mercoledì 15 febbraio 2017

La signorina Silvani del politically correct, alias Laura Boldrini, scrive a Facebook. E sogna la DDR




Immagino che tutti voi conosciate la signorina Silvani, il personaggio della saga di Fantozzi interpretato da Anna Mazzamauro. La Silvani è il grande amore – non ricambiato – del tragicomico ragioniere, il quale è totalmente soggiogato dal suo fascino ed è prono ad ogni sua richiesta. Ma anche gli altri colleghi della megaditta sbavano per lei, tanto che sposerà il geometra Calboni. La Silvani è, a mio modo di vedere, l’archetipo della mediocrità che la serie di film con Paolo Villaggio vuole mettere alla gogna, più dello stesso ragionier Fantozzi: oggettivamente bruttarella, è vista però da tutti come una vamp, mediocre come persona ma portata in palmo di mano a prescindere, assolutamente cinica e calcolatrice ma vista come la fatina buona.

Ecco, quando penso alla signorina Silvani mi viene immediatamente in mente Laura Boldrini. Nonostante le argomentazioni del presidente della Camera siano assolutamente risibili, quando non deliranti come la battaglia senza quartiere per le desinenze storpiate e la sua neolingua gender, il mondo della politica e dei media la tratta quasi come l’oracolo di Delfi: la Boldrini sta alla difesa del politicamente corretto come Cantone sta al ruolo di parafulmine di ogni nefandezza, incarna alla perfezione quell’aforisma di Nicolas Gòmez Dàvila in base al quale “un lessico di dieci parole è sufficiente al marxista per spiegare la storia”. Dici Boldrini e sai che, al 99,9% delle possibilità, spunteranno le parole “genere”, “femminicidio”, “bufale on-line”, “razzismo” e “migranti”. Roba che un bookmaker non le bancherebbe nemmeno alla pari.
Sull’edizione di oggi di “Repubblica”, la nostra signorina Silvani del pensiero unico ha scritto una lettera a Mark Zuckerberg, fondatore e ad di Facebook, nella quale denuncia gli scarsi controlli e le poche rimozioni di post inneggianti all’odio sulla piattaforma social, avanzando da prima un esempio di cyberbullismo di cui è stata vittima una ragazza che denunciava i “gruppi chiusi” e i loro contenuti per poi arrivare al suo grande classico: il fascismo. Ecco le sue parole: “Il problema è analogo per le pagine di gruppi politici estremisti e violenti. Una ricerca dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia ha catalogato 300 pagine che su Facebook esaltano il fascismo. L’apologia del fascismo da noi è un reato, ma i rappresentanti italiani della sua azienda rispondono che non è compreso nelle regole di Facebook e che gli standard della comunità devono poter valere in ogni Paese”.

E ancora: “Del resto, parlano chiaro i dati di applicazione del codice di condotta contro la diffusione dell’illecito incitamento all’odio in Europa, che anche la sua azienda ha sottoscritto a maggio 2016 con la commissione Ue. La prima verifica semestrale dice che risulta cancellato appena il 28% dei contenuti segnalati come discriminatori o razzisti. Una media che si ricava dal 50% di Germania e Francia e dal misero 4% italiano. Mi domando se questo dato allarmante lo dobbiamo anche all’assenza di un ufficio operativo di Facebook in Italia”. Ricordando la campagna di sensibilizzazione di cui si è fatta portavoce attraverso il sito bastabufale, cui hanno aderito luminari della comunicazione come Claudio Amendola e Gianni Morandi, la Boldrini ricorda l’incontro con Richard Allan, vicepresident public policy di Facebook per l’area Europa-Medio Oriente-Africa: “Ad Allan ho avanzato tre proposte. Due di natura tecnica. La terza riguarda l’apertura in Italia di un ufficio operativo per i 28 milioni di utenti che Facebook ha nel Paese. Le risposte giunte dopo due mesi sono evasive e generiche. A questo punto chiedo a lei, signor Zuckerberg: da che parte sta Facebook, in questa battaglia di civiltà?”.

