lunedì 13 ottobre 2014

Smontiamo il mito della competitività

La troika ci porta al disastro. L'austerità è il problema, non la soluzione, servono politiche pubbliche espansive per sbloccare l'economia.

Andrea Baranes - Come uscire dalla trappola di recessione, deflazione, disoccupazione in cui è finita non solo l'Italia ma buona parte dell'Ue? Oggi si confrontano due opposte teorie che si potrebbero riassumere così: il problema è l'offerta o la domanda?

La prima visione fa della competitività l'obiettivo centrale, ed è quella proposta, o meglio imposta, dalla Troika (Bce, Fmi e Commissione europea) ai Paesi europei, e in particolare a quelli della 'periferia', accusati di bassa produttività ed eccesso di spesa pubblica. Non c'è alternativa ai piani di austerità, mentre il compito principale dei governi dev'essere quello di mettere le proprie imprese nella condizione migliore di vincere la competizione internazionale. Una competizione in cui chi esporta di più vince. Tagliamo la spesa pubblica, le tasse, i salari, in modo da rendere le imprese europee più competitive, attrarre investimenti, esportare, il che porterà alla crescita del Pil e infine dell'occupazione.

Un problema di questa ideologia mercantilista è che essendo la Terra di dimensioni finite, o troviamo il modo di esportare su Marte o evidentemente se qualcuno 'vince' altri devono 'perdere'. Non solo su scala internazionale ma anche europea: buona parte del commercio nell'Ue è tra Paesi europei, il che vuol dire che se qualcuno esporta di più, altri devono importare di più o lanciarsi nella stessa gara. Viene meno la stessa idea di 'Unione' Europea, sostituita da una 'Competizione Europea' in cui ogni Paese cerca di superare il vicino. Una competizione che è di fatto una corsa verso il fondo in materia sociale, ambientale, dei diritti del lavoro, fiscale, pur di abbattere i costi di produzione.

L'intero peso di una crisi causata dal collasso del gigantesco casinò finanziario privato - e non certo dalla finanza pubblica - viene scaricato su lavoratrici e lavoratori e sui più deboli. Smantellamento dei diritti e tutele, minori stipendi, precarietà, tutto sacrificato al dio della competitività. Le fasce più deboli della popolazione subiscono i tagli e la privatizzazione del welfare, dalla sanità all'istruzione, ovvero una diminuzione del proprio reddito indiretto.

Chi non ha alcuna responsabilità per lo scoppio della crisi ma anzi ne ha già pagato il prezzo più alto si trova una volta di più con il cerino in mano. Assistiamo all'aumento della disoccupazione e delle diseguaglianze, con conseguente crollo dei consumi, delle entrate fiscali e della domanda interna, che non viene in alcun modo compensato da un supposto aumento delle esportazioni, il che acuisce recessione e difficoltà. In altri termini un modello fallimentare non solo dal punto di vista sociale ma persino economico.

Sempre più economisti segnalano che il problema è nella domanda, non nell'offerta, e che le ricette della Troika stanno portando l'Europa verso il baratro. L'austerità è il problema, non la soluzione, servono politiche pubbliche espansive per sbloccare l'economia. Questo ovviamente non significa che sia sufficiente, e nemmeno auspicabile, rilanciare domanda e consumi per ripartire come se nulla fosse successo e continuando a ignorare che stiamo consumando una volta e mezza le risorse che la Terra mette ogni anno a disposizione. Il WWF ci ricorda che l'impatto ambientale degli italiani è pari alla superficie di oltre due italie e mezzo.

Per questo è necessario impostare l'economia su binari completamente differenti. Non rilanciare i consumi ma un piano di investimenti per la creazione di posti di lavoro nella ricerca e la conoscenza, l'efficienza energetica, la riconversione ecologica dell'economia. Un diverso modello economico, ambientale e sociale. E' in questa direzione che si muovono diverse reti e organizzazioni che dal basso provano a elaborare nuove soluzioni, come dal 17 al 19 ottobre prossimi a Firenze nell'ambito di Novo Modo, un appuntamento pensato per confrontarsi sulle grandi sfide del prossimo futuro e per ricostruire l'immaginario della crisi che è stato dipinto in questi anni.

Smontare il mito della competitività, spesso egemone anche tra forze politiche che si definiscono progressiste o di centro-sinistra, e contemporaneamente superare l'idea di un intervento pubblico per un rilancio tout court della domanda e dei consumi. Non solo uno 'scontro tra domanda e offerta', ma una nuova visione, economica ma prima ancora culturale. Un percorso difficile, ma l'unico possibile per salvare l'Unione Europea dal vicolo cieco in cui si essa stessa si è infilata.

su Comune-info

http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=110620&typeb=0&Smontiamo-il-mito-della-competitivita
 — con Sauro Bertoldo Risobisi.

