domenica 20 aprile 2014

Accade in Africa


Un mese fa…."Elisa, vieni in Africa con me" mi chiede Roberta Copelli di Buona Nascita, "No Robbi, devo lavorare in Siria, lo sai, non mi occupo di Africa io, ce ne sono così tante di associazioni che ci lavorano, io non servirei a nulla", ma Roberta insiste "Elisa, c'è qualcosa che devo farti vedere, dove nessuno arriva, non farmi spiegare, perché certe cose non le si possono raccontare, io da un anno non penso ad altro, fidati di me, seguimi e capirai" ……. scendiamo dal fuoristrada dopo ore trascorse percorrendo strade sterrate, la schiena è a pezzi, immediatamente siamo avvolte da un rumore assordante di martelli, e da una polvere grigia che ci entra in bocca nel naso…. di fronte a noi si apriva uno scenario talmente agghiacciante da chiedersi se ciò che vedevamo era vero o se era uno di quali incubi dai quali uno si sveglia all'improvviso con la schiena sudata. Io mi sento come se avessi una spugna nella gola, non riesco a parlare, a respirare, a mandare giù la saliva, sento ogni mio muscolo paralizzato, quasi non riesco a muovermi. Roberta mi osserva, sto provando le stesse identiche sensazioni che ha provato lei un anno fa. "Capisci ora?" mi dice. Io sono talmente allucinata al punto che non saprei dire nemmeno il mio nome. Bambini, bambini piccoli seduti a terra, sui sassi, bianchi di polvere, sguardo perso nel vuoto, con in mezzo alle gambe una grossa pietra, da frantumare con un martello. Pietre, pietre da spaccare, sotto il sole cocente,malmeno dieci ore al giorno. Dita che si fratturano, schegge che arrivano ovunque, tosse, e pietre, nient'altro che pietre. Roberta mi spiega che si tratta di bambini che dal primo giorno di vita, sono messi sulle stuoie vicino alle mamme che rompono le pietre, appena imparano a camminare si occupano di portare le pietre da rompere ai fratellini. All'età di tre anni già sono abili nel maneggiare il martello, e non vedranno ne conosceranno altro per tutto il resto della loro vita. Se mai si ammaleranno nessuno potrà occuparsi di loro, la somma che guadagnano è di 8 dollari al mese, ed è a malapena sufficiente per acquistare del riso. Non c'è giorno di riposo, non c'è malattia, non c'è pausa, non c'è silenzio, non c'è pietà. La mortalità è pari al 30% nei primi cinque anni di vita. Questo non è sfruttamento del lavoro minorile. E' riduzione in schiavitù. E' riduzione in schiavitù di bambini, che conoscono solo pietre, e un pugno di riso. Guardo Gabrielle, ha il naso che cola, ma non importa, nessuno si occuperà di lei, ha solo tre anni, rompe le pietre senza nemmeno guardarle, il suo sguardo è perso, la maglietta troppo corta per la sua età, e la pancia è gonfia per la denutrizione. Toc toc toc, continua imperterrita a lavorare. Quello deve fare, nient'altro. Vorrei prenderla, abbracciarla, portarla via da li, darle da mangiare vestirla, amarla, invece ora, mentre scrivo, starà ancora rompendo pietre. Roberta intanto ascolta la storia di Mouro, un ragazzino di soli otto anni, racconta piangendo, senza mai smettere di martellare le pietre. Era fortunato lui, perché poteva andare a scuola, e lavorare soltanto al pomeriggio, gli piaceva tanto imparare, ma purtroppo, essendo venuto a mancare il suo papà, è stato costretto ad occuparsi della famiglia a tempo pieno. Toc toc toc, spacca le pietre e piange, le lacrime lavano via la polvere bianca dal suo viso, spiega a Roberta che a volte se non è troppo stanco, come altri ragazzini, segue le lezioni della scuola di nascosto, attraverso un grata di cemento che separa l'aula. Non vorrebbe spaccare le pietre tutta la vita, ma sa che non potrà far altro. Toc toc toc. Roberta mi si avvicina. Sa che non reggo, sa che sto per crollare. Provo a parlare. Non esce un visto dalla mia gola. "Stai zitta e respira profondamente" la vista mi si ofusca, potrei svenire da un momento all'altro. Devo riuscire a fare un video per farlo vedere a casa, provo, ma la voce si rompe ogni volta. Dopo una decina di tentativi riesco a pronunciare qualche parola senza scoppiare in lacrime. Schiavi. Piccoli schiavi, che con 15 euro al mese potrebbero andare a scuola e mangiare ogni giorno. Mi chiedo come un essere umano possa consentire tutto questo. Mi chiedo come si possa tacere tutto questo. Mi vergogno di essere una persona, mi vergogno di essere li di fronte a loro, mi vergogno di far parte di una società in cui è possibile prendere un bambino, renderlo uno schiavo, distruggere la sua vita, la sua speranza, il suo futuro, per comprare dei sassi a un prezzo stracciato, che verrano poi utilizzati nelle costruzioni edili. Se questo è possibile è colpa di ognuno di noi. Nessuno parla. Al ritorno non una parola. Mi ritrovo a guardare il video e le foto più volte, per essere sicura che ciò che ho visto esiste davvero. Non dormo. Lo sguardo di Gabriel che incrocia il mio per un secondo mi trafigge come un pugnale nello stomaco. Solo all'alba riesco ad addormentarmi per sfinimento. Dopo mezz'ora mi sveglio, nei primi secondi sono convinta si sia solo trattato di un incubo, e pian piano la mia mente realizza che invece no, forse era reale, afferro il telefono per cercare di capire, riguardo i video, non era un incubo, era tutto vero. Io e gli altri del gruppo ci lanciamo sguardi senza parlare. Non serve. Tutti abbiamo lo stesso pensiero. Tutti abbiamo lo stesso tormento dentro. Tutti vogliamo tirarli via da li, mandarli a scuola, e assicurare loro un pasto completo. Guardate Gabriel, vi prego, guardatela, non guardatela una volta, ma due, dieci, cento volte. Vi prego guardatela ogni mattina quando vi svegliate. Gabriel, la piccola spaccapietre, Gabriel, è mia figlia, è vostra figlia, è nostra figlia.

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