martedì 6 novembre 2018

Come funziona la mente e perchè


Sottotitolo: “e come alterare gli schemi ripetitivi che ci danneggiano
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Che cosa hanno in comune una bella storia, una bel film, un bel libro, una bella canzone o una bella melodia? Certo, ci piacciono, ci fanno stare bene, ma perchè? Qual è quella cosa che hanno tutte queste esperienze che ci fa sentire bene?
Sono tutte esperienze di allontanamento e ritorno, una sorta di viaggio che si conclude con il ritorno a casa. Nei film lo schema è quasi sempre lo stesso:
  1. una situazione iniziale più o meno tranquilla, o idilliaca,
  2. poi qualcosa che rompe tale situazione (una malattia, un attentato, un divorzio, un pericolo imminente)
  3. e una soluzione finale.
Sono più o meno tutte variazioni dello stesso tema, e la bravura dell’autore, o del regista, sta nel dosare attentamente gli elelementi per catturare l’attenzione fino alla fine. Anche nella musica funziona così: ad una melodia iniziale nota, riconoscibile, viene introdotta qualche distonìa, qualcosa che allontana per poi tornare al conosciuto, anche qui ad una sorta di soluzione dell’allontanamento che si era verificato (ne avevo scritto anche qui).
Non so se si possa far riferimento all’archetipo della nostra vita che inconsciamente riviviamo (siamo anime temporaneamente allontanate dal regno in cui siamo state create e dove cerchiamo di tornare), ma di certo la nostra mente è programmata per ritornare al noto, al conosciuto. Se infatti la mente, o il subcosciente, o il pilota automatico (come l’ho definito nel corso Dimagrigione) è, per dirla con Bruce Lipton, un “registratore” di esperienze, è evidente che cercherà sempre di ricondurci al noto, al conosciuto, per permetterci di affrontare meglio le circostanze che potremmo incontrare (presumibilmente più facile dove sono già stato rispetto a situazioni ed ambienti nuovi).
Marisa Peer, psicoterapeuta inglese di successo, spiega come questa caratteristica della mente, ancorchè normalmente utile, può in alcuni casi essere estremamente dannosa e nociva per la nostra vita, specialmente laddove abbiamo interiorizzato esperienze e comportamenti dannosi. Partendo dalla considerazione che molte volte non facciamo quello che vorremmo (almeno razionalmente) come ad esempio:
  • vorrei un compagno che mi amasse e invece mi ritrovo sempre in storie con uomini egoisti e che non mi considerano e flirtano con le altre
  • vorrei dimagrire ed essere in forma ma poi cedo sempre alle tentazioni
  • vorrei un ruolo di maggior responsabilità ma sembra che, ogniqualvolta se ne presenti l’occasione, io faccia qualcosa per sabotare le mie possibilità di carriera,
ecc. ecc.
lei spiega che certi comportamenti guidati dal nostro inconscio sono contrari ai nostri desideri (consci) perchè la mente cerca sempre di ricreare le situazioni che conosce. Se ad esempio ho interiorizzato nella mia infanzia un modello di coppia in cui lui è distratto ed assente e lei cerca di fare di tutto per riconquistare la sua attenzione, per la mente quello è il modello da seguire e – inconsciamente – mi guiderà alla ricerca di uomini distratti ed egoisti per ricreare il modello imparato. Cercando magari di dare un finale diverso ad una storia che invece sarebbe meglio cambiare fin dall’inizio.
Se ho una percezione di me stesso come di persona non all’altezza, non in grado di incarichi importanti, la mente cercherà di sabotare quel colloquio di lavoro per un avanzamento perchè non si riconosce, non si trova, non si prefigura in quella situazione.
Ci sono alcune tecniche, una volta capiti questi limiti, per ovviare a questa sorta di imprinting e liberarsi di questi “freni a mano nascosti perennemente tirati nella nostra vita“. Quello cui fa riferimento Marisa Peer è, tutto sommato, abbastanza semplice e secondo me efficace.
Si tratta di considerare ciò che alla mente è familiare e quello che non lo è. E riconoscere che non sempre quello che è familiare è positivo, come non sempre quello che è non-familiare è negativo. Una situazione di violenza verbale, ad esempio, può essere familiare (nel senso che la si riconosce, la si ricorda) ma non per questo è positiva. Al contrario, un marito affettuoso e complice può essere non-familiare ma è sicuramente molto positivo.
Avendo fatto una disamina di quelle che sono le situazioni che ci sono familiari ma non sono positive, e al contrario di quelle non-familiari ma positive, come cambiare la naturale inclinazione della mente a prediligere quelle familiari (che però sono magari negative)?
Bisogna insegnare alla mente a rendere le negative non-familiari e familiari quelle positive, con la parola e con le immagini.
Ad esempio: digiunare ogni tanto fa bene. Ma si sente la fame, lo stomaco vuoto, e questa non è una situazione familiare. Come cambiarla? Cominciare a parlare alla propria mente e far riconoscere questa situazione, apprezzandola come situazione utile, positiva, nella quale le nostre cellule stanno consumando le riserve di grasso accumulate. In una parola: farla diventare familiare.
Parlare alla propria mente, al proprio sè anche davanti allo specchio. E un po’ alla volta questo pilota (un po’ limitato) la smetterà di ricondurci sempre nelle stesse paludi, per gli stessi percorsi, e accetterà di portarci su strade nuove, migliori. Togliamo insomma tutti i freni a mano nascosti che il nostro pilota, per eccesso di prudenza, tiene tirati. E l’auto (=la nostra vita) non potrà che beneficiarne in termini di minori consumi, minore usura dei freeni e prestazioni migliori.

Video: come Marisa Peer ci suggerisce di far diventare familiare quello che vogliamo ottenere:
Video: Marisa Peer fra le fonti che mi hanno ispirato nel corso Dimagrigione:



fonte https://www.ingannati.it/2018/09/29/come-funziona-la-mente-e-perche/

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