giovedì 8 gennaio 2015

FORTEZZA EUROPA 2- DRONI, ROAD MAP, LOBBIES €UROPEE E LE DECISIONI IMMINENTI E INEVITABILI (e l'assalto a Finmeccanica)


droni per tutti
Prosegue la maxi-panoramica di Riccardo Seremedi sui problemi della difesa e delle strategie geopolitiche in cui la meravigliosa "costruzione europea", il "sogno" di pace con tanto di premio Nobel, sta precipitando l'Italia.
Mi pare importante sottolineare questi passaggi:
- "...applichiamo questo modus operandi alla miriade di analoghi progetti in ambito militare, moltiplichiamolo per tutti i quadri normativi comunitari concernenti energia, agro-alimentare, settoreautomotive, ecc. e possiamo renderci conto del guazzabuglio di conflitti d' interesse che alberga a Bruxelles";
- ...rimilitarizzazione della politica estera”, un progetto con un sempre più accentuato carattere egemonico che i movimenti sociali tendono a ignorare, essendo concentrati sulle conseguenze di austerità e depressione economica;
-  Nei sogni di alcuni think tank di Bruxelles, l'obiettivo minimo è il controllo di una zona che comprenda la metà superiore dell'Africa, con l'Oceano Indiano fino in Indonesia e ad est abbraccia l'intero continente europeo fino ai giacimenti di gas nella Penisola di Yamal in Russia;un'Unione Europea così concepita vivrà in uno stato di guerra permanente e  necessita pertanto di un esercito ben strutturato che sostituisca quello attuale troppo frammentato, non adatto a guerre di tipo neocoloniale.

Da ultimo l'inquietante strategia della "tensione dei mercati" attivata suFinmeccanica, con un meccanismo tristemente già noto. Con ulteriori implicazioni che vedremo nella prossima "puntata".

