venerdì 29 aprile 2022
GUERRA IN UCRAINA: TUTTO AVVIENE SOTTO LA GESTIONE DEL PENTAGONO
martedì 26 aprile 2022
Ci stanno prendendo per il culo di brutto,tutto quello che i media non hanno detto sull'Ucraina...di Sara Reginella
lunedì 25 aprile 2022
Giulietto Chiesa: "Così andiamo verso una guerra di sterminio mondiale"
Giulietto Chiesa racconta le trame dei "Padroni universali"
Il nipote del calzolaio che rifondò il pensiero - Marcello Veneziani
Lo so, recensire Martin Heidegger è un atto di presunzione, uno sfregio ai lettori e allo stesso autore, l’Incompreso e l’Incomprensibile per antonomasia. Ma possiamo trattare il maggior filosofo del Novecento come una Belva inavvicinabile, per giunta respingendolo a priori perché in odore di nazismo?
Esordiamo con una sua riflessione epocale: “Dittatura totale e anarchia si corrispondono reciprocamente”; ambedue, spiega, odiano tutto ciò che torreggia e risplende, detestano l’inutile e lo straordinario. Una fotografia del nostro mondo global. Per Heidegger anche l’Oltreuomo di Nietzsche – solitamente noto come Superuomo – appartiene all’ambito dell’ultimo uomo e resta nella sfera biologica. Colui che ancora pensa – scrive – non può oggi abbandonarsi alla brutalità di una dimensione pubblica. “L’amore supremo accade tra i solitari. Fratellanza nella solitudine”. E’ l’emigrazione interiore che unì la baita di Heidegger al buen retiro di san Casciano nella natia Plettenberg di Carl Schmitt, e nella foresteria di Wilfingen del ribelleErnst Junger, nel suo passaggio al bosco. Fratelli di solitudine.
Al liceo s’insegnava Heidegger includendolo nell’ambito dell’esistenzialismo. Sentite cosa scrive lui in proposito: “l’unico filosofo dell’esistenza è Karl Jaspers”, mentre l’esistenzialismo è nello “scribacchiare di Jean Paul Sartre”. Il più genuino “esistenzialista” per lui è Gabriel Marcel. Questi autori, a suo parere, utilizzano il suo pensiero ma non lo pensano a fondo. E aggiunge: “Fino a oggi (ottobre del ’49) non è ancora nato un fruttuoso e temibile avversario del mio pensiero”. Non ne riconosceva nessuno all’altezza. Altezza solitaria delle aquile; refrattario al ritorno a insegnare, che taluni caldeggiavano nel “proposito vendicativo di tenermi lontano dal sentiero di campagna”.
Sagaci le sue riflessioni sulla “perdita del centro”, teorizzata da Hans Sedlmayr: il centro, per Heidegger, è già la perdita, è l’oblio dell’essere, di cui è solo un allestimento metafisico. Poi scrive: “Come facciamo a perdere quel che non abbiamo mai trovato (e nemmeno cercato)”?
Per Heidegger “il mondo tramonta nel cristianesimo che gli americani finanziano”; anche se a un certo punto nota che per la Chiesa sarebbe “più cristiano dedicarsi all’assistenza dei profughi”. Nella Chiesa la gerarchia cede alla democrazia e la teologia cede alla psicanalisi; ecco per lui alcune tracce del tramonto della cristianità.
Le bestie nere di Heidegger sono le scienze e i giornali. Le scienze “sono la rovina del pensiero”, si arrogano il diritto di rappresentare tutto, un sapere sconfinato che alla fine sfocia in una fede, anzi in una superstizione; e conducono infine nei pressi del giornalismo. Dei giornali Heidegger detesta in particolare le pagine culturali; il giornalismo, a suo dire, concorre a dissolvere la storia nella storiografia, è segno di confusione e desertificazione; i giornalisti, per Heidegger, mettono a tacere, insultano, saccheggiano il suo pensiero, in combutta con “i letterati cristiano-cattolici”.
Ma la sua critica si estende alla filosofia che pensa troppo poco e si fa fede filosofica; direi che la filosofia non costruisce ma ostruisce il pensiero. Per Heidegger il pensiero è “acquietare, non riposarsi ma fondare; abitare nel silenzio del mondo”, non si cura si rappresentare, avere effetto o “valere”.
Cita di sfuggita Hitler notando che “nessun vincitore è stato capace di vincere”; e ciò riguarda le condizioni del mondo e non le “folli malefatte di Hitler”.
Poi lamenta l’abuso che si è fatto del suo pensiero: “Dannoso è trascinarlo troppo presto e troppo a lungo di qua e di là nel pubblico”, attribuendogli requisiti nati dall’agire immediato. Il pensiero ha un altro respiro.
Sconsolante il quadro odierno ai suoi occhi: “L’Europa è perduta, L’Occidente è seppellito. L’Europa ha venduto le sue forze e le sue fonti d’energia, l’Occidente si impedisce di andare verso il suo inizio”, resta dunque nel Tramonto; la Salvezza dell’Occidente di cui si parla indica per lui il tentativo della Chiesa di salvarsi. Heidegger rigetta i paragoni fuorvianti tra l’epoca odierna e la tarda antichità: “non ci sono analogie”.
Il mio pensiero, nota Heidegger, viene inteso come “mistico”; ciò ha un senso seppure in negativo se vuol indicare che va oltre la logica abituale. “Una filosofia il mio pensiero non lo è di certo, bensì è solo pensiero. Forse un giorno qualcuno scoprirà che ogni “filosofia” si fonda su questo pensiero”. Un sussulto di egocentrismo d’autore, non del tutto ingiustificato. Quel pensiero che, scrive in altro passo, è “colto da un lucore della verità dell’essenza dell’Essere” e questo “dev’essere davvero una grazia”. La solitudine “profetica” a volte crea stati d’ebbrezza anche in Heidegger, il nipote del calzolaio, che portava il suo stesso nome, Martin. Di lui Heidegger ricorda la lampada, il cui bagliore faceva luce sul suo lavoro. La lampada del calzolaio in suo nipote si fece lume del pensiero.
Fonte: http://www.marcelloveneziani.com/articoli/il-nipote-del-calzolaio-che-rifondo-il-pensiero/
domenica 24 aprile 2022
“McKinsey Global, un reggiseno finanziario ideologico dell'NSA utilizzato da Emmanuel Macron e Pedro Sánchez per fare il ricatto della loro vita privata e contratti pubblici con aziende private”.
Se l’Italia investe sull’ignoranza
Se l’Italia investe sull’ignoranza - di Roberto Pecchioli
Abbiamo detto in altre occasioni di essere “passati al bosco”, ossia ribelli, oppositori del nostro tempo. Incomoda posizione, vissuta, come prescriveva Zarathustra “su un alto monte”, dove l’aria è gelida ma pura e si osserva “molto di mondo”. Strana situazione quella italiana, in cui comanda un signore non eletto da nessuno e dove il bilancio statale prevede un aumento delle spese militari e un taglio secco di quelle destinate all’istruzione.
Esiste una correlazione tra le due improvvide decisioni. Per armarsi seguendo la volontà del padrone a stelle e strisce, proseguendo in una politica inesistente e servile, non occorre grande cultura. Per svolgere le mansioni assegnate – camerieri o addetti al catering, anche bellico – basta un’istruzione sommaria. Si può affermare che l’Italia investe sull’ignoranza dei suoi giovani, tenacemente perseguita da decenni di incuria, innumerevoli fallimentari riforme scolastiche e, soprattutto, di clamorosa indifferenza nei confronti della cultura, il più rilevante patrimonio immateriale della nostra nazione.
Viene in mente la lirica del ventenne Giacomo Leopardi all’Italia: “vedo le mura e gli archi e le colonne, ma la gloria non vedo”. Due secoli dopo, le vestigia sono nascoste dagli orrendi parallelepipedi del centri commerciali e i muri imbrattati da improbabili geroglifici, le prestazioni di sedicenti artisti di strada. La bruttezza ha conquistato il Bel Paese – ridotto a marca di formaggio – sulle ali di un’ignoranza soddisfatta di sé, segno di un popolo imbarbarito che ha sostituito il look alla bellezza trasmessa dai padri.
La giustificazione al taglio degli investimenti sull’istruzione (investimenti, non spese) fa riferimento alla diminuzione della popolazione in età scolastica. Il dato statistico è inoppugnabile, ma che cosa hanno fatto i governi della repubblica – nessuno escluso – per incentivare quello che dovrebbe essere il primario interesse nazionale, ossia la riproduzione biologica degli italiani, presupposto della persistenza del nostro popolo, della trasmissione della sua cultura, della sua lingua, della sua eredità storica, della sua economia? Assolutamente nulla, tranne incentivare in ogni modo l’individualismo, la denatalità, il crollo dell’istituzione familiare e dell’idea stessa di società naturale aperta alla nascita di nuovi membri della comunità.
Eventualmente, i dubbi risparmi nel bilancio dell’istruzione potevano essere stornati a politiche concrete – economiche ed educative – a favore della natalità. Allo stesso modo, l’aumento delle spese militari avrebbe potuto essere destinato a sostenere il lavoro stremato da anni di crisi. Se tutto ciò non avviene, è segno che “vuolsi così dove si puote ciò che si vuole”. L’inversione di tendenza – se mai avverrà – ci sarà solo il giorno in cui gli italiani comprenderanno che i governi non perseguono l’interesse popolare ma rispondono a logiche oligarchiche da cui noi, la trascurabile maggioranza, siamo esclusi. Nel caso dell’istruzione, è difficile negare l’evidenza. Le classi dirigenti lavorano per aumentare l’ignoranza dei sudditi, gli ex cittadini che hanno battuto un primato sconfortante: pagano più tasse che mai.
Negli anni drammatici della seconda guerra mondiale, molti italiani inventarono mille mestieri per ottenere un po’ di denaro dagli occupanti, o liberatori, scelga il lettore il termine corrispondente ai suoi sentimenti. Uno era il lustrascarpe, svolto prevalentemente da bambini e ragazzi in cerca di qualche soldo per la pagnotta. Nacque il neologismo “sciuscià”, dall’inglese shoe-shine, e sulla dura condizione servile di quei piccoli fu girato un commovente film di Vittorio De Sica. Nel mondo capovolto, siamo noi a pagare per svolgere il ruolo di lustrascarpe. Più spese per compiacere l’apparato bellico della Nato, risparmi sull’istruzione degli italiani di domani. Autolesionismo, insipienza o tradimento?
Nessuno negherà il progressivo declino culturale (e morale) delle classi dirigenti, che trascina in basso il resto degli italiani. Eppure in ogni ambito esistevano tesori di sapienza, volontà, capacità di lavoro, dalle maestranze operaie e contadine sino agli artigiani, agli imprenditori e alla stessa scuola, vertebrata dalla riforma di Giovanni Gentile, il maggiore filosofo italiano del Novecento. Quasi settantenne, il padre dell’attualismo fu assassinato durante la guerra civile. Il primo segnale di una decadenza il cui moto sta accelerando, tra banchi a rotelle, didattica a distanza, perdita di prestigio dei docenti, diplomi e titoli sempre più facili e sempre più svalutati.
Al di là della retorica egalitaria, una scuola che insegna, educa e istruisce con la giusta selezione è un primario interesse nazionale, innanzitutto dei ceti più modesti. L’ascensore sociale si è arrestato e si è allargato il divario tra i ricchi – che possono pagare una preparazione adeguata ai figli – e tutti gli altri. Dilagano tuttavia lauree e master che valgono pochissimo in termini culturali e quasi nulla ai fini del futuro professionale. Un numero sterminato di italiani in possesso di titoli di studio ha difficoltà a leggere, scrivere, comprendere testi: è diventato più ignorante e probabilmente meno intelligente. Si chiama effetto Flynn e riguarda l’intero occidente: da almeno vent’anni diminuisce il quoziente intellettivo dei cittadini. L’istituzione scolastica non può non avere responsabilità, unite con la pigrizia mentale di massa che affida tutto allo smartphone.
Provvedimenti? Lezioni da remoto, promozioni di massa, distruzione programmata, perseguita, delle materie dette umanistiche, quelle che conferiscono la cultura generale e soprattutto dotano di spirito critico e capacità di ragionamento. La sociologa Ida Magli scrisse che la frammentarietà di cui sembra vittima il sapere umanistico è la sua grande ricchezza. Sconfitto perché insegna a pensare, senza che sia aumentata la competenza scientifica.
