lunedì 18 agosto 2014

LO SCANDALO DEL BUON SENSO: DI BATTISTA E IL “FAMIGERATO” POST SULL’ISIS


Di Battista
Da un paio di giorni il post apparso sul blog di Beppe Grillo a firma del noto esponente del M5S Alessandro Di Battista dal titolo “ISIS che fare?”
(www.beppegrillo.it/2014/08/isis_che_fare.html) è accanito argomento di discussione su tutti i media. Giornalisti, politici e sedicenti intellettuali non si sono risparmiati scatenandosi in un’affastellata quanto confusa caccia al presunto sostenitore dei terroristi. Eppure, ad un prima e veloce lettura, il post incriminato pare essere una lucida e condivisibile analisi su quanto accaduto in Medio Oriente ed in Iraq negli ultimi anni. Naturalmente qualche elemento di discrepanza è intuibile, ma nella sostanza l’articolo propone una lettura geopolitica non molto lontana da quanto sostengono alcuni studiosi come Andrea Giacobazzi e Don Curzio Nitoglia (rimando ai loro libri pubblicati da RS per chi volesse approfondire il tema).
L’Iraq, frutto della spartizione delle potenze occidentali, è uno stato artificiale e, ovviamente, la sua storia è stata contraddistinta dalla guerra e dagli scontri tra le diverse minoranze etnico-religiose costrette a vivere sotto lo stesso tetto. Se a tutto questo si aggiunge l’interesse straniero per un paese ricco di risorse petrolifere, il gioco è fatto, con tanto di colpi di stato targati USA. A tal proposito la prima stoccata di Di Battista: «Mi domando per quale razza di motivo si provi orrore per il terrorismo islamico e non per i colpi di stato promossi dalla CIA. Destituire, solo per osceni interessi economici, un governo regolarmente eletto con la conseguenza di favorire una guerra civile è meno grave di far esplodere un aereo in volo?».
A piccoli passi l’autore giunge poi all’11 settembre e all’attualità, la parte dell’articolo che ha destato più scandalo. I 3000 morti di New York hanno dato il via alla nuova politica americana in Medio Oriente e forse, come maliziosamente - ma con acutezza - suggerisce Di Battista, «anche a New York qualcuno alle 3 e mezza di mattina rideva dentro il letto come capitò [a quegli avvoltoi] dopo il terremoto a L'Aquila».
Il seguito è noto a tutti: dietro al paravento dell’ “esportiamo la democrazia” - e già il fatto che una forma di governo sia diventata oggi un valore la dice lunga sul nostro imbarazzante grado di decadenza - vi è stata l’invasione dell’Afghanistan. Forse per l’Iraq quella pallida scusa non bastava. Era necessario trovare una soluzione alternativa. Dalla Seconda guerra mondiale sempre e comunque moralmente superiori a tutto e a tutti, gli Stati Uniti si sono inventati il pretesto delle armi di distruzione di massa di cui non avevano trovato traccia neanche gli inviati ONU. Ancora una volta Di Battista provoca con intelligenza, cogliendo nel segno: «A questo punto mi domando quanto un miliziano dell'ISIS capace di decapitare con una violenza inaudita un prigioniero sia così diverso dal Segretario di Stato Colin Powell colui che, mentendo e sapendo di mentire, mostrò una provetta di antrace fornitagli da chissà chi per giustificare l'imminente attacco all'Iraq».
L’invasione comunque ha inizio e, come sempre, pochi o nessuno hanno il coraggio di denunciarlo. L’Iraq è piombato nel caos. Gli occupanti si sono lavati la coscienza mettendo a capo del paese il solito presidente fantoccio, ma nelle ultime settimane il terrorismo dell’ISIS ha mostrato che la situazione è tutt’altro che pacificata:
L'avanzata violenta, sanguinaria, feroce dell'ISIS è soltanto l'ultimo atto di una guerra innescata dai partiti occidentali costretti a restituire i favori ottenuti dalle multinazionali degli armamenti durante le campagne elettorali. Comprare F35 mentre l'Italia muore di fame o bombardare un villaggio iracheno mettendo in prevenivo i “danni collaterali” sono azioni criminali che hanno la stessa matrice: il primato del profitto sulla politica.
Il fatto è ancora più preoccupante perché nel conflitto stanno morendo migliaia di cristiani. Ovviamente l’occidentalista medio si dimentica di ricordare come nell’Iraq di Saddam Hussein, laico e socialista, le minoranze godessero di ampia tutela.
All’articolo seguono alcune interessanti considerazioni su come l’Italia, in accordo con gli organismi internazionali, dovrebbe intervenire per pacificare il conflitto e, in generale, il Medio oriente. Ma proprio in queste ultime righe si cela, in realtà, la parte più contestata del post:
Dovremmo smetterla di considerare il terrorista un soggetto disumano con il quale nemmeno intavolare una discussione. Questo è un punto complesso ma decisivo. Nell'era dei droni e del totale squilibrio degli armamenti il terrorismo, purtroppo, è la sola arma violenta rimasta a chi si ribella. E' triste ma è una realtà. Se a bombardare il mio villaggio è un aereo telecomandato a distanza io ho una sola strada per difendermi a parte le tecniche nonviolente che sono le migliori: caricarmi di esplosivo e farmi saltare in aria in una metropolitana. Non sto ne giustificando né approvando, lungi da me. Sto provando a capire. Per la sua natura di soggetto che risponde ad un'azione violenta subita il terrorista non lo sconfiggi mandando più droni, ma elevandolo ad interlocutore. Compito difficile ma necessario, altrimenti non si farà altro che far crescere il fenomeno.
Quanto appena citato mi pare di assoluto buon senso, e credo sia forse questo che ha suscitato lo scandalo maggiore tra i notabili della partitocrazia italiana. In uno scenario politico completamente stravolto - con tanto di Presidente del consiglio che ricorda l’Alberto Sordi di “Un americano a Roma” - e, soprattutto, chiuso nel particolarismo dell’Italietta, queste parole sono suonate come un elogio del terrorismo (tra l’altro esplicitamente condannato). Mi rendo conto che qualcuno si trovi costretto a dire così per pubblicità o meschini tornaconti politici, come comprendo il fatto che molti politici non abbiano neanche letto o capito il post. Ma la cosa che più mi lascia perplesso, al di là della completa o colpevole omissione del dato storico ripreso con scrupolosa passione da Di Battista, è il dogma diffuso dell’insindacabilità della politica estera degli Stati Uniti. E questo lo penso e lo dico soprattutto da cristiano. In questo senso la caduta di Saddam è stata la più grande sciagura che potesse accadere ai nostri confratelli iraqueni che, persa ogni tutela e garanzia baathista, si sono ritrovati accerchiati dall’odio dell’estremismo islamico, incrementato dalla rabbia causata dall’invasione straniera e dalla distruzione della propria casa. Ma forse si vuole togliere anche il diritto di un popolo alla difesa. Sembra quasi una vergogna che questi non si arrendano agli occupanti senza fiatare.
Ma tutto questo nessuno ha il coraggio di denunciarlo. Oppure, come è capitato al povero Di Battista, chi osa dire qualcosa è subito oscurato e avvolto nella melma del conformismo che, più di altre, è la vera causa della crisi italiana e del progressivo regresso politico, sociale, economico e culturale del paese.
Luca Fumagalli
http://radiospada.org/2014/08/lo-scandalo-del-buon-senso-di-battista-e-il-famigerato-post-sullisis/

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