belga, Guy Verhofstadt, il quale dopo aver definito “nazista” il governo polacco ha rincarato la dose dicendo che il leader del PiS, Jaroslaw Kaczynski, insieme al premier ungherese, Viktor Orban e al presidente russo, Vladimir Putin, “stanno distruggendo l’unità europea e il diritto”. Insomma, nervi parecchio tesi.
Ma c’è di più e di peggio. Perché dopo lo scontro, il vice-presidente della Commissione Europa, Frans Timmermans, ha inviato alle autorità polacche due lettere con richieste di chiarimenti e informazioni. Come dire, uno Stato sovrano con un governo eletto democraticamente attraverso libere elezioni deve comunque rendere conto al Grande Fratello comunitario. Lo stesso ministro, Zbigniew Ziobro, si definì “basito” per la richiesta giunta da Bruxelles, salvo diventare furibondo quando con poche ore di ritardo arrivò la notizia in base alla quale la Commissione Europea aveva aperto un’indagine senza precedenti riguardo la nuova legislazione polacca e sui rischi che questa infranga le regole della democrazia.

E l’Ue può farlo, poiché sotto il cosiddetto meccanismo della “rule of law”, Bruxelles può imporre a un Paese membro di cambiare qualsiasi misure presa se questa pone un minaccia sistemica ai valori fondamentali dell’Unione. E la faccenda è seria, perché in base al meccanismo introdotto nel 2014, dopo che la Commissione ha offerto un’opinione e poi dato una raccomandazione sui tempi in cui un Paese deve agire, se questo non lo fa scatta l’articolo 7 del Trattato di Lisbona che prevede la sospensione del diritto di voto nel Consiglio Europeo.
Insomma, guerra. Ma si sa, la politica arriva fino a un certo punto. Per inviare i messaggi in maniera chiara serve altro. Detto fatto, due giorni dopo, il 15 gennaio, Standard&Poor’s a sorpresa abbassa il rating polacco da A- a BBB+ con outlook negativo e sapete con quale motivazione? “Indebolimento delle istituzioni”. Insomma, il primo caso di palese downgrade politico! Nel report, infatti, non si parla affatto di problemi economici – e basta vedere lo stato di salute della Polonia per capire come mai – o di solvibilità dello Stato ma unicamente di clima politico nel Paese che appare sfavorevole soprattutto per i settori bancario e finanziario. E chi è stato l’analista a compiere questo vero e proprio golpe? Il tedesco Felix Winnekens, specialista in questioni legate all’Europa centrale. Che caso.
Ora, al netto che mi piacerebbe sapere come la legge sulla Corte costituzionale o sui media pubblici possa influenzare lo spread polacco e che farei notare a Standard&Poor’s che la Polonia vanta per la prima volta nella storia recente un surplus di commercio estero (forse lo zloty debole che favorisce l’export e sfavorisce l’import di beni tedeschi da fastidio a Berlino), occorre sottolineare come ormai la decenza sia sepolta. Sapete cosa aveva firmato poche ore prima del downgrade il presidente polacco, Andrzej Duda?