Che tempra, che grinta! E soprattutto, quanto tempo libero da dedicare a queste cazzate, trattandosi della terza carica dello Stato. La stessa che trova il tempo di scrivere a Zuckerberg contro il pericolo fascista e dei bulli in Rete ma non ha trovato mezza giornata, lo scorso 10 febbraio, per andare alla foiba di Basovizza a commemorare le vittime delle foibe e i profughi di Istria e Dalmazia. In compenso, il giorno prima proprio alla Camera ha ospitato la conferenza stampa di questa signora,
Foibe, Kersavan di Resistenza Storica: "Viviamo un'era di Storia falsificata"
la quale ha di fatto posto in essere un’apologia del revisionismo, quando non negazionismo, rispetto a quel dramma vissuto da migliaia di italiani. E’ così presidente Boldrini che combatte l’odio e le fake news, patrocinandole nel ramo del Parlamento che presiede? Complimenti, sono certo che se Mark Zuckerberg sapesse tutto questo le risponderebbe con maggiore celerità.
Capisco altresì che l’ANPI, fonte autorevole e niente affatto di parte da cui lei trae i suoi dati, possa avere una sorta di riflesso affettivo pavloviano verso Baffone, però se parliamo di odio, diciamo che gulag e foibe non sono stati esattamente Gardaland. Ma si sa, non esiste il reato di apologia di comunismo, mentre esiste quello di apologia di fascismo: peccato che la giurisprudenza in merito parli di necessità di propaganda attiva volta alla ricostituzione del disciolto Partito Nazionale Fascista e dubito che una foto del Duce o una frase di Achille Starace postate da qualcuno su FB possano configurare un pericolo per la tenuta democratica del Paese. Ma il problema è altro e ben più subdolo. Lo si capisce con chiarezza quando la Boldrini cita come esempio la Germania, Paese dove si cassa il 50% dei post ritenuti razzisti o di incitamento all’odio.

Ed è vero, peccato che per arrivare a quel risultato in Germania abbiano dato vita a una sorta di psico-polizia politica degna di Orwell e il risultato che hanno ottenuto è la sconfessione della politica migratoria, i rimpatri su base volontaria e lo spostamento a destra della CDU, visto che a settembre si vota e la gente è esasperata. Esasperata, non razzista. O nazista. Per capire a quale livello di democrazia aspiri la Boldrini quando incensa la Germania, tocca fare un salto indietro di un mese, quando alcuni funzionari del governo tedesco hanno avanzato pressante richiesta al ministro dell’Interno, Thomas de Maiziere, di dare vita al “Centro di difesa contro la disinformazione” (Ab­wehr­zen­trum ge­gen Des­in­for­ma­ti­on) per combattere cio che loro definiscono disinformazione politica, di fatto le bufale o fake news che tanto ossessionano anche il presidente della Camera. Nel memo si sottolineava che “l’accettazione dell’età della post verità potrebbe portare alla capitolazione della politica, mentre rimane fondamentale per il 21mo secolo la ricerca di autentica comunicazione politica”.
Quale, ad esempio? Quella che ha visto governo e autorità di sicurezza tedesche dar vita a una censura di massa sulle violenze accadute al Capodanno di Colonia? Forse si riferiscono al fatto che il 1 gennaio 2016, la polizia tedesca descrisse la notte appena trascorsa come “tranquilla e in clima rilassato”? Ad ammettere la falsità di quella dichiarazione fu il capo della polizia di Colonia in persona, Wolfgang Albers, molto tempo dopo. E’ forse comunicazione autentica quella della tv pubblica tedesca, ZDF, di non dare notizia della violenze, se non dal 5 gennaio, quando ormai era impossibile negarle o tacerle? Fu addirittura un ex funzionario di governo, Hans-Peter Friedrich, ministro dell’Interno dal 2011 al 2013, ad accusare i media di imporre “un blackout informativo sui fatti e operare in base a un codice del silenzio rispetto a tutte le notizie negative che riguardano i migranti”. Parliamo di un ex ministro dell’Interno: è questo modello che piace tanto alla Boldrini? Così combatte il fascismo, con la censura?

