giovedì 4 dicembre 2014

IL POTERE DI OGNI GOVERNO DISCENDE DAL POPOLO E QUESTO, POTRA' DEPORLO, TUTTE LE VOLTE CHE LO RITERRA' NECESSARIO.

La Magna Carta (Magna Charta Libertatum), sottoscritta il 15 Giugno del 1215 è un documento, scritto in latino, che il re d'Inghilterra Giovanni Senzaterra fu costretto a concedere ai baroni del Regno, propri feudatari diretti, presso Runnymede. Pur presentandosi come un atto di concessione da parte del re, costituiva un contratto di riconoscimento di diritti reciproci. Essa è stata interpretata a posteriori come il primo documento fondamentale per il riconoscimento universale dei diritti dei cittadini, sebbene essa vada inscritta nel quadro di una giurisprudenza feudale in cui, durante il XII e XIII secolo. Tra i suoi articoli ricordiamo quello che ci interessa in questa trattazione, cioè il divieto per il sovrano di imporre nuove tasse ai suoi vassalli diretti senza il previo consenso del "commune consilium regni".



Più di quattro secoli dopo, nel 1644, Roger Williams nella sua opera "The Bloudy Tenent of Persecution" anticipa la teoria di Locke dell'amministrazione fiduciaria del potere sostenendo che i "governi, in quanto costituiti e stabiliti dal popolo, non hanno un potere e una durata maggiori di quanto è stato affidato loro dal potere civile, ovvero dal popolo, che ha espresso il suo consenso ed accordo" sostenendo che ecceda dai suoi poteri quel ministro o magistrato che eserciti in qualunque materia a lui non espressamente affidata dall'autorità popolare.

Nel 1649 John Milton, ministro degli esteri di Oliver Cromwell, nella sua opera "The Tenure of Kings and Magistrates" sosteneva che derivando il potere del sovrano direttamente dal popolo, questo “tutte le volte che lo giudicherà come la cosa migliore, potrà sceglierlo o rigettarlo, mantenerlo o deporlo anche quando non si tratti di un tiranno, semplicemente per la libertà e il diritto di uomini liberi di essere governati come sembra loro meglio”.

Giungiamo così rapidamente alla Rivoluzione francese...



"Nella celebre parola d’ordine della Rivoluzione francese, “libertà, uguaglianza,fraternità”, i primi due termini reggevano se funzionava il terzo. “Fraternità” non era un vago sentimento filantropico, aveva un preciso significato politico: cioè che tra i cittadini vi fosse un riconoscersi solidale e reciproco, incardinato sui primi due dettami, la libertà e l’uguaglianza. Non solo tutti dovevano riconoscere e tutelare la pari dignità umana di ciascuno; ma anche difendere, proprio in funzione di essa, i diritti di libertà e uguaglianza da fissare in una Carta costituzionale

La Dichiarazione francese illustrò a sua volta che non poteva esserci una ragionevole attuabilità  dei diritti naturali – incluse dunque le istanze di una vita sia individualmente che collettivamente degna – se non mediante un “contratto” di tutti con tutti. La clausola della “fraternità” sintetizzava l’idea del contratto. L’unica limitazione all’esercizio della libertà, dunque dei diritti naturali, era che nessuna “libertà” ledesse l’uguale diritto di libertà degli altri (art. 4); ciò valeva in particolare per le manifestazioni dell’“opinione religiosa” affinché esse non provocassero scontri tra i cittadini (art. 10). A chiunque si riconosce in questi valori spetterà di concorrere, «personalmente o per mezzo
di rappresentanti» (art. 6), alla formazione di un potere legislativo ed esecutivo secondo i dettami della “volontà generale” e della sovranità popolare. Agli intenti della Dichiarazione è contraria ogni associazione «in cui non sia assicurata la garanzia dei diritti e determinata la separazione dei poteri» (art. 16). Oltre al concetto di popolo ricevette un nuovo significato politico anche quello di“nazione”. Elemento di coesione non è più la comunanza di sangue e di discendenza, perché la “nazione” è adesso, senza gerarchie di stirpe, la società civile tutta intera, orientata a un modello molto concreto di “sovranità” giuspolitica.

La nazione in quanto società civile si fonda sull’insieme dei diritti naturali («prima e sopra di essa non c’è che il diritto naturale», Sieyès 1789, p. 61); e come corpo politico la nazione (raffigurata dall’assemblea in cui è rappresentata la nazione-società civile) emana le sue “leggi positive” in applicazione dei diritti naturali primari. Agli effetti pratici, di governo politico della società, «il corpo dei rappresentanti sostituisce sempre […] la nazione stessa» (Ibid., p. 69). C’è dunque nel Sieyès ideologo del “terzo stato” la proclamazione di una nazione-Stato che tiene luogo, essendone la rappresentanza, della nazione-società civile; e di quest’ultima è custode il popolo politico".