Foto: Smontiamo il mito della competitività

La troika ci porta al disastro. L'austerità è il problema, non la soluzione, servono politiche pubbliche espansive per sbloccare l'economia.

Andrea Baranes - Come uscire dalla trappola di recessione, deflazione, disoccupazione in cui è finita non solo l'Italia ma buona parte dell'Ue? Oggi si confrontano due opposte teorie che si potrebbero riassumere così: il problema è l'offerta o la domanda?

La prima visione fa della competitività l'obiettivo centrale, ed è quella proposta, o meglio imposta, dalla Troika (Bce, Fmi e Commissione europea) ai Paesi europei, e in particolare a quelli della 'periferia', accusati di bassa produttività ed eccesso di spesa pubblica. Non c'è alternativa ai piani di austerità, mentre il compito principale dei governi dev'essere quello di mettere le proprie imprese nella condizione migliore di vincere la competizione internazionale. Una competizione in cui chi esporta di più vince. Tagliamo la spesa pubblica, le tasse, i salari, in modo da rendere le imprese europee più competitive, attrarre investimenti, esportare, il che porterà alla crescita del Pil e infine dell'occupazione.

Un problema di questa ideologia mercantilista è che essendo la Terra di dimensioni finite, o troviamo il modo di esportare su Marte o evidentemente se qualcuno 'vince' altri devono 'perdere'. Non solo su scala internazionale ma anche europea: buona parte del commercio nell'Ue è tra Paesi europei, il che vuol dire che se qualcuno esporta di più, altri devono importare di più o lanciarsi nella stessa gara. Viene meno la stessa idea di 'Unione' Europea, sostituita da una 'Competizione Europea' in cui ogni Paese cerca di superare il vicino. Una competizione che è di fatto una corsa verso il fondo in materia sociale, ambientale, dei diritti del lavoro, fiscale, pur di abbattere i costi di produzione.

L'intero peso di una crisi causata dal collasso del gigantesco casinò finanziario privato - e non certo dalla finanza pubblica - viene scaricato su lavoratrici e lavoratori e sui più deboli. Smantellamento dei diritti e tutele, minori stipendi, precarietà, tutto sacrificato al dio della competitività. Le fasce più deboli della popolazione subiscono i tagli e la privatizzazione del welfare, dalla sanità all'istruzione, ovvero una diminuzione del proprio reddito indiretto.

Chi non ha alcuna responsabilità per lo scoppio della crisi ma anzi ne ha già pagato il prezzo più alto si trova una volta di più con il cerino in mano. Assistiamo all'aumento della disoccupazione e delle diseguaglianze, con conseguente crollo dei consumi, delle entrate fiscali e della domanda interna, che non viene in alcun modo compensato da un supposto aumento delle esportazioni, il che acuisce recessione e difficoltà. In altri termini un modello fallimentare non solo dal punto di vista sociale ma persino economico.

Sempre più economisti segnalano che il problema è nella domanda, non nell'offerta, e che le ricette della Troika stanno portando l'Europa verso il baratro. L'austerità è il problema, non la soluzione, servono politiche pubbliche espansive per sbloccare l'economia. Questo ovviamente non significa che sia sufficiente, e nemmeno auspicabile, rilanciare domanda e consumi per ripartire come se nulla fosse successo e continuando a ignorare che stiamo consumando una volta e mezza le risorse che la Terra mette ogni anno a disposizione. Il WWF ci ricorda che l'impatto ambientale degli italiani è pari alla superficie di oltre due italie e mezzo.

Per questo è necessario impostare l'economia su binari completamente differenti. Non rilanciare i consumi ma un piano di investimenti per la creazione di posti di lavoro nella ricerca e la conoscenza, l'efficienza energetica, la riconversione ecologica dell'economia. Un diverso modello economico, ambientale e sociale. E' in questa direzione che si muovono diverse reti e organizzazioni che dal basso provano a elaborare nuove soluzioni, come dal 17 al 19 ottobre prossimi a Firenze nell'ambito di Novo Modo, un appuntamento pensato per confrontarsi sulle grandi sfide del prossimo futuro e per ricostruire l'immaginario della crisi che è stato dipinto in questi anni.

Smontare il mito della competitività, spesso egemone anche tra forze politiche che si definiscono progressiste o di centro-sinistra, e contemporaneamente superare l'idea di un intervento pubblico per un rilancio tout court della domanda e dei consumi. Non solo uno 'scontro tra domanda e offerta', ma una nuova visione, economica ma prima ancora culturale. Un percorso difficile, ma l'unico possibile per salvare l'Unione Europea dal vicolo cieco in cui si essa stessa si è infilata.

su Comune-info

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