Tanto più che la finalità elettorale della mossa tedesca è chiara, visto che nel memo presentato a de Maiziere si dice chiaro e tondo che “considerando l’approssimarsi della elezioni federali, dobbiamo agire in fretta per combattere le fake news”. Ma già dal settembre del 2015, la Germania è all’avanguardia nella censura, soprattutto on-line, dopo che anche la Merkel aveva chiamato in causa Facebook e Zuckerberg per la troppa passività nei controlli sui post. In base a un programma governativo, le autorità tedesche stanno monitorando quanti supposti post razzisti segnalati da utenti di Facebook vengono poi cancellati dal social network nelle 24 ore seguenti all’allerta. Il ministro dell’Interno, Heiko Mass, ha già detto che se alla scadenza del programma, fissata il prossimo marzo, i risultati saranno insoddisfacenti, il governo penserà a misure legislative. Sapete chi sta aiutando il governo tedesco nel programma di controllo? La Amadeu Antonio Foundation, la cui presidentessa è Anetta Kahane. Ah, quasi scordavo, la signora è un’ex agente della Stasi, operante tra il 1974 e il 1982 con il nome in codice di Victoria e un’ex informatrice. Per combattere il fascismo, ci vuole la DDR.

Comunque, ne vale la pena. Ad esempio, lo scorso luglio una pericolosissima coppia di coniugi, Peter e Melanie M. è stata denunciata e condannata per aver creato su Facebook un gruppo che criticava la politica migratoria del governo. Ecco la frase che è costata loro il tribunale: “I rifugiati di guerra ed economici stanno inondando il nostro Paese. Portano terrore, paura e dolore. Violentano le nostre donne e mettono a rischio i nostri bambini. Facciamo finire tutto questo!”. Oddio, io certe dichiarazioni di Himmler me le ricordavo un attimino più maschie e decise ma, forse, sottostimo il rischio che quella coppia diabolica, i Rosa e Olindo del neo-nazismo, rappresenta per la collettività tedesca. La quale, ovviamente, sta molto più tranquilla sapendo che nel solo mese di luglio 2016, sono state 60 le persone sospettate di scrivere post incitanti all’odio on-line che hanno subito raid e perquisizioni della polizia nelle loro case.

Forse, avrebbe preferito che quegli agenti pattugliassero le strade per evitare che le risorse, le stesse che ora la Merkel paga purché se ne vadano in vista delle elezioni, dessero sfogo alle loro necessità fisiche. Insomma, la nostra signorina Silvani sogna la DDR per combattere il fascismo, un po’ come la RAF che utilizzava la Germania Est per combattere il nuovo fascismo, quello del capitalismo filo-americano della Germania Ovest. Andreas Baader e Ulrike Meinhof mi scuseranno dall’aldilà per il paragone, me ne sono reso conto soltanto ora. Speriamo che Zuckerberg le risponda, altrimenti temo che la nostra signorina Silvani del politically correct andrà avanti con gli appelli senza soluzione di continuità. E con sempre crescente sprezzo del ridicolo. Perché, forse, se Facebook capitalizza qualcosa come 387,2 miliardi di dollari non è grazie al fatto che qualcuno scriva di essere triste perché la donna lo ha lasciato o qualcun altro pubblichi la foto mentre mangia i pizzoccheri ma perché garantisce pubblicità e, soprattutto, profilazione dati. E se comincia a bannare la gente, magari con il rischio di deriva tedesca, quella stessa gente invece di un “like” ti garantisce un vaffanculo e se ne va. Spiegatelo alla Boldrini, please.
Mauro Bottarelli
fontehttp://www.rischiocalcolato.it/2017/02/la-signorina-silvani-del-politically-correct-alias-laura-boldrini-scrive-facebook-sogna-la-ddr.html  

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