(Tratto da "Ma il popolo che cos'è" di Nicolao Merker).

Il contratto sociale è alla base della nascita della società, ossia di quella forma di vita in comune che sostituisce lo stato di natura, in cui gli esseri umani vivono in una condizione di instabilità e insicurezza per la mancanza di regole riguardo a quelli che sono i loro diritti e doveri. Accettando spontaneamente le leggi che vengono loro imposte, gli individui perdono una parte della loro assoluta libertà per assicurarsi una maggiore tranquillità e sicurezza sociale.
Nel momento in cui il patto viene però violato, il potere politico diventa illegittimo e di conseguenza il diritto di resistenza e ribellione viene legittimato.



Stabilito storicamente che il popolo ha il diritto di rompere il contratto sociale e che, “tutte le volte che lo giudicherà come la cosa migliore anche quando non si tratti di un tiranno ma anche semplicemente per la libertà e il diritto di uomini liberi di essere governati come sembra loro meglio”, non ci resta che individuare con degli esempi, le condizioni nelle quali i governi possono essere rigettati e dimessi.

QUANDO I GOVERNI INTRECCIANO I POTERI CHE DISCENDONO DAL POPOLO, CON QUELLI DEI SISTEMI BANCARI, FINANZIARI E DELLE GRANDI CORPORAZIONI NAZIONALI E SOVRANAZIONALI, CONTROLLANDO I MEDIA PER MANTENERE IL POPOLO MEDESIMO ALL'OSCURO DELLE PROPRIE TRAME E DIVENENDO NEL CONTEMPO UN POTERE CHE BASTA A SE STESSO, MERITANO DI ESSERE DELEGITTIMATI E DESTITUITI?

Sì, quando ad esempio il risultato di tale disegno è la perdita della sovranità monetaria da cui deriva un debito definito "pubblico" (cioè a carico del popolo), causato da un disavanzo formativo della collettività nella materia monetaria che, non ha soluzione considerato che la sua parte più consistente è di proprietà delle banche centrali e commerciali alle quali è stato ceduto il compito di produrre la moneta e prestarla agli Stati, senza alcuna relazione col valore di mercato del suo supporto materiale .




Così scrive a tal proposito l'Avv. Marco Mori in un interessante articolo sull'argomento:
"Come noto, l’art. 1 della Costituzione recita: “L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.La cessione della sovranità monetaria ad una banca sovranazionale composta da azionisti privati, banca che non risponde ad alcun controllo democratico ex art. 108 TUE (oggi Trattato di Lisbona), non è atto conforme alla nostra Costituzione.
.... tra i Governi e la stessa Banca Centrale non vi è alcuna parità di poteri e che dunque la conseguente cessione integrale della sovranità monetaria in favore di detta banca, peraltro per motivi che nulla hanno a che vedere con lo sviluppo della pace e della giustizia tra le nazioni, esula ampiamente dai limiti del dettato costituzionale rientrando nel pieno ambito di operatività della fattispecie penale di cui all’art. 241 c.p.
....  non solo BCE è un organismo sovranazionale che ex lege non può accettare anche solo semplici “consigli” dagli stati e dagli altri organi UE, ma addirittura è una Banca Centrale che non ha alcuna funzione di prestatore di ultima istanza ma fornisce credito unicamente alle banche commerciali consentendo loro enormi profitti.
Queste banche commerciali, che poi altro non sono che le stesse componenti del consiglio d’amministrazione di BCE, usano la massa monetaria immessa dal nulla nel sistema unicamente per trarre profitti ed acquistare beni o servizi, anche grazie all’ulteriore follia delle privatizzazioni.
Come testualmente dichiarato da Monti Mario la crisi è divenuta l’arma necessaria per fare sì che l’Europa potesse fare dei passi avanti che, sempre secondo Monti, sono appunto l’illecita cessione di sovranità in favore del mercato, così abbattendo definitivamente le singole sovranità nazionali.
In questo contesto si colloca l’approvazione da parte del Governo del MES, del pareggio di bilancio in costituzione, del cd. two-pack nonché dell’unione bancaria e delle ulteriori riforme costituzionali in programma e già più volte annunciate da quelli che una volta erano Governi di Stati sovrani e che oggi sono meno di colonie inermi sottoposte al potere dei mercati. Ovviamente sempre in tale contesto si colloca l’ERF.
Sotto il profilo della fattispecie penale dell’art. 241 c.p. è dunque indubbio che la sovranità nazionale sia stata sottratta in favore di organi stranieri tra cui la stessa BCE e che l’indipendenza dello Stato non solo sia stata limitata ma addirittura completamente cancellata".

Il problema è tuttavia capire in che modo, a parte lo strumento del voto elettorale o referendario,  il popolo possa destituire governi siffatti.

di Vincenzo Concilio
fonte http://veraitalia.blogspot.it/2014/12/il-potere-di-ogni-governo-discende-dal.html?spref=fb

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