giovedì 20 novembre 2014

ARABIA SAUDITA, nel silenzio occidentale continuano le decapitazioni

Stamattina giustiziata la sessantottesima persona dall’inizio dell’anno. Il siriano Talal Ali Qassem era colpevole di aver “contrabbandato grandi quantità di metanfetamine”.

Roma, 18 novembre 2014, Nena News - Il siriano Talal Ali Qassem è stato decapitato stamane nella regione di Jawf (nel nord dell’Arabia Saudita) perché “colpevole di aver contrabbandato grandi quantità di metanfetamina”. A renderlo noto sono i media locali. Sale così a 68 il numero delle persone giustiziate nel Paese dall’inizio dell’anno.

Il Ministro degli Interni sostiene che il governo ha avviato una battaglia contro le droghe “per il danno che esse creano alla società e agli individui”. Christof Heyns, inviato speciale delle Nazioni Unite per le esecuzioni arbitrarie, sommarie ed extragiudiziarie, aveva chiesto a settembre una immediata moratoria sulla pena di morte in Arabia Saudita. Secondo Heyns i processi sono “profondamente iniqui” e agli accusati non è permesso molte volte un avvocato. Le confessioni, inoltre, sarebbero estorte con la tortura.

Oltre al commercio e uso di droghe, sono puniti con la pena capitale anche lo stupro, l’omicidio, l’apostasia, sodomia, adulterio, omosessualità, la stregoneria, la rapina a mano armata.

Al lungo elenco dei “meritevoli” della pena di morte, quest’anno si sono aggiunti cinque oppositori della rigida e spietata monarchia saudita. Tra questi spicca il nome dell’attivista religioso sciita shaykh Nimr al-Nimr. Le organizzazioni umanitarie hanno esortato Riyad a revocare le sentenze capitali contro chi manifesta un dissenso accusando il regime saudita di limitare la libertà di parola e di espressione.

Nel frattempo, l’Ong Human Rights Watch ha chiesto alle autorità locali di abolire la “Corte Criminale Speciale” [che ha decretato la pena di morte per i cinque dissidenti, ndr] sottolineando come vi siano “serie preoccupazioni per le modalità con cui avvengono i processi e la caduta delle accuse di tortura senza alcuna investigazione”.

Ma di fronte al grido di protesta delle organizzazioni umanitarie, tacciono i governi, l’intelligencija e la stampa occidentali, in prima linea, però, quando si devono denunciare i diritti violati o la pena capitale in Iran. L’Arabia Saudita è uno stretto alleato di Washington e fa affari con l’Unione Europea. E’, inoltre, uno dei cinque paesi arabi che sta prendendo parte alla coalizione anti-Isil (Stato Islamico di Iraq e Levante). Una missione nata per sconfiggere gli islamisti “tagliagola”. Quale miglior alleato se non quello leader mondiale delle decapitazioni? Nena News

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Foto: ARABIA SAUDITA, nel silenzio occidentale continuano le decapitazioni

Stamattina giustiziata la sessantottesima persona dall’inizio dell’anno. Il siriano Talal Ali Qassem era colpevole di aver “contrabbandato grandi quantità di metanfetamine”.

Roma, 18 novembre 2014, Nena News - Il siriano Talal Ali Qassem è stato decapitato stamane nella regione di Jawf (nel nord dell’Arabia Saudita) perché “colpevole di aver contrabbandato grandi quantità di metanfetamina”. A renderlo noto sono i media locali. Sale così a 68 il numero delle persone giustiziate nel Paese dall’inizio dell’anno.

Il Ministro degli Interni sostiene che il governo ha avviato una battaglia contro le droghe “per il danno che esse creano alla società e agli individui”. Christof Heyns, inviato speciale delle Nazioni Unite per le esecuzioni arbitrarie, sommarie ed extragiudiziarie, aveva chiesto a settembre una immediata moratoria sulla pena di morte in Arabia Saudita. Secondo Heyns i processi sono “profondamente iniqui” e agli accusati non è permesso molte volte un avvocato. Le confessioni, inoltre, sarebbero estorte con la tortura.

Oltre al commercio e uso di droghe, sono puniti con la pena capitale anche lo stupro, l’omicidio, l’apostasia, sodomia, adulterio, omosessualità, la stregoneria, la rapina a mano armata.

Al lungo elenco dei “meritevoli” della pena di morte, quest’anno si sono aggiunti cinque oppositori della rigida e spietata monarchia saudita. Tra questi spicca il nome dell’attivista religioso sciita shaykh Nimr al-Nimr. Le organizzazioni umanitarie hanno esortato Riyad a revocare le sentenze capitali contro chi manifesta un dissenso accusando il regime saudita di limitare la libertà di parola e di espressione.

Nel frattempo, l’Ong Human Rights Watch ha chiesto alle autorità locali di abolire la “Corte Criminale Speciale” [che ha decretato la pena di morte per i cinque dissidenti, ndr] sottolineando come vi siano “serie preoccupazioni per le modalità con cui avvengono i processi e la caduta delle accuse di tortura senza alcuna investigazione”.

Ma di fronte al grido di protesta delle organizzazioni umanitarie, tacciono i governi, l’intelligencija e la stampa occidentali, in prima linea, però, quando si devono denunciare i diritti violati o la pena capitale in Iran. L’Arabia Saudita è uno stretto alleato di Washington e fa affari con l’Unione Europea. E’, inoltre, uno dei cinque paesi arabi che sta prendendo parte alla coalizione anti-Isil (Stato Islamico di Iraq e Levante). Una missione nata per sconfiggere gli islamisti “tagliagola”. Quale miglior alleato se non quello leader mondiale delle decapitazioni? Nena News

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