Come al solito i grandi broadcast networks mondiali sono “abili e arruolati” e dovranno dare il loro contributo alla costruzione della Grande Società e alla creazione del “terrorismo sintetico”, dalla definizione di Alessandro Lattanzio; il box collocato nella stessa pagina (77) non può essere più chiaro: “L'influenza dei mediasull'opinione pubblica nell'accettazione delle operazioni di difesa”.
Il concetto è questo: nell'era delle tecnologie e dell'informazione globale, i diversi modi di fruizione delle notizie – soprattutto grazie a Internet – hanno reso le persone molto più consapevoli sui reali effetti delle operazioni militari, come ad esempio i bombardamenti su Bagdad;  questo crea nell'opinione pubblica una profonda impressione e porta al rifiuto di tali operazioni.
Viceversa, le immagini del Darfur, dello Zimbabwe e altre mostruosità creano pressioni sociali sui governi per l'avvio di operazioni umanitarie.
Quindi?
Quindi, il compito dei media è trasformare operazioni a carattere prevalentemente militare in operazioni filantropiche, magari in quei Paesi che possiedono quelle famose“terre rare”, di cui la Commissione tanto si preoccupa.
Trattasidi 17 elementi indispensabili per lo sviluppo economico e il cui approvvigionamento richiede l'uso di tecnologie avanzate nonché costi di estrazione elevati.
Grazie alle proprietà magnetiche, le terre rare sono usate nelle calamite permanenti di tipo neodimio-ferro-boro utilizzate nei motori delle auto elettriche, nei generatori a pale eoliche di elevata potenza, nei processi per la raffinazione del petrolio, superconduttori ad alta temperatura, nanotecnologie e altre innumerevoli applicazioni.
Negli ultimi decenni diverse nazioni si sono alternate nell'egemonia produttiva di tali elementi; dagli anni '90 la Cina controlla circa l'87% del mercato mondiale e nel frattempo le frizioni con Stati Uniti e Unione Europea si sono accentuate.
Tra il 2010 e il 2011, la Cina ha irrigidito le restrizioni all'esportazione, inasprendo il carico fiscale e diminuendo le quote destinate all'export; queste misure – prese in realtà per salvaguardare il mercato interno da un eccessivo depauperamento – hanno provocato rilevanti aumenti di prezzo: il costo dell'europio, ad esempio, è passato dai 500 dollari per kg del  giugno 2010 a 5000 dollari del giugno 2011, rivelando la vulnerabilità del sistema economico-industriale americano ed europeo.
A riprova di quanto sia spinosa la questione, nel marzo del 2012 Stati Uniti, Unione Europea e Giappone si sono rivolti congiuntamente all'Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), chiedendo consultazioni riguardo le restrizioni di Pechino; per contro la risposta cinese non si è fatta attendere, con il Ministro dell'Industria, Miao Wei, che ha dichiarato: “La Cina prepara la sua difesa, nel caso che gli USA e altri Paesi depositino una denuncia riguardante la questione delle 'terre rare' davanti all'OMC” .
La restrizione cinese all'esportazione non è contro alcun Paese specifico ed è giustificata, come detto poc'anzi, dalla necessità di sfruttare le risorse in maniera sostenibile; viceversa la posizione occidentale, che ha preferito aprire un contenzioso internazionale in luogo di negoziati, ha indispettito non poco Pechino.
L'irritazione USA-UE si giustifica anche con le ripercussioni – dovute all'incertezza in termini di tempo e soldi – che tale controversia potrebbe cagionare allo sviluppo dei cosiddetti “droni” - ossia il programma RPAS (Remotely Piloted Aircraft Systems)  -  la nuova frontiera militare europea, di chiara ispirazione statunitense.
I droni - chiamati anche “Unmanned Aerial Vehicles “ (UAV) - sono velivoli senza pilota, comandati a distanza e guidati tramite joystick – come in una moderna“console” per scopi ludici - da militari appositamente addestrati e spesso operanti in basi situate anche a migliaia di chilometri di distanza dal teatro degli eventi; è il caso, ad esempio, della base Creech nel Nevada,  dalla quale sono teleguidati i velivoli che colpiscono i territori tra Pakistan e  Afghanistan dove si troverebbero alcune delle più importanti cellule  di Al Qaeda; solo le fasi di decollo eatterraggio vengono gestite in loco
La loro dotazione è di altissimo livello tecnologico e comprende sofisticati computer, laser, GPS,  telecamere, intensificatori d'immagini, visori ad infrarossi e i micidiali missili a guida laser “Hellfire” ; ciò consente una completa mappatura ad immagini della situazione sul campo 24 ore su 24, permettendo anche di "captare" conversazioni telefoniche e, va da sé, annichilire “chirurgicamente” il nemico.   
Con un'opinione pubblica, come abbiamo visto in precedenza, fortemente contraria all'invio di soldati in costose –  sia in termini di budget che di vite umane - “operazioni umanitarie”,  l'uso di queste nuove capacità belliche risulta essere  “l'uovo di Colombo”; da un lato si accrescono i profitti delle  multinazionali  USA  - incrementandone le vendite, anche in ambito europeo – e dalI'altro si diminuisce la presenza dei marines in prima linea, tacitando le rimostranze della società civile e presentando la guerra – tanto all'opinione pubblica quanto ai soldati stessi  - come un asettico videogame: come stiano le cose, a tal proposito, ce lo racconta un ex strikerUSA, Brandon Bryant.                                                                    L'amministrazione Obama hapotenziato l'uso strategico degli UAV che , nella lotta del Bene contro il Male, devono portare ad una serie di “azioni letali mirate” con l’obiettivo di “smantellare specifiche reti di estremisti violenti che minacciano l’America”;  in realtà, tali “azioni mirate”hanno mostrato un'elevata propensione all'errore se consideriamo che, secondo la Commissione per i diritti umani del Pakistan,  solo nel 2010 sono stati uccisi  957 civili e che anche gli altri Paesi posti “sotto la lente USA” vedono un numero assai considerevole di “incresciosi incidenti”:  uno degli ultimi casi si è avuto il 13 dicembre scorso a Radda,  nello Yemen, dove un corteo nuziale è stato attaccato, per errore, da un drone americano provocando la morte di 17 persone.                                                              

La stessa ONU, di fronte allo stillicidio di vittime civili, ha duramente condannatol'uso dei droni con la divulgazione di 2 rapporti redatti dall'avvocato internazionale inglese Ben Emmerson e dal giurista sudafricano Christof HeynSebbene vi sianopalesi violazioni del diritto internazionale (intrusioni nello spazio territoriale di nazioni sovrane) e diritti umani (esecuzioni sommarie in paesi stranieri, senza un giusto processo e sulla base di sospetti aleatori e insindacabili) e da più parti se ne chieda un drastico ridimensionamento, la progettazione degli UAV per impieghi militari va avanti a tappe forzate, con un filone di ricerca parallelo che è stato indirizzato verso una crescente miniaturizzazione dei manufatti: la BBCha reso noto che dal 2012, in Afghanistan, le truppe britanniche stanno usando dei mini droni-elicottero (10 cm), dotati di sensori,  per monitorare la disposizione dei Taliban sul campo di battaglia; parimenti incredibili sono gli studi condotti alla “Wright Patterson Air Force Base” a Dayton (Ohio), dove si stanno sviluppando minuscoli droni che possano volare in sciami come le api o strisciare come ragni, con l'intento di trasformarli in letali killer invisibili

