DI FRANCESCO ERSPAMER lavocedinewyork.com La tragedia non è la strage di Tunisi. La tragedia è che per tanti italiani, neppure sfiorati da quella violenza, sia una tragedia. E che sia una tragedia solo perché l’hanno detto i media e l’ha ripetuto in TV il loro primo ministro dopo aver indossato la maschera di gravità richiesta dalle circostanze, per poi passare ad altro. Lo stesso in altri paesi. La tragedia è la facilità con cui i media condizionano non solo le idee ma anche gli umori della gente: e nessuno sembra preoccupato della quantità di rabbia o lacrime che ogni anno si sprecano, a volte in buona fede, per eventi lontani che vengono dimenticati alcuni giorni dopo, a conferma del fatto che fossero solo virtuali e non ci avessero toccato personalmente. La tragedia è che la psiche umana sembra ancora incapace di relativizzare le notizie amplificate dai giornali e dai telegiornali. Goebbels diceva che una menzogna ripetuta mille volte diventa una verità; oggi è molto peggio, qualunque cosa, vera o falsa o incerta che sia, mostrata mille volte in televisione diventa ugualmente reale, ugualmente personale, e così non è solo una specifica verità a scomparire ma l’idea stessa di verità, di esperienza. La tragedia è non accorgersi che questi continui traumi virtuali, a telecomando, un effetto ce l’hanno: quello di assorbire quasi interamente la nostra carica di compassione, impedendoci di usarla in vicende molto più vicine e concrete, rispetto alle quali la nostra partecipazione potrebbe produrre qualche risultato. L’empatia non è illimitata: come sa bene chi lavora in un ospedale o racconta chi è stato in guerra, oltre un certo limite subentra, a protezione della nostra umanità, un blocco emotivo e mentale. Da sempre i regimi che non vogliono che la gente presti troppa attenzione alla sua condizione o a quella della sua comunità la distraggono con eventi esterni, che hanno l’ulteriore vantaggio di poter essere dosati a piacimento. I media del neocapitalismo globalista hanno portato questa tecnica alla perfezione: che si impicchi un piccolo imprenditore o commerciante rovinato dalla concorrenza di multinazionali quotate a Wall Street ma con fabbriche in Cina, catene di negozi ovunque e domicilio fiscale in Irlanda non importa neppure agli altri piccoli imprenditori della sua città, alcuni dei quali faranno la stessa fine ma che ora sembrano spaventati molto di più dall’ISIS che dal TTIP. Perché di ISIS e non di TTIP parlano i media. La tragedia è che la paura paralizza: come ben spiegò Hegel, la differenza fra i padroni e i servi è che i primi sono disposti a rischiare la vita pur di ottenere il potere, i secondi invece per conservare la vita accettano di rinunciare alla libertà e al potere. Naturalmente i padroni non rischiano davvero la vita: quando accade si piegano subito, come dopo la Rivoluzione russa. Mentre i servi, in quanto miserabili, la vita la rischiano ogni giorno. Ma i padroni ostentano coraggio e minacciano; i servi ostentano timore. La violenza in televisione serve a terrorizzare, a convincere il popolo ad avere paura, ad arrendersi prima di combattere: i genitori impongono ai figli prudenza, gli amici la consigliano agli amici, i datori di lavoro la pretendono dai dipendenti, i deboli si rassegnano alla loro condizione. “Soltanto mettendo in gioco la vita si conserva la libertà”, spiegava Hegel. La tragedia è che rinunciare alla libertà e rifugiarsi nella quotidianità non salva la vita: migliaia di persone muoiono di disperazione e povertà, per solitudine o mancanza di cure o di educazione, negate loro da chi per arricchirsi oscenamente le ha ridotte in servitù promettendo sicurezza da pericoli immaginari ed esponendole al molto più autentico pericolo dell’ineguaglianza e del sopruso. In quanti sappiamo che in Tunisia, su undici milioni di abitanti, ci sono poco più di duecento omicidi all'anno mentre in Honduras, con una popolazione minore (circa otto milioni) e niente terrorismo islamico, ce ne sono più di settemila? Come mai ci siamo abituati a considerare una minaccia alla democrazia e alla laicità e alla quotidianità solo quello che i media liberisti ci dicono di considerare una minaccia? Come se le esistenze non venissero distrutte anche dalla criminalità organizzata, dalla corruzione, da inumane condizioni di lavoro, dalle ingiustizie e dall’arroganza dei vincenti. Bisogna confrontare il prezzo della democrazia e della libertà con quello che si paga in ogni caso e per non avere niente. La tragedia in Tunisia non dovrebbe essere una tragedia per chi non sia stato colpito direttamente. Fa bene il Parlamento di Tunisi, che era l’obiettivo iniziale dell’attacco, a intonare l’inno nazionale. Fa bene il presidente Essebsi a promettere una lotta senza pietà contro i terroristi. Fanno bene i tunisini a scendere in piazza a manifestare e a vegliare. Ma per chi è altrove dovrebbe essere un evento come tanti, da capire e di cui dispiacersi ma come per le decine di altri eventi dolorosi che accadono ogni giorno da qualche parte nel mondo. La democrazia e la libertà possono resistere e crescere solo se serene, coraggiose e locali, immuni dall’isteria e dalle semplificazioni a distanza. E soprattutto dalla paura. Qualcuno ricorda cosa disse Gandhi opponendosi alla spartizione fra India e Pakistan, che gli inglesi imposero lo stesso e provocò un milione di morti e la migrazione forzata di decine di milioni di indù e musulmani, senza neppure eliminare l’ostilità reciproca e la possibilità di una guerra futura? Accettare una soluzione sgradita e ingiusta solo per paura di una minaccia più o meno fondata, disse Gandhi, significa accettare il principio che qualunque cosa possa essere fatta “se una folle violenza sia stata perpetrata in misura sufficiente”. Francesco Erspamer Fonte: www.lavocedinewyork.com Link: http://www.lavocedinewyork.com/Strage-di-Tunisi-i-media-e-la-paura-a-telecomando/d/10571/ |
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