giovedì 6 marzo 2014

Il 2014 è una polveriera: i conflitti più preccupanti dei prossimi mesi


La crisi che soffia sulle sponde del Mar Nero è solo l’ultimo atto di una situazione ormai sull’orlo del baratro. Siria e Afghanistan, ma anche Iraq - a rischio guerra civile dove a farla da padrone sarebbe una brutale violenza settaria -, Pakistan e Corea del Nord, sono solo alcuni dei fronti caldi del 2014, anno che rischia di rivelarsi (e siamo solo agli inizi di marzo) una vera e propria polveriera, minacciata da una miriade di cerini pronti a dar fuoco alla miccia.
Non è fatalismo, né tanto meno pessimismo. Si tratta, al contrario, di un attento sguardo frontale sul mondo, lanciato come un treno impazzito verso una instabilità che da ‘regionale’ -  guerre e conflitti in Africa, tensioni civili in Venezuela – potrebbe anche evolversi a livello ‘globale’. I grandi interessi internazionali dietro alle crisi di Damasco e di Kiev, ad esempio, possono infatti facilmente dare il via ad una escalation di violenza non indifferente, causando un terremoto che sarebbe avvertito anche a chilometri e chilometri di distanza.
A cercare di dare un ‘volto’ al bollente clima attuale è il rapporto annuale Preventive Priorities Survey (a cura del Council on Foreign Relations, ndr), il quale ha mappato le principali tensioni e i conflitti più preoccupanti per il prossimo futuro basandosi sulla valutazione data da 1200 esperti tra funzionari del governo degli USA, studiosi e analisti (qui un mappa interattiva dei risultati). Al di la dei risultati tipicamente a stelle e strisce, come un’attenzione morbosa all’eventualità di nuovi attacchi tanto cibernetici quanto terroristici (in quest’ultimo pesa ovviamente il ricordo delle Torri Gemelle) sul suolo statunitense, tra i fronti con cui si guarda con maggior attenzione spicca sicuramente il Medio Oriente, dove si concentrano la maggior parte delle ansie per i prossimi 12 mesi e dove tutto sembra girare principalmente attorno alla crisi di Damasco. Oltre ai già citati Afghanistan - gli occhi sono puntati al dopo Karzai e al ritiro delle truppe USA -, Iraq e Pakistan - crescente violenza interna -, la guerra in Siria si è fatta catalizzatore di una galoppante instabilità di tutta l’area (particolarmente caldo anche il clima della Giordania, tra le mete dei rifugiati siriani) dovuta in particolar modo all’imponente ritorno sulla scena del fondamentalismo islamico terrorista e affiliato ad Al Qaeda. D’altro canto, non è assolutamente da mettere in secondo piano la possibilità di una crisi nucleare in Iran che potrebbe trovare terreno fertile nell’eventuale fallimento dei negoziati in corso tra i 5+1 e Teheran, operazione diplomatica fortemente voluta dalla Casa Bianca e su cui la politica estera del presidente Obama, spesso nel mirino di critiche, punta tutto. Da ‘bollino rosso’, allontanandoci dal Medio Oriente, è anche la Corea del Nord, dove tra una minaccia più o meno seria del despota Kim Jong-un, la situazione risulta decisamente tesa: oltre ai venti di guerra fredda tra Giappone, Cina e USA (fulcro il Mar della Cina e le isole Senkaku Diaoyu), non sono in pochi coloro che guardano con preoccupazione crescente a Pyongyang e alle sue mire nucleari.
Fuori dalle principali attenzioni degli esperti interpellati dal think tank, invece, risultano essere i vari fronti aperti in Africa - Sud Sudan, Repubblica Centro Africana, Somalia, Nigeria, Libia ed Egitto -, come troppo spesso accaduto lontani dai riflettori perché di entità decisamente più locale, benché anche nel Continente Nero siano da tenere particolarmente sotto controllo i movimenti del fondamentalismo islamico e le situazioni del Cairo e di Tripoli. Grande attenzione va al contrario riservata per il Venezuela, Paese che sta conoscendo una instabilità e una profonda crisi politica che potrebbe anche portare ad un conflitto civile che, dopo le immense proteste dei giorni scorsi, potrebbe anche ‘incendiare’ tutta la regione.

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