Queste formidabili premesse ci portano dritti al documento conclusivo del Consiglio Europeo , redatto al termine dei lavoridel meeting di dicembre,
in cui si pone l'accento sullo sviluppo e utilizzo di modelli aventi caratteristiche operative di “media altitudine e lunga autonomia” (pag.6), con il reperimento di “fondi adeguati” già nel 2014:  in realtà, tali “fondi adeguati”  hanno – come ci apprestiamo a scoprire - una lunga storia alle spalle e lo stesso iter attuativo è paradigmatico delle modalità e dei contesti para-istituzionali in cui tecnocrati e oligarchie economico-finanziarie – in un rapporto democraticamente incestuoso – operano “al riparo dal processo elettorale”
 “Eurodrones Inc.”  è un minuzioso rapportoredatto da “Statewatch” - un “watchdog” europeo su libertàe diritti civili - e divulgato lo scorso febbraio, nel quale vengono analizzate in profondità le varie fasi comunitarie nell'approccio agli UAV. Lo studio evidenzia il considerevole appoggio – politico, ma soprattutto economico – dato dall'Unione Europea all'industria dei droni con almeno 500 milioni di euro già a partire dalla fine degli anni '90, caratterizzato dall' abituale mancanza di un qualsivoglia dibattito pubblico e dalla natura opaca ed elitaria del progetto. 
                                                        
Se in alcuni settori come -  ad esempio -  l'agricoltura o il monitoraggio di ampie aree  l'utilizzo di tali tecnologie non può che trovarci assenzienti, in molti altri scenari sviluppati dall'UE, i droni sembrano più una soluzione che sta cercando un problema anziché viceversa” : nel merito, è rivelatore un aneddoto che ha visto come protagonisti gli autori di “Statewatch” e un produttore di UAV  che, in uno scambio di battute durante una conferenza sul tema, lo ha pacificamente riconosciuto:“Avete ragione, attualmente non sappiamo qual'è il problema; sappiamo solo che la soluzione sono gli UAV”.                                          L'analisi propostaci è davvero pregevole e offre argomenti molto interessanti;  nei paragrafi 2.2 e 2.3 (pag.12 e seg.)apprendiamo che nel 2001 la Commissione Europea ha finanziato progetti R&S (Ricerca e sviluppo) sui droni con l'utilizzo di denaro del “5th Framework ResearchProgramme” (FP5), e tra i primi progetti sovvenzionati dai contribuenti europei troviamo un workshop sulle “Civilian Application of Unmanned Airborne Vehicles” ;  il fatto singolare è che tale progetto avesse come guida le competenze della “Israeli Aerospace Industries” (IAI)la compagnia dello Stato con la Stella di David,  produttrice dei velivoli da combattimento teleguidati “Heron” e “Hunter”. 
Gli israeliani – leader con gli USA in questo settore – avevano evidentemente “pizzicato” le corde giuste, visto che quattro anni più tardi la Commissione Europea decide di “investire” 15 milioni di euro in cinque progetti UAV  e in questi programmi la già citata Israeli Aerospace Industries fa la parte del leone, considerando che due di questi   - UAV-NET e CAPECON – la vedono direttamente a capo, e altri due – IFATS e USICO – ne riportano la presenza come compartecipante: nello studio viene citato – tra i promotori più assidui – tale Mark Okrent, un senior official della IAI echairman del progetto UAV-NET, cosa che porta gli autori del rapporto a scrivere: “ […]Europeans may be shocked at the extent to which early EU thinking on drones was steered and honed by defence contractors from Israel – not an EU member state – looking for a civil market for their war robots [...]”
E' del tutto superfluo far notare che la politica sui droni è stata modellata attraverso un processo interamente tecnocratico e rimane largamente invisibile ai parlamenti e alle popolazioni europee; tutto viene fatto passare attraverso le roadmap, che “ [...]purtroppo, a differenza di testi legislativi o 'white paper', non invitano ad un più ampio contraddittorio. Infatti, il loro stesso uso appare esattamente progettato  per evitare discussioni e dibattiti[...]” (pag.13) e inoltre“[...]queste ambiziose 'roadmap' non solo hanno l'effetto di ridurre il processo decisionale del Parlamento a mero timbro certificatore, ma creano l'impressione che lo sviluppo dei droni sia imminente e inevitabile[...]”, con “[...]il processo che sembra essere stato quasi interamente esternalizzato all'industria[...]” (pag.14)