Una legge sulla tassazione bancaria in base alla quale dal prossimo febbraio sarà obbligatorio per banche, compagnie assicurative e altre istituzioni finanziarie fornire un contributo al budget nazionale con lo 0,44% del valore dei loro assets. E sapete cosa aveva approvato nella mattinata di quello stesso giorno il presidente Duda? Una bozza di legge in base alla quale si tutelavano i cittadini che avevano contratto prestiti e mutui in franchi svizzeri, pratica molto diffusa ad Est e che ora erano in difficoltà finanziaria dopo l’addio al peg con l’euro. Eh beh, direi che un downgrade dopo poche ore è davvero sintomo di professionalità e fedeltà verso i padroncini da parte di Standard&Poor’s.
Insomma, all’Europa non sono andate giù le due vittori del PiS alle presidenziali e alle politiche dello scorso anno e quindi comincia ad agire. Ma anche agli Usa non piace l’andazzo che circola a Varsavia, tanto più che la Polonia è membro Nato e i suoi confini sono strategici per i dispiegamento di mezzi e truppe in quello che l’Alleanza Atlantica intende trasformare in progetto duraturo: ovvero, basi di sicurezza fisse nate dalle ceneri di quelle emergenziali in chiave anti-russa proprio durante la crisi ucraina. E se la CNN, ad esempio, sta facendo un lavoro egregio nel dipingere l’esecutivo polacco come un covo di pericolosi fascisti, tutta la vecchia nomenklatura politica spazzata via dalla vittoria del PiS sta organizzando le manifestazioni di piazza, quasi una prova generale di quella che potrebbe diventare l’ennesima primavera a colori finanziata da Dipartimento di Stato Usa e fiancheggiata dalle lungimiranti autorità europee.
Come spiegare altrimenti il fatto che poco prima delle elezioni parlamentari dello scorso ottobre, sia saltata fuori dal nulla una nuova formazione politica, Nowoczesna (Partito moderno), guidata guarda caso da un ex economista della Banca Mondiale, Ryszard Petru e che abbia preso il 7,5% e 28 seggi in Parlamento praticamente in poche settimane di campagna elettorale? Il tutto con enormi disponibilità economiche e il supporto quasi unanime dei media: insomma, o abbiamo a che fare con un genio del marketing politico o con l’ennesimo pupazzo cui tirano i fili filantropi alla George Soros. Non so perché ma propendo per la seconda ipotesi, visto che in Polonia l’esercito dei trombati a causa della vittoria del PiS comprende i servizi speciali e molti oligarchi, per i quali il denaro non è un problema, così come l’organizzazione dal nulla di manifestazioni di massa e proteste varie.

L’uomo delle provvidenza, con solidi legami con il mondo bancario, salta fuori all’improvviso e noi dovremmo credere alla versione polacca dell’american dream. Fossi il governo di Varsavia starei molto attento, visto che al porto di Danzica arrivano i tanker che portano il petrolio saudita a sconto in Europa nell’ambito della strategia di Ryad di rubare quote di mercato alla Russia. Se dovesse succedere qualcosa, sarebbe quasi un capolavoro: mandare un segnale a Varsavia e contemporaneamente additare come principale, possibile responsabile Vladimir Putin. Ecco l’Europa dei diritti, quella che coccola i migranti e vuole abbattere governi democraticamente eletti ma scomodi. Volevamo l’inferno, l’abbiamo trovato.

Mauro Bottarelli

Laura Boldrini – La regina della Casta? Le paghiamo pure la claque!



E a pagarlo sono i contribuenti. La presidente della Camera lo scorso 22 gennaio è andata all’Università di Pisa a presentare il suo ultimo libro dal titolo “Lo sguardo lontano“. Per l’occasione, il rettore dell’Ateneo, Massimo Augello, ha inviato una mail a tutti i dipendenti per informarli che qualora avessero voluto partecipare all’incontro con la Boldrini, le ore “perse” a fare la claque alla presidente sarebbero state normalmente retribuite. Perché considerate in “orarop di servizio”.
Bibliotecari, docenti, personale amministrativo e tecnico, come scrive Libero, il 18 gennaio hanno ricevuto una mail di invito all’evento e suonava così: “Carissimi – ha scritto il rettore – sono lieto di invitarvi all’incontro con la presidente della Camera dei deputati, che si terrà venerdì 22 gennaio, ore 15.30, nell’aula magna del Polo Carmagnini. Presenteremo l’ultimo libro della presidente Boldrini (Lo sguardo lontano, Enaiudi), attraverso brevi riflessioni affidate ai professori Carlo Casarosa, Enza Pellacchia ed Eugenio Ripepe. In attesa di incontrarvi numerosi, vi allego il programma dell’evento e vi invio un cordiale saluto”.
Evidentemente, però, l’appello a “partecipare numerosi” non era bastato. E per evitare una figuraccia, lasciando l’aula dell’incontro semivuota, il rettore ha pensato di spornare idipendenti con un incentivo da non poco: i soldi. Così il 22 gennaio la direzione generale dell’Università ha inviato una seconda mail di precisazione, affermando che “in relazione all’invito del rettore – all’incontro con la presidente della Camera, onorevole Laura Boldrini, (…) si fa presente che, per coloro che hanno il rientro di venerdì, l’eventuale partecipazione all’incontro sarà considerata come orario di servizio, previa comunicazione al responsabile della struttura”.
Laura Boldrini ha così avuto le sue 400 persone a batterle le mani, il rettore ha fatto una bella figura, i dipendenti hanno intascato lo stipendio e tutti se ne sono andati felici e contenti. Tranne i cittadini. Che hanno sborsato i soldi.