La scuola, nel migliore dei casi, addestra a svolgere le mansioni decise dall’oligarchia mortificando le eccellenze senza fornire educazione civile. Nel peggiore, è un parcheggio per futuri disoccupati e una possibilità d’impiego poco attrattiva (università a parte) per un numeroso proletariato docente – soprattutto femminile – interessato ad accumulare punteggi per insegnare sotto casa. Malpagati e privi di prestigio, perché dovrebbero sentirsi investiti di una missione, o almeno di un impegnativo ruolo sociale e nazionale?
Misera consolazione è sapere di non essere soli nel degrado educativo. In Spagna una recentissima riforma ha abolito di fatto lo studio della filosofia e ridotto la storia alla cronaca della contemporaneità. Pochissimo spazio per la geografia, matematica “inclusiva” (che cosa vorrà dire?), lezioni sul gender e il neo femminismo. Riduzione a gregge ignorante e manipolabile, là, da noi e dovunque nell’Occidente terminale, tranne che per i rampolli della classe dirigente. Un totalitarismo della tabula rasa che rende le generazioni schiave della narrazione dominante, l’unica conosciuta, la sola autorizzata, che cancella tutto, a partire dalla storia.
Illuminante è una vignetta del quotidiano spagnolo ABC. Un nipote chiede al nonno: ti preoccupa che io non sappia chi fu Don Pelayo? (il re che iniziò la Reconquista nell’VIII secolo, fondatore della nazione). No, figliolo mi dispiace che non sai chi sei tu “. Nel caso italiano, l’obiettivo è ridurci a una popolazione residuale travolta dalla vitalità degli stranieri, formata da camerieri, porta pizza, fattorini e schiavi del modello Amazon, operatori della Disneyland a cui ci stanno riducendo. Il destino dei più svegli sarà quello di influencer sulle reti sociali, guide turistiche e museali. Italia-museo, ovvero cristallizzazione delle glorie passate, rinchiuse in una teca, da osservare a orari fissi, i monumenti e le bellezze naturali semplici fondali, locations per i selfie dei turisti da feste comandate. I modelli saranno sempre più le veline, i calciatori, i partecipanti a programmi come la Pupa e il Secchione; i giochi di ruolo saranno quelli di Uomini e Donne o Amici. L’Italia di Maria De Filippi.
Nondimeno, non pochi giovani riscoprono il sacro, recuperano un rapporto diretto con la natura e la terra fuori dalla retorica di Gaia e dell’ambientalismo d’accatto. In molti fuggono dalle città per ritrovare in campagna il senso della vita, recuperano ed aggiornano la sapienza profonda dei mestieri agricoli ed artigianali. Minoranze, le uniche su cui riporre speranze. La scuola, oltreché scadente, è privatizzata e non insegna più neppure la lingua comune. Alcuni atenei impartiscono le lezioni in inglese, specie nelle materie economiche e finanziarie, un segno disperante di colonizzazione sottoculturale.
Quando la scuola si apre alle famiglie la chiamano Open School e perfino i pensionati, per accedere alle prestazioni previdenziali, si devono connettere a MyInps. Del passaporto vaccinale, green pass, portale della digitalizzazione dell’esistenza, meglio tacere per carità di patria. La scuola non educa alla libertà, ma al conformismo e a una religione secolare basata sulla tecnica. Mancano i maestri, sovrabbondano gli istruttori, mentre i giovani si apprestano a recitare il ruolo di militi inconsapevoli di un sistema che li vuole fragili, sottomessi, incolti, lontani dalle domande sul senso della vita, sullo spirito e sulla libertà. Signorini soddisfatti e uomini massa, come previde José Ortega y Gasset.
Tutt’al più, i più dotati diventeranno specialisti, persone che conosceranno sempre di più su un argomento sempre più piccolo, e da questa perizia settoriale, angusta, impartiranno lezioni su tutto, dopo aver ascoltato il telegiornale unico, letto la stampa Unica, per ricevere istruzioni. Istruzioni per l’uso, un gigantesco tutorial (si dice così, adesso) scaricabile on line, la nuova enciclopedia della vita a gettone, per la quale è sufficiente saper utilizzare la tastiera degli apparati elettronici, di cui l’Homo digitalis è diventato propaggine.