Tra le innumerevoli “roadmap” delle quali viene dato conto, il fattore costante e unificante è  rappresentato dalla pervasiva presenza della “UVS International”. Fondata nel 1995 da Peter Van Blyenburgh – attuale Presidente -  come “Euro UVS” eregistrata in Olanda come organizzazione no-profit, la UVS International è -  in realtà -  una lobby internazionale (250 membri in 34 paesi) che rappresenta gliinteressi dei principali costruttori del settore (BAE SystemsEADS-Cassidian, Thales, ecc.) e conta, oltre ai 150 “corporate members” a libro paga , anche 109“honorary members” - appartenenti ad autorità nazionali di regolamentazione, autorità militari, NATO e governi - che hanno il compito di aggirare ”i canali ufficiali, rendendo in tal modo la circolazione delle informazioni molto più veloce e allo stesso tempo creando rapporti vantaggiosi”(Box 1 pag.17).                                                                                                                               
Come se questo non fosse già abbastanza disdicevole, si viene a sapere che l'UVS ha istituito un premio – il “Catherine Fargeon Price” - che gratifica le individualità che hanno profuso “l'impegno personale e il contributo alla promozione per l'inserimento degli UAV nello spazio aereo 'non-segregato'[...]” , e dal 2005 - anno di nascita del premio –  più di una dozzina di regolatori e responsabili politici dell'UE ne impreziosiscono con i loro nomi l'albo d'oro: applichiamo questo modus operandi alla miriade di analoghi progetti in ambito militare, moltiplichiamolo per tutti i quadri normativi comunitari concernenti energia, agro-alimentare, settore automotive, ecc. e possiamo renderci conto del guazzabuglio di conflitti d' interesse che alberga a Bruxelles“ [...] l’empia Babilonia, ond’è fuggita ogni vergogna, ond’ogni bene è fori, albergo di dolor[...]”.

Tra la moltitudine di burocrati che affollano i vari panel workshopdestinati alla promozione dei “nuovi giocattoli” comunitari troviamo anche il parlamentare europeo Vittorio Prodi (PD), fratello del più noto Romano: sembra che la saga europea della casata emiliana non sia destinata ad esaurirsi tanto facilmente, poiché al declinare dell'uno corrisponde l'ascesa dell'altro. L'eurodeputato italiano è il Presidente dell' European Parliament’s Sky and Space Intergroup, per il quale riceve risorse umane - in forma di “funzioni di segretariato” per un massimo di 3 giorni al mese – da ASD Europela lobby delle industrie militari europee; in un suo discorso Prodi ha auspicato l'adozione dei droni, prospettando misteriosi benefici per i cittadini europei ed ha “confermato il supporto del Parlamento europeo per lo sviluppo dell'uso civile degli UAS” ,  frase questa che hadato agli autori del rapporto la possibilità di portare un elegante colpo in punta di fioretto, quando osservano che “[..]must have come as news to other members of the European Parliament, who have not yet had the pleasure of discussing EU drone policy[...]”. Touché 

Uno dei maggiori problemi che l'élite pro-UAV si trova ad affrontare riguarda l'aura sinistra  che aleggia loro intorno, e su come porre in essere un Brain-washing, anzi un “Drone- washing”  atto a condizionare l'opinione pubblica,  portandola a mostrare più indulgenza verso queste nuove macchine generatrici di “crescita e lavoro” . 

In tal senso, la Commissione Europea – da sempre disinteressata all'apertura di un reale dibattito comune - sta invece sviluppando un programma di “public relations”  : “[...]La Relazione sulla “approvazione sociale”  raccomanda la compilazione – redatta da un gruppo 'ad hoc' – di  “una strategia per favorire l'accettazione pubblica”  e suggerisce di intraprendere un sondaggio al fine di ottenere informazioni  “direttamente dal pubblico”  su “ciò che deve essere fatto per ottenere un consenso collettivo[...]”- (pag.25) ;  qui il procedimento è mutuato da metodologie “data mining” e funziona come una ricerca dimarketing , ovvero si analizzano le motivazioni e i processi mentali della “massa” - estrapolandoli dai campioni demoscopici -  e quindi si ricalibrano il tipo di propaganda e le modalità di presentazione del “prodotto” indirizzandole -  solo superficialmente -  verso “quello che la gente vuole”, mantenendone invece intatte – nella sostanza -  le iniziali prerogative gradite alle élites:  pura cosmesi comunicativa. 

Rimanendo in tema, nel Regno Unito, la “Unmanned Aerial Vehicle Systems Association”  ha suggerito che i droni impiegati in Gran Bretagna dovrebbero essere mostrati come “un beneficio all'umanità in generale” , ricoperti da annunci umanitari e verniciati con colori vivaci per prendere le distanze da quelli utilizzati in zone di guerra.                                      
Al di là dei bizantinismi della Commissione Europea, l' uso potenziale di video e altri sensori per la sorveglianza aerea ha serie implicazioni sulle libertà civili e dovrebbe essere un serio obiettivo di discussione, ponendo anche il problema della custodia e riservatezza dei dati ottenuti, considerando le differenti legislazioni nazionali in materia.  

tuttavia è importante notare che i droni non sono semplicemente “telecamere volanti”; tra i vari tipi di “payloads” (carichi utili), l'esempio più preoccupante è rappresentato dagli armamenti: negli Stati Uniti ci sono già indicazioni sul fatto che i produttori stiano offrendo alle autorità di polizia droni equipaggiati con armi sia “letali” che “meno letali”, e si parla – in un futuro prossimo - di dotare i “Predator”, che presidiano il confine USA-Messico,  con  un bagaglio di “less-lethal weapons”
Gli autori di “Statewatch” sospettano, non a torto, che si stia andando verso una nascente “militarising Europe” (par. 4.4 ; pag.43), in ossequio agli ultimi dettami USA-NATO;  essi fanno notare che la politica della Commissione Europea sta virando verso un approccio dinamico che tende a usare i droni civili come un “Cavallodi Troia” per finanziare – in base a supposte sinergie – anche progettimilitariche vedrebbero l'impiego di UAV  armati :
come abbiamo osservato in precedenza, la Comunicazione n°542 della CE utilizzava i termini “cross-fertilisation” e “hybrid standards” riferendosi proprio a questa possibilità.              Uno dei progetti più ambiziosi prevede la costruzione ex-novo di un drone europeo “a lunga autonomia” (MALE – Medium Altitude Long Endurance) attraverso una joint-venture continentale (http://www.formiche.net/2013/06/17/eads-dassault-finmeccanica-drone-ue/),utilizzando il nuovo programma di finanziamento HORIZON 2020 che – lanciato nel dicembre scorso – può contare sul più che ragguardevole budget di 77 miliardi di euro; nella fattispecie, è rappresentativo il compito svolto dall'EDA (European Defence Agency) che -  fin dalla sua fondazione, nel 2004 -  ha investito tempo e svariati milioni di euro (almeno 190 , tra il 2005 e il 2011) in progetti che cercano di modificare gli aspetti ostativi all'operatività degli UAV fuori dallo “spazio aereo segregato” : tale definizione vuole precisare lo spazio aereo pensato per l'uso militare, che è soggetto a differenti controlli e legislazione rispetto a quello civile. 
E' esattamente questo tipo di “segregazione” che i “drone-enthusiasts” desiderano abbattere per assicurare loro massima libertà di movimento sui cieli europei; una tra le principali migliorie tecniche su cui stanno lavorando in sede comunitaria è legata allo sviluppo del sistema “sense and avoid” (“percepisci ed evita”) che consenta ai droni di individuare altri aeromobili e – alla bisogna – cambiare rotta per evitare la collisione: va peraltro rilevata la poco confortante serie storica relativa ai “drone crashes” , come si può facilmente verificare dal database di “Dronewars-net che - sebbene sconti la proverbiale reticenza militare e appaia sottodimensionato – riporta un'impressionante casistica che pone ulteriori interrogativi sul loro forzato inserimento in aree densamente popolate come quelle europee.                       
La conduzione politica dell'EDA si fa poi “apprezzare” per l'esclusiva indipendenza e per una sospetta impermeabilità al controllo democratico: “[...]non c'è nessuna regolare,  formale supervisione nei confronti dell'EDA da parte di altre istituzioni UE, el'Agenzia non rispetta pienamente le norme comunitarie in materia di accesso a documenti ufficiali, rendendo ancora più difficile[...] indagare e capire quello che sta facendo e perché[...]”(pag. 40).    
In “prospettiva UAV , assumono grande rilevanza i profondi legami che quest'ultima ha instaurato con l'European Space Agency (ESA) :  “[...]nonostante un impegno per l'uso esclusivamente pacifico dello Spazio, negli ultimi 10 anni il lavoro dell'ESA si è orientato verso le tecnologie militari. Per questo scopo ha cooperato, sempre più strettamente, con la Commissione Europea e l'EDA nello sviluppo di satelliti e infrastrutture di comunicazione necessarie ai droni per volare nello spazio aereo civile[...], una componente necessaria affinché gli UAV possano volare oltre la visuale dell'operatore (beyond-line-of-sight data transmission)[...]” (pagg. 54-55).
L'evoluzione delle metodiche connesse alle comunicazioni satellitari sta portando a una escalation nella militarizzazione dello Spazio, obiettivo che gli Stati Uniti perseguono ostinatamente fin dai tempi dell'amministrazione Reagan; quattro anni fa gli USA hanno annunciato i primi test sul Boeing X -37B , un aereorobot di dimensioni ridotte (2,9 metri di altezza, 8,9 di lunghezza e un'apertura alare di 4,5 metri) che decolla spinto da un razzo e 
(http://www.lastampa.it/2010/04/24/blogs/finestra-sull-america/obama-lancia-il-drone-spaziale-vUuHi3hk4jhbdZIda7jftN/pagina.html) torna sulla terra planando come un aliante, con un'autonomia massima di  270 giorni in orbita e abilitato a missioni di intelligence e al trasporto di armi; a tal riguardo, in un discorso all'ONU il 17 ottobre 2013, Mikhail Uljanov - direttore del dipartimento per gli Affari della Sicurezza e il Disarmo presso il ministero degli Esteri russo - ha informato il pubblico che la Russia e la Cina hanno deciso di presentare un documento da sottoporre alle Nazioni Unite: il diplomatico ha sottolineato che la ragione dell’iniziativa era “la carenza di obblighi di legge che vietino il posizionamento di arminello spazio [...]”. 

Ricapitoliamo 
(1) la nuova strategia geopolitica degli USA si sta spostando verso l'Eurasia e il Pacifico– nel Mare Cinese Meridionale - e necessita della “collaborazione” fattiva dell'Unione Europea. 
(2) come visto poc'anzi, alti esponenti della NATO e degli Stati Uniti pressano per una decisa “militarizzazione” dell'UE che, cooperando con l'Alleato,  aiuti a prevenire quelle minacce che “spesso arrivano dall'altra parte del globo” e insidiano il “primato della civiltà occidentale”.  
(3)  come si evince anche dal documento conclusivo del Consiglio Europeo, l'appello all'improcrastinabile  “militarizzazione” non è generico ma segue coordinate precise, ossia droni a ”media altitudine e lunga autonomia” ; lo sviluppo della capacità di rifornimento in volo (aerei cisterna) ; satelliti ad alta risoluzione e, soprattutto, satelliti di comunicazione che consentano la funzionalità BLOS  (Beyond-line-of-sight) che permette latrasmissione dati su lunghissime distanze (essenziale per i droni),  tutte capacità tecnologiche che rivelano future attività militari extra-europee.                                                                             (4)  “Il mondo ha bisogno di un'Europa che sia capace di dispiegare missioni militari per aiutare a stabilizzare la situazione in aree di crisi[...] abbiamo  bisogno di rinforzare la nostra Politica Estera e di Sicurezza Comune e un approccio condiviso alle questioni relative alla difesa, perché insieme abbiamo la forza e le dimensioni per  plasmare il mondo in un posto più equo, dove le regole e i diritti umani sono rispettati”.
J. Barroso – Discorso sullo stato dell'Unione, settembre 2012.
 
