venerdì 7 febbraio 2014

Il pesce: ecatombe silenziosa e dimenticata


Nelle pergamene del Mar Morto, scoperte nel 1947, Gesù dice: “Forse che i pesci vengono a voi a chiedere la terra e i suoi frutti?” Lasciate le reti e seguitemi, farò di voi pescatori di anime.”

Nel 1997 la raccolta di pesce ha raggiunto nel mondo la cifra record di 130 milioni di tonnellate, di cui circa 100 milioni deriva dalla pesca libera che causa uno sterminio indiscriminato di specie acquatiche. Solo in Italia 11 milioni di quintali all’anno (circa 20 miliardi di pesci) finiscono nelle pentole di cuochi e massaie. Sono ingenti i danni derivanti dalle reti pelagiche per i tonni e della pesca a strascico che dècimano anche i delfini. Le più importanti specie di pesce del nostro paese, tonni e merluzzi sono in pauroso declino a causa dello sfruttamento dissennato delle acque marine.

I nutrizionisti delle televisioni, che fanno gli interessi delle multinazionali del settore, cercano giornalmente di convincere la gente che è necessario mangiare il pesce almeno 2-3 volte a settimana perché ricco di Omega 3. Naturalmente si limitano a indicare i presunti benefici e non i danni che il pesce procura. Infatti, a parte che l’Omega 3 (che si trova principalmente nel pesce grasso) è presente negli alimenti vegetali, nella frutta secca e nei semi oleaginosi, i pesci sono tra le sostanze più putrescibili esistenti in natura e gli alimenti sono tanto più dannosi quanto più rapida è la loro putrefazione. Sono ricchi di purine (sostanze azotate che fanno aumentare i livelli di acidi urici nel sangue) e di metalli pesanti dovuti all’inquinamento delle acque a causa degli scarichi industriali e fognari. Inoltre i pesci d’allevamento contengono enormi quantità di additivi chimici, di ormoni e farmaci che servono ad aumentare velocemente il peso dell’animale, oltre ad evitare dannose epidemie.

Mentre la dannosità della carne degli animali terricoli viene riconosciuta anche dagli stessi allevatori e macellai, la dannosità del pesce viene celata per motivi puramente commerciali, per ignoranza o malafede dagli stessi cosiddetti nutrizionisti. Il pesce contiene le stesse tossine delle carni: può causare, oltre i danni della carne, parassitosi (es. tenia, ascaridi), asma, eczema, prurito, allergie, malattie renali, danni al sistema nervoso, ecc.

Le immense quantità di mercurio che le industrie scaricano nel mare (circa 10.000 tonnellate all’anno) passa facilmente dal pesce nell’organismo umano. E’ utile ricordare la strage di Minamota (Giappone) del 1952 nella quale morirono 77 persone ed altre 360 rimasero invalide per aver mangiato pesce ricco di mercurio. Nel 1988 nelle acque laziali fu riscontrata, in modo del tutto fortuito, una partita di pesce al mercurio: si riuscì ad impedire la vendita appena in tempo. Ma quanto pesce pericoloso sfugge ai rari controlli?

Ma oltre al mercurio deve preoccupare la presenza, nelle cozze, nelle ostriche e nei crostacei, del cadmio e del piombo, abbondantemente presenti negli scarichi industriali. Il pesce può anche trasmettere all’uomo la salmonella, larve di tenia e di ascaridi, né la cottura è sufficiente a scongiurare i pericoli in tal senso. Alcuni molluschi possono trasmettere l’epatite virale ed altre malattie infettive. Inoltre in diversi pesci sono state riscontrate anche rilevanti quantità di pesticidi. Può tornare utile ricordare che in passato l’uso eccessivo di pesce in alcune regioni del Terzo Mondo a favorito l’insorgere della lebbra. In realtà le bancarelle del pescivendolo nascondono più insidie per la salute umana dello stesso bancone del macellaio.

Il pesce, i molluschi ed i crostacei in genere, sono sostanze ad altissima velocità di putrefazione: il fetore tipico dei cadaveri in via di decomposizione emanato dal pesce lasciato solo per poche ore fuori dal frigo ne è la testimonianza più evidente. Questo processo putrefattivo continua all’interno dello stomaco e poi dell’intestino, di chi ne fa uso, con la logica conseguenza di aumento di acidi tossici.
Sappiamo che nel pesce consumato non c’è solo la parte tossica dovuta alla sostanza in se stessa o agli inquinanti chimici ingeriti dall’animale: come in tutti gli animali uccisi violentemente dall’uomo e poi mangiati vi è il terrore, l’angoscia, la paura dell’animale accumulata durante la sua cattura e la sua uccisione: più e lunga e dolorosa la morte di un animale più è pregna di vibrazioni mortali.