Nulla è più terribile di un’ignoranza attiva, scriveva Goethe. Cervantes osservava che è volgo, plebe chiunque non sappia, sia pure principe e signore. Ma chi sono costoro, chiede il signorino soddisfatto, barbaro di ritorno che tuttavia sa tutto di Fedez ed Elettra Lamborghini. Forse – il paradosso e il capovolgimento sono le cifre dell’epoca – diminuire le spese per l’istruzione è un bene: meno scuola – questa scuola – meno danni alle menti in formazione. Ha ragione l’americano Rod Dreher, teorico della cosiddetta “opzione Benedetto”, che teorizza la nascita e lo sviluppo di comunità unite dalla cultura e dal desiderio di futuro, che svolgono autonomamente il lavoro educativo abbandonato dalle istituzioni e dai loro padroni oligarchici. Fu l’intuizione di San Benedetto nel buio seguito al crollo dell’impero romano, che ridette vita, speranza, lavoro e cultura all’Europa illuminando lo straordinario Medioevo. Dovremo ricostruire noi, dal basso – con iniziative piccole e grandi, reti di prossimità, libere associazioni – ciò che viene disfatto dall’alto. Una tela di Penelope contro i nuovi Proci.
Per le giovani generazioni italiane – le ultime di un popolo in estinzione? – vediamo tre alternative. La prima riguarda il gregge: accettare la situazione e, all’italiana, cercare di trarne profitto personale. E’ la regola da otto secoli, da quando ci dividemmo tra Guelfi e Ghibellini per conto di stranieri. La seconda, triste ma inevitabile, è emigrare, riprendere in mano il proprio destino rompendo con una nazione morente, indifferente ai suoi figli, disinteressata a riprodurre se stessa e trasmettere i tesori ricevuti di civiltà, conoscenza, cultura, prosperità a generazioni capaci di ridar loro vita. La terza opzione è lottare, da posizioni di minoranza – estrema, incompresa, spesso ridicolizzata – per rendere testimonianza a chi ci sostituirà come abitatori di questa piccola penisola. Non tutti vollero cancellare l’Italia, la cultura, il suo popolo, la sua lingua, il suo specifico ruolo nel mondo. Non tutti investirono sulla fine, l’oblio e l’ignoranza. Forse a qualcuno interesserà, domani o dopodomani. Oggi, non resta che stringere i denti, non cedere allo scoraggiamento, non contribuire al deserto che avanza.
link fonte: https://www.ereticamente.net/2022/04/se-litalia-investe-sullignoranza-roberto-pecchioli.html
La narrativa del vaccino contro il COVID sta fallendo, ma cosa hanno in serbo per noi dopo?
Amiu, il sindaco di Trani ha scelto: il nuovo Au è Ambrogio Giordano
Il Sindaco di Trani Avv. Amedeo Bottaro ha designato l’Ingegnere Ambrogio Giordano quale prossimo Amministratore Unico di AMIU S.p.A.
L’Ingegner Ambrogio Giordano succederà all’Ingegner Gaetano Nacci nominato Amministratore Unico di AMIU S.p.A. il 5 dicembre 2018 e riconfermato il 29 giugno 2021.
La designazione dell’Ing. Ambrogio Giordano è avvenuta a seguito di una selezione pubblica avviata dal Comune di Trani il 17 gennaio 2022 con la pubblicazione di un avviso finalizzato alla raccolta di manifestazione di interesse a cui hanno partecipato in totale 16 professionisti.
L’individuazione dell’lng. Giordano, professionista attualmente in servizio come dirigente tecnico presso AMIU Puglia, è motivata dalla competenza rilevabile dal corposo curriculum. L’Ing. Giordano vanta infatti una consolidata esperienza professionale in campo ambientale, sia nel settore dell’igiene urbana che in materia di impiantistica di trattamento/smaltimento di rifiuti, a cui si aggiunge l’approfondita conoscenza del contesto regionale sul ciclo di gestione dei rifiuti comprovata durante l’esercizio di funzioni dirigenziali in azienda pubblica.
La nomina dell’Ing. Giordano sarà formalizzata nel corso della prossima Assemblea dei Soci convocata dall’attuale Amministratore Unico Ing. Gaetano Nacci. Quest’ultimo assicurerà l’esercizio delle Sue funzioni sino alla data di svolgimento dell’Assemblea.
L’Assemblea dei Soci avrà, tra i punti all’ordine del giorno, l’approvazione del bilancio 2021. A seguire vi sarà la formalizzazione della nomina dell’Ing. Giordano, la cui durata sarà di tre anni, coincidenti con l’approvazione del bilancio dell’esercizio 2024.