Un intrigante libro spagnolo, uscito lo scorso anno, offre eccellenti spunti di riflessione sulla costruzione oligarchica e dispotica dell'Unione Europea e del suo ruolo futuro, assieme alla NATO, nella costruzione e gestione di crisi militari che portino all'accaparramento delle materie prime necessarie alle grandi industrie statunitensi e tedesche.
Il tomo in questione si intitola “La Quinta Alemania” ed ha come estensori Rafael Poch – de – Feliu, Angel Ferrero e Carmela Negrete.
Come il titolo lascia presagire, lo studio dei tre autori spagnoli analizza la profonda crisi economica e democratica europea, che è poi la crisi speculare di un Paese preso – a torto – come modello.
Rafael Poch identifica nella storia dell'Europa contemporanea cinque “Germanie”; la prima è quella frammentata e pre-industriale anteriore al XIX secolo; la seconda appare con l'unificazione di Bismarck, successiva alla guerra franco-prussiana e giunge fino alla Prima Guerra Mondiale; la terza incarna la follia di Hitler e si conclude con la fine della Seconda Guerra Mondiale; la quarta è la doppia Germania del dopoguerra, una miscela di capitalismo e democrazia ad Ovest e una miscela di socialismo e dittatura ad Est.
La Germania attuale nasce dalla riunificazione del 1990 e la rigenerata sovranità e potenza la vede subito protagonista di un lento ma deciso interventismo militare, nei Balcani in quegli stessi anni fino alle odierne missioni in Afghanistan e Africa; oggi – con la disapprovazione passiva dei suoi cittadini – l'establishment teutonico giustifica il dominio imperiale dell'Occidente nel mondo, parlando apertamente della necessità e legittimità di accedere a risorse energetiche e materie prime globali.
Nel 2° capitolo Angel Ferrero parla di una rimilitarizzazione della politica estera”, un progetto con un sempre più accentuato carattere egemonico che i movimenti sociali tendono a ignorare, essendo concentrati sulle conseguenze di austerità e depressione economica.
I combustibili fossili e altri materiali necessari per la produzione industriale devono essere costantemente reperibili e sfortunatamente la penisola europea non ne è particolarmente
ricca; di qui discende la necessità di arrivare a una dissimulata strategia neocolonialista per il controllo del loro sfruttamento e delle vie di trasporto; le modalità di attuazione del progetto vanno dalla corruzione delle élites locali fino all'utilizzo di mezzi più coercitivi.
Nei sogni di alcuni think tank di Bruxelles, l'obiettivo minimo è il controllo di una zona che comprenda la metà superiore dell'Africa, con l'Oceano Indiano fino in Indonesia e ad est abbraccia l'intero continente europeo fino ai giacimenti di gas nella Penisola di Yamal in Russia; un'Unione Europea così concepita vivrà in uno stato di guerra permanente e  necessita pertanto di un esercito ben strutturato che sostituisca quello attuale troppo frammentato, non adatto a guerre di tipo neocoloniale.
Le richieste di un esercito ridotto e moderno sono aliene da considerazioni economiche o pacifiste; quest'idea viene dalla maggioranza della NATO e si basa sulla strategia “una organizzazione, due pilastri” (USA e UE) che postula il dispiegamento della massima forza nel più breve tempo, un “braccio armato” che intervenga dove gli interessi occidentali vengono minacciati, fosse anche all'altro capo del mondo.
Questa è la linea d'azione del fedifrago Hollande che vorrebbe, fin da subito, una maggiore condivisione nelle politiche “umanitarie” in Africa, e il suo intervento al vertice di dicembre è stato una “chiamata alle armi” nei confronti degli altripartner; tra i Paesi più recalcitranti e ostili a questo progetto vi è senza dubbio Londra che è decisa a mettere il veto sul progetto di integrazione e cooperazione.
Quale sia la reale motivazione della presenza francese in Africa lo si evince da unarticolo del nostro Stato Maggiore della Difesa; la fine del colonialismo, vi si legge, non ha visto un rallentamento delle ingerenze francesi nelle politiche interne di questi Paesi: mediante grandi aziende attive nel settore minerario, petrolifero e infrastrutturale, Parigi controlla i ricchi giacimenti locali di minerali strategici (uranio, cobalto, bauxite, manganese, rame e ferro), beneficia di importante commesse e appalti.
Lo strumento militare è strettamente correlato al raggiungimento di tali fini, come lo è in altre nazioni africane; dietro alla tragedia nella Repubblica Democratica del Congo vi è la lotta sotterranea degli USA e delle multinazionali (con i loro alleati Uganda e Ruanda) per lo sfruttamento del coltan (elemento essenziale per l'industria hi-tech, missilistica, aeronautica ecc.) e il conflitto nel Kivu è fomentato con l'arruolamento di mercenari e pseudo-ribelli. (http://www.cesi-italia.org/africa/item/279-l%E2%80%99instabilit%C3%A0-del-congo-orientale-e-il-ruolo-dell%E2%80%99m23-e-delle-milizie-etniche.html
Lo scrittore e giornalista francese Charles Onana - autore del libro “Europe, crimes et censure au Congo. Les documents qui accusent” - rivela in un'intervista esclusiva all'AntiDiplomatico la cifra della selettività democratica occidentale nel bacino del Congo e dintorni;  questo un breve estratto: “ [...] Quello che ho capito dalle mie indagini è che l’UE è succube della politica estera di Stati Uniti e Gran Bretagna nella regione dei Grandi Laghi, una politica favorevole al Presidente Paul Kagame. Per la cronaca quest'ultimo aveva seguito una formazione accelerata al Pentagono per operare un colpo di Stato nel 1990[...]”.
Nel paragrafo 3.3.9 (pagg.53-54) dello studio batavo arriviamo al problema dei problemi: la proprietà dell'industria militare.
Si constata che molte delle attuali principali aziende europee sono ancora parzialmente possedute dai governi, soprattutto per mezzo della golden share, ma che attraverso il processo di liberalizzazione questo trend sta scemando; le compagnie USA hanno incrementato la loro presenza in Europa attraversoacquisizioni (principalmente nel Regno Unito, Germania e Svezia) ma “...in France, Italy and Spain, governments are still reluctant to sell majority stakes in defence company.
Il punto di arrivo è quello di portare alla nascita di grosse multinazionali che acquisiscano, tassello dopo tassello, i residui pezzi pregiati, infatti: less government ownership and more private ownership may led to increased efficiency and will make it easier to create
larger multinational firms[...]”.
Più chiaro di così!
E' evidente come l'Italia sia, da questo punto di vista, un bocconcino succulentoche attende docilmente di essere svenduto dalla sua classe politica, non più così “riluttante”.
La chiave del successo di un'operazione del genere passa attraverso i mercati azionari (“Private ownership and operation on the stock market will create pressures for further restructuring actions to improve competitiveness and financial performances; pag.54) e il piano d'azione è stato sperimentato innumerevoli volte con i Bond sovrani dei paesi periferici: si diffondono delle notizie allarmistiche o delle “casuali” fughe di notizie (sovente  sotto forma di report riservati) che fanno dubitare gli investitori sulla solvibilità del Paese che, privato della propria politica monetaria, è costretto ad assistere all'impennarsi dellospread, alla fuga dei capitali verso i paesi core e al progressivo peggioramento dell'economia che richiederà misure drastiche di aggiustamento.
Questa necessaria premessa è l'incipit che ci consente di ragionare sul destino diFinmeccanica e di come le vicende che la vedono protagonista negli ultimi mesi ricalchino in maniera impressionante lo schema appena visto.
Giusto un anno fa, l'allora AD di Finmeccanica – Giuseppe Orsi – è raggiunto da un'ordinanza di custodia cautelare con l'accusa di corruzione internazionale, peculato e concussione; la magistratura ipotizza il pagamento di una presunta tangente a membri del governo indiano per una fornitura da 556 milioni di euro per 12 elicotteri Agusta.
L'effetto è devastante, con il titolo che non riesce a far prezzo negli scambi iniziali, arrivando a cedere successivamente l'8,4%; a seguito di queste vicende, l'UBS decide di abbassarne ( http://www.piazzaffari.info/titoli-hot/finmeccanica-titolo-bocciato-da-ubs-dopo-arresto-orsi.html) il giudizio da “buy” a“neutral”, adducendo a giustificazione della decisione presa la probabile incapacità di portare avanti il NECESSARIO PIANO DI DISMISSIONI E RISTRUTTURAZIONI (necessario a chi?) da parte del nuovo amministratore delegato Alessandro Pansa, incapacità dovuta all'ottenimento di un sufficiente consenso politico.
A luglio, Belgio e Olanda accusano l' Ansaldo Breda (una controllata) di aver venduti loro dei treni non corrispondenti agli standard qualitativi là in uso e quindi blocco delle consegne e azione legale per il recupero delle quote già pagate; infine – ciliegina sulla torta – arriva il fuoco di fila deldeclassamento del rating, prima con Fitch(luglio)
 e – in un secondo tempo – Moody's (settembre), entrambe con giudizio JUNK(spazzatura): gli analisti americani motivano la loro scelta con “il ritardo rispetto alla tempistica indicata nella vendita delle attività non più strategiche nei trasporti ed energia”.
Stupisce assai l'apprendere che le scelte e le opzioni commerciali di un'azienda debbano essere dettate da organismi in palese conflitto di interessi (http://it.wikipedia.org/wiki/Moody%27s) , essendo essi stessi controllati da fondi di investimento (BlackRockVanguard GroupState Street) e banche che detengono cospicui pacchetti azionari di Lockheed Martin, uno dei principaliconcorrenti di Finmeccanica.
Sembrerebbe che, a quanto ci raccontano, per la factory italiana valga il famoso detto“L'è tutto sbagliato, l'è tutto da rifare” dell'indimenticabile “Ginettaccio”. Sembrerebbe.
A leggere nel già citato studio TNO si ricava un'impressione ben diversa; dal box dedicato a Finmeccanica (pag. 67) si trae un giudizio molto lusinghiero sulla nostra azienda, che viene definita “il principale gruppo italiano che opera globalmente nel settore aerospaziale, nei settori della sicurezza e della difesa e uno dei leader mondiali nel campo degli elicotteri, della difesa elettronica, nonché leader europeo nei satelliti e servizi spaziali”, tutte competenze di primaria rilevanza nell'odierno mercato militare; aggiungiamo al postutto che “la crescita organica” diFinmeccanica è orientata nel Regno Unito e negli Stati Uniti e il cerchio si chiude.
Nel mercato dominato dalle grandi multinazionali anglo-americane, la presenza di Finmeccanica tra le prime 10 aziende mondiali dà sicuramente fastidio, non meno di quanto ne desse l'ENI di Mattei: sarà un caso che proprio ENI-Saipem (per presunte tangenti all'Algeria) e Finmeccanica si trovino nell'occhio del ciclone, con crolli in Borsa e declassamenti di rating che vanno di pari passo con le richieste di privatizzazioni?
No, non è un caso; come già evidenziato precedentemente, il fine – a saperlo decifrare – è chiaro: destabilizzare un'azienda per abbassarne il valore patrimoniale e d'immagine che ne consenta l'acquisizione a prezzo di saldo, confidando anche nel miserrimo quadro macroeconomico italiano.

http://orizzonte48.blogspot.it/2014/05/fortezza-europa-2-droni-road-map.html

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