fonte: http://www.grandecocomero.com/gli-statali-pagati-per-applaudire-la-boldrini-ecco-dove-finiscono-i-soldi-delle-tue-tasse/
http://siamolagente2.altervista.org/laura-boldrini-la-regina-della-casta-le-paghiamo-pure-la-claque/

La profezia di Sandro Pertini: “l’UE ha il solo scopo di fare dell’Europa occidentale il campo di sfruttamento della finanza americana”

Sandro Pertini

Ormai a tutti è noto che l’Unione Europea e gli organismi derivanti dal Piano Marshall non sono l’espressione spontanea della volontà e delle esigenze dei popoli europei, bensì sono stati artificiosamente creati con lo scopo politico di fare d’un gruppo di nazioni europee uno schieramento in funzione antisovietica, e con lo scopo economico di fare dell’Europa Occidentale un campo di sfruttamento della finanza americana“.
Frase sorprendente, che è stata pronunciata da Sandro Pertini nel 1949, all’alba di quelpiano Marshall(dal nome del segretario di Stato Usa che lo annunciò il 5 giugno 1947) con cui gli Stati Uniti iniziavano ad esportare, in un’Europa distrutta, il loro modello economico e sociale al fine di sottometterla e colonizzarla. Pertini, compreso questo, ritirò anche la sua adesione dal manifesto di Ventotene, ovvero al progetto di Europa unita scritto da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Ursula Hirschmann tra il 1941 ed il 1944 durante il loro confino sull’isola di Ventotene. Il manifesto si diversificava dal progetto di Pan-Europa del Conte Kalergi, che nel 1922 immaginava un’Europa a conduzione tecnocratica e non un’Europa in cui un Parlamento sovrano, eletto a suffragio universale, determinasse le politiche comuni.
Cosa comprese dunque Pertini già nel 1949? Che tra il dire ed il fare c’era di mezzo il mare… Nello specifico c’era di mezzo l’interesse dei poteri economici americani, che già alla fine della seconda guerra mondiale erano così forti e strutturati da creare un vero e proprio potere politico con mire di controllo e dominio globale. Il piano Marshall, fin dal suo esordio, avviava un vero e proprio processo di trasformazione strutturale delle economie europee di cui svilupparono i consumi e la dipendenza dall’estero, piuttosto che una vera e propria ricostruzione industriale e produttiva che avrebbe dato forza ed autonomia al vecchio continente. Appunto affrontavano la situazione con la chiara idea di colonizzarci.
Il piano però dovette essere rapidamente abbandonato perché la minaccia sovietica iniziava a farsi pesante, ciò avvenne nel 1951. Con il senno del poi è chiara la ragione del cambio di strategia, avvenuto in esclusiva chiave antisovietica. Era necessaria una nuova impostazione:prima della colonizzazione definitiva del continente bisognava disattivare il nemico comunista altrimenti i Paesi europei avrebbero potuto strizza l’occhio ad est. L’azione antisovietica possibile era logicamente solo quella che passava per l’abbandono delle politiche del piano, dunque era quella di fornire al vecchio continente una legislazione fortemente tutelante dei più deboli, al fine di battere il Comunismo dove esso avrebbe dovuto essere più forte, nel sociale e nel lavoro. Ciò implicava necessariamente dare forza produttiva all’Europa, renderla una potenza libera.