La morte del pesce è tra le più atroci che si possano immaginare, sia che vengano uccisi con la fiocina, l’arpione, il coltello o per asfissia nelle reti. La morte del pesce, in qualunque modo avvenga per opera dell’uomo, è un fatto ingiusto e crudele: le chiazze di sangue delle tonnare o la contorsione dei pesci in agonia nelle reti non hanno bisogno di commenti. Ma noi preferiamo credere che il pesce non soffra perché non abbiamo orecchi adatti a percepire il loro grido di dolore.
Che dire degli animali dotati di zampe, che se non sono immobilizzati, quando vengono immersi ancora vivi nell’acqua bollente, che entra negli occhi ed in ogni cavità dell’animale, oppure arrostite sulla piastra, che schizzano via come saette?

Altrettanto tremenda e dolorosa è la morte per asfissia del pesce pescato con le reti: le convulsioni dell’animale che disperatamente cerca di riconquistare il suo ambiente vitale, sono la più palese manifestazione di dolore. Per non parlare della pesca sportiva: vero e proprio passatempo per gente stupida, insensibile e crudele. L’amo che viene estratto dalla bocca del pesce che si contorce dallo spasimo e che lacera anche parte della testa: è paragonabile ad un arpione conficcato nella bocca di un uomo che viene brutalmente estratto fracassandogli le mandibole, la fronte ed il cervello per poi somministrargli con un pò d’acqua pochi grammi di ossigeno per prolungare il più possibile la sua vita e quindi la sua agonia.

Ma vi sono anche le mattanze delle tonnare: l’orrore che suscita l’enorme chiazza di sangue che, come una profanazione della vita, macchia l’azzurro intenso del mare, fa vergognare di appartenere alla razza umana.
E i pesci uccisi per congelamento? E quelli spasimanti in pochi centimetri di acqua nei mercati perché la gentile signora, o signore, possa deliziarsi il palato con il corpo di una creatura appena eviscerata da viva? Non è forse raccapricciante l’idea degli acquari nei ristoranti in cui il cliente sceglie quale pesce farsi cucinare al momento decidendo vita oppure morte e sofferenza per una splendida creatura? E i pesci dilaniati da un arpione?

Eppure i pesci non sono patate; gli animali acquatici non sono creature meno sensibili o meno intelligenti degli animali terricoli. Molti pesci hanno intelligenza pari se non superiore a quella di molti animali terricoli. I pesci sono dotati di un sistema nervoso e quindi capaci come noi di percepire il dolore. Il polpo ha un cervello molto sviluppato e l’intelligenza del delfino supera di gran lunga quella del cane e in moltissime circostanze ha salvato l’uomo da morte sicura, spesso da un attacco da parte di squali.
Il pesce è dotato di percezioni sofisticatissime (altro che radar) oltre che di quegli strumenti naturali che rendono capace il suo corpo di estrarre dall’acqua l’ossigeno di cui ha bisogno per vivere. Il pesce ragiona, sente, vede, mangia, dorme, gioca, ha paura e quindi si nasconde. L’agilità e la velocità con cui si muove un pesce nel suo ambiente naturale ha qualcosa di affascinante e di prodigioso. La perfezione dei suoi occhi in grado di percepire chiaramente nell’acqua, la complessità delle sue branchie e dei suoi sensori ricettivi ed elaborativi, la squisita geometria delle sue squame, la gamma pressoché sconfinata dei suoi colori sgargianti, vengono per sempre annientate con la morte dell’animale quando viene privato dell’unica sua ricchezza, la vita, per un attimo di  “piacere” che possono dare le sue carni martoriate.
Se un qualsiasi essere vivente non fosse in grado di accusare il dolore, se non avesse paura della morte si autodistruggerebbe e nulla esisterebbe nel Cosmo. Il dolore, infatti, è ciò che accomuna tutti gli esseri viventi: è come una lancia puntata dietro la schiena di ogni creatura che la sprona ad avanzare sulla via dell’evoluzione acquisendo esperienza, memorizzando il pericolo e aguzzando l’astuzia in modo da sfuggire al predatore.

Io invito tutti coloro che mangiano il pesce, tutti coloro che lo pescano, lo catturano, che lo vendono, che lo cucinano, rispettate questi splendidi abitanti degli oceani: sono creature come noi di forma diversa. Amate tutte le creature del mare, dalle balene alle meduse, non profanate la loro patria azzurra e siate grati ai mari perché la nostra stessa vita dipende da essi. Apprezzate la sconfinata multiforme bellezza degli abitanti marini. Perché interferite nella loro vita? Perché violentate la loro casa? Perché seminate terrore, dolore e sangue nel mare? Che forse i pesci vengono nelle nostