domenica 12 aprile 2015

PIRELLI ACQUISTATA DALLE PARTECIPAZIONI STATALI ... CINESI

Dall'anno scorso la banca centrale cinese è diventata il secondo azionista di ENI ed ENEL. La banca centrale in Cina è di proprietà dello Stato, eppure da noi non si è mancato di far passare questa vendita di considerevoli quote azionarie dei "gioielli di famiglia" del Tesoro italiano allo Stato cinese come ... "privatizzazioni". Ma quest'anno, alla fine di marzo è arrivata anche la notizia dell'acquisto di una quota azionaria di rilievo della multinazionale italiana Pirelli da parte di ChemChina, il colosso della chimica cinese. Tra le righe, e con toni sommessi, non si è potuto mancare di farci sapere che ChemChina è una corporation a controllo statale.
Si tratta di quelle notizie che l'informazione ufficiale non vorrebbe mai essere costretta a diffondere, poiché ad un'opinione pubblica ormai addestrata a credere che il miracolo economico cinese sia dovuto al basso costo del lavoro, risulta ora ben duro spiegare che le cose non stanno affatto così. Risulta penoso ammettere che la Cina attuale adotta un sistema economico delle partecipazioni statali molto simile a quello che vigeva in Italia negli anni '60. Insomma, è tutta la propaganda sugli effetti mirabolanti che il "Jobs Act" dovrebbe determinare sulla produttività e sull'occupazione, che rischia di saltare miseramente. Tanto più che potrebbe ulteriormente diffondersi il dubbio sulla reale esistenza del "libero mercato", chiedendosi anche se, partecipazioni statali per partecipazioni statali, non sarebbe stato meglio tenersi quelle italiane invece di ricorrere a quelle cinesi.
Certo, esiste un modo di fare "opposizione" che sembra andare immancabilmente a sostegno della propaganda ufficiale, poiché, invece di smantellare con i dati di fatto le mistificazioni della cosiddetta "dura realtà del mercato globale", le si continuano a contrapporre astratte idealità da umanesimo integrale; perciò alla fiaba del mercato si offre come alternativa la nostra "Costituzione fiaba". Ad una infantilizzazione, si risponde con un'auto-infantilizzazione.
Ma non si devono sopravvalutare il ruolo ed il peso di queste forme addomesticate di "opposizione". Sono i giornali ufficiali quelli chiamati ad ovviare efficacemente proprio ad inconvenienti come quello determinato dalle notizie su ChemChina. Il quotidiano confindustriale "Il Sole-24 ore" del 25 marzo infatti ha fornito prontamente la narrazione mediatica da adottare per fronteggiare l'emergenza.
Ce la si racconta più o meno così. Sì, va bene, l'economia cinese è controllata al 70% dallo Stato, sia a livello di grandi imprese nazionali e multinazionali, sia a livello di piccole compagnie locali. Sì, d'accordo, va avanti così da decenni e tutto ciò è andato a coincidere con i tassi di crescita del 10% annuo. Ma i dirigenti cinesi non sono affatto soddisfatti di questo stato di cose, che comporta numerose inefficienze. I dirigenti cinesi perciò hanno "messo allo studio" un piano per una graduale "discesa" nelle partecipazioni statali. Neppure una deliberazione, ma un semplice "studio". Neanche si parla di un'abolizione del sistema delle partecipazioni statali, ma si ipotizza vagamente attorno ad un suo ridimensionamento. Ma questa non-notizia viene lanciata come uno "scoop" sensazionale, perciò il quotidiano confindustriale può immediatamente applicarsi ad immaginare tutti i problemi ed i nuovi scenari che questo "futuro" calo nelle partecipazioni statali comporterà nell'economia cinese. Il "futuro" è già cominciato; anzi, secondo l'organo confindustriale, del sistema delle partecipazioni statali cinesi si potrebbe già parlare al passato. Magari tra un po' ci si potrebbe anche dimenticare che sia mai esistito.
L'effetto confusionale sull'opinione pubblica così è assicurato. La vaga ipotesi di privatizzazione dell'economia cinese può essere già spacciata come un dato acquisito. La credibilità del "Jobs Act" è salva. E la fiaba del libero mercato? Salva pure quella.
In effetti è da venti anni - cioè dall'adesione cinese all'Organizzazione Mondiale per il Commercio (WTO) nel 1995 -, che il governo cinese promette un ritiro delle partecipazioni statali, solo che in questi due decenni gli impegni sono stati rigorosamente disattesi. Il WTO è un tipico patto leonino, per il quale i Paesi di serie B sono costretti a rispettare le regole, mentre i più potenti ne sono esonerati. Nemmeno nell'Unione Europea le cose vanno diversamente. Del resto, visto che il governo cinese ha imitato il vecchio sistema delle partecipazioni statali italiano, saprà anche cosa hanno portato in Italia le privatizzazioni, cioè la deindustrializzazione.
L'aneddotica ha individuato nella ormai leggendaria riunione sul Panfilo Britannia l'avvio delle privatizzazioni in Italia. In realtà, il nesso consequenziale tra privatizzazione, deindustrializzazione e finanziarizzazione è storico, e tutt'altro che casuale, dato che è stato esplicitamente teorizzato nel progetto del "Financial and Private Sector Development" della Banca Mondiale.
Le direttive che da Washington la World Bank, sino agli anni '70, riusciva ad imporre a Paesi come Burundi e Honduras, dopo la caduta del Muro di Berlino sono passate senza difficoltà anche in Europa, e sono state formalizzate nel Trattato di Maastricht. Persino la NASPI, la tipologia di indennità di disoccupazione prevista dal "Jobs Act", si riduce ad un pretesto per obbligare i precari a dotarsi di carta di credito. Questa truffa ai danni dei poveri viene chiamata "inclusione finanziaria".

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