Quello che ovviamente era efficace in chiave anti sovietica però lo diveniva anche in chiave anti americana. Caduto il muro non si poteva lasciare che l’Europa proseguisse nella direzione intrapresa, diveniva pericoloso per gli interessi della finanza americana proseguire su questa strada, l’Europa non avrebbe avuto più ragioni per essere subalterna. Così si è ripartiti con una nuova strategia di aggressione del vecchio continente da parte della finanza americana. Ecco che in quest’ottica l’Europa unità è diventata, come avrebbe dovuto esserlo fin dal piano Marshall, solo un metodo più semplice di controllo di un vasto territorio, risultando molto più facile imporre la propria influenza con una leadership europea unica, piuttosto che imporla ad una pluralità di nazioni sovrane.
Ciò che Pertini intuì era dunque il percorso che aveva preso l’Unione fin dai suoi albori, quando era solo un pensiero, percorso che poi è diventato evidente e via via più chiaro con il Trattato di Maastricht e quell’insieme di regole che ha definitivamente fatto dell’Europa il campo di sfruttamento della finanza americana. Dopo il grande sviluppo delle democrazie europee, appunto al fine di evitare che i nostri Paesi passassero al comunismo, il lavoro per la finanza americana era diventato ben più complesso, era difficile far tornare indietro le democrazie senza quella che Mario Monti definirebbe “una crisi visibile e conclamata”. Tale crisi, escludendo l’invasione militare dell’Europa che non avrebbe avuto il consenso dell’opinione pubblica americana, poteva essere causata solo con mezzi non comprensibili alle masse. Ecco il ruolo dei parametri di convergenza europei (3% percento deficit/pil, ecc…), essi sono perfetti per causare la fine dell’indipendenza e della sovranità delle nazioni europee, senza che le opinioni pubbliche nazionali possano capire con precisione quanto sta accadendo.
D’altronde, proprio come diceva ancora Pertini, un uomo senza lavoro, che vive nella misera, non può essere certamente considerato libero. Questo comporta che esso non sarà neppure un uomo in grado di capire la sua condizione e reagire ad un nemico così occulto, subdolo e purtroppo per noi strategicamente molto preparato.
Tutto questo avviene oggi, alla luce del sole…

fonte http://siamolagente2.altervista.org/la-profezia-di-sandro-pertini-lue-ha-il-solo-scopo-di-fare-delleuropa-occidentale-il-campo-di-sfruttamento-della-finanza-americana/

Intervento americano in Siria (passando sul cadavere di Litvinenko)

Il presidente russo Vladimir Putin

Comincia una nuova offensiva occidentale contro Putin e la Russia.

I segnali sono chiari: Ashton Carter, capo del Pentagono, annuncia che gli Stati Uniti stanno cominciando ad affrontare il problema di un intervento sul terreno in Siria. Il vice-presidente Joe Biden va in Turchia per rafforzare i legami con l'alleato della Nato, e annuncia l'ipotesi di un intevento congiunto turco-americano nello stesso scenario. In violazione plateale della legge internazionale, che non li autorizza a questo. Ma siamo ormai nell'era dell'assenza di regole. Dunque bisogna trovare una spiegazione pratica.
La Russia sta vincendo, da sola, la guerra contro Daesh, e controlla sostanzialmente e legalmente tutto lo spazio aereo della Siria. La fine dello Stato Siriano è scongiurata. Bashar al-Assad sarà — stanti così le cose — al tavolo negoziale. Bisogna fermarla prima che gl'incontri di Ginevra avviino la soluzione politica. Biden e Carter sono rappresentanti delle due fazioni nell'amministrazione Obama. Dunque c'è da attendersi qualche cosa di grosso. La recente visita alla base russa di Latakia, al possente sistema difensivo costruito da Mosca in Siria — organizzata dal Ministero della Difesa russo e alla quale ho potuto prendere parte — ha permesso a decine di canali televisivi occidentali di filmare la situazione sul campo. Quelle immagini stanno facendo il giro del mondo, insieme a quelle della ritirata in atto di Daesh da molti dei fronti di guerra.
Ripeto: bisogna fermare Mosca. E Putin, che in questi ultimi quattro mesi ha conquistato posizioni su posizioni nelle opinioni pubbliche occidentali, superando nei ratings perfino i leaders locali. Questo perché sono ormai molti coloro che cominciano a comprendere che la Russia, ben diversamente dall'immagine del "nemico" che si è cercato di formare, appare sempre di più come un partner e un alleato a un'Europa inquieta, anzi terrorizzata. Senza guida politica, senza piano per fronteggiare il terrorismo vero, le provocazioni artificiali come quella di Colonia, la crisi economica e sociale che non accenna a diminuire.
Dunque, a maggior ragione, la leadership americana si prepara a schiacciare il pedale dell'intensificazione della tensione. Ed ecco uscire, per la terza o quarta volta, il comodo dossier sull'assassinio al Polonio di Litvinenko, ex agente del KGB Litvinenko e collaboratore dell'altrettanto defunto (per presunta autoimpiccagione) Boris Berezovskij. Anche questa volta un magistrato di Sua Maestà Britannica ha risposto all'ordine e ha sollevato il caso. In verità senza aggiungere nulla di nuovo. Del resto non poteva: il caso è stato segretato qualche anno fa per questioni di sicurezza nazionale. Il che fa pensare che i servizi segreti britannici abbiano avuto a che fare con la vicenda. Ciò nonostante il magistrato ha concluso che è "probabile" la responsabilità dello stato russo nell'assassinio. Dunque di Putin. Cameron, che è responsabile della morte di migliaia di persone in Libia, si è lanciato in accuse contro Putin che, in un mondo normale dovrebbero precludergli per sempre ogni viaggio a Mosca.
Sulla base di una tale conclusione non c'è tribunale al mondo che possa iniziare alcun procedimento penale. Ma è stato quanto bastava per scatenare una campagna mediatica straordinaria che ha invaso, come un uragano l'intero mainstream occidentale. L'Italia non ha fatto eccezione. E La Repubblica ha superato tutti dedicando ben quattro paginoni al caso Litvinenko e mobilitando in un colpo solo e per qualche giorno tutti i suoi tromboni anti russi. Naturalmente inforcando la tesi del compiacente magistrato, cioè salendo su una bicicletta senza ruote. Non una parola alle tesi opposte. Per esempio quella del fratello Maksim, che già alcuni anni fa espresso il sospetto che l'assassinio fosse stato organizzato dai servizi segreti occidentali per togliere di mezzo un testimone informato delle operazioni di discredito di Vladimir Putin che avevano avuto per protagonista Boris Berezovkij.
Non resta che tornare alla domanda precedente. Quando si muovono le corazzate informative del mainstream occidentale, è legittimo aspettarsi movimenti successivi delle armi non metaforiche, cioè quelle con cui si fa la guerra e si uccidono le persone.


Leggi tutto: http://it.sputniknews.com/mondo/20160125/1953929/intervento-usa-siria-carter-biden-russia.html#ixzz3yW4JicZ6

martedì 26 gennaio 2016

Il PD è sempre dalla parte delle banche,delle multinazionali,e dei petrolieri...leggete quello che dice questo signore...


Il referendum No Triv vuole distruggere imprese e rottamare lavoratori
Non è una bufala mettiamolo subito in chiaro ,è un contributo del consigliere regionale del Pd Gianni Bessi il quale riesce a motivare una scelta scellerata legata allo stupro del territorio,alla svendita di risorse millenarie,alla cancellazione di milioni di posti di lavoro legati all'ambiente,al turismo,alla pesca,per qualche miserabile assunzione stagionale per i due mesi di approvvigionamento di quel bitume di bassa qualità che potrebbe uscire dal mare Adriatico.Sconquassi che riguarderebbero anche il resto del mediterraneo.
Questo è il Pd,un partito che guarda altrove,che fa del lecchinaggio e della svendita di tutto ciò che è italiano il suo punto di forza.
Queste persone non devono fare politica,uno può essere la più grande testa di cazzo esistente ma in quel posto deve stare per fare gli interessi dei cittadini,non il contrario questa arroganza diffusa e generalizzata deve finire.Questo partito deve sparire non è degno di essere presente nelle liste dei partiti e insieme a lui devono sparire tutti quelli che hanno contribuito a svendere e a continuare a svendere l'Italia.
Alfredo d'Ecclesia 
Ed ecco le allucinanti dichiarazioni di Gianni Bessi
Il commento del consigliere regionale Pd in Emilia Romagna, Gianni Bessi, all'indomani della decisione della Corte costituzionale che è stata salutata con entusiasmo da un fronte anti sviluppo e anti industria composto da ambientalisti, sindacalisti e politici

"Il referendum No Triv vuole distruggere imprese e rottamare lavoratori".


Io sto con i lavoratori. Solo a Ravenna sono quasi 5 mila e negli ultimi 6 mesi se ne sono persi quasi 900. E non è finita.
Il via libera da parte della Consulta al referendum ‘no triv’ è a mio parere l’ennesima occasione persa. Anzi, per essere più precisi, è l’ennesimo ostacolo che si pone lungo la strada della ripresa del Paese, che come sappiamo è difficile e non è affatto scontata.
L’effetto che avrà il referendum, aldilà del risultato, è che si produce incertezza in uno dei settori trainanti dell’economia del Paese, a più alto valore aggiunto e specializzazione. In questo modo gli investitori dell’oil&gas si ritireranno dall’Italia: in realtà lo stanno già facendo. Mentre le aziende sub contrattiste andranno in profonda crisi. Anzi stanno già soffrendo.
E vorrei ricordare a chi sostiene l’esigenza di fermare le estrazioni in mare che i primi a soffrire di uno stop alle trivellazioni saranno proprio i lavoratori delle ‘nostre aziende’ dell’impiantistica meccanica, dei servizi, dell’ingegneria, ecc. cioè quella parte della società che sta già pagando maggiormente gli effetti della lunga crisi. E ai quali non viene detto che cosa faranno domani, quale sarà la loro occupazione nel momento in cui le loro 
imprese chiuderanno i battenti.
Si tratta di migliaia di persone da Ravenna alla Basilicata all’Abruzzo ed in tutta Italia che hanno il solo difetto di sapere fare bene il proprio lavoro ma del cui futuro e delle loro famiglie pare non importi ai nuovi campioni della difesa dell’ambiente, che mentre non vuole che l’Italia si comporti come gli altri Paesi sviluppati (ieri la Norvegia ha rilasciato 56 concessioni nei suoi mari) utilizzando le proprie risorse per fare funzionare meglio l’economia e quindi il welfare, con considerevoli risparmi nella bolletta energetica nazionale ma continua a consumare quotidianamente energia, muovendosi in auto, e comparendo allegramente in televisione.
Gianni Bessi consigliere regionale Pd dell'Emilia Romagna
fonte http://formiche.net/2016/01/20/il-referendum-no-triv-vuole-distruggere-imprese-e-rottamare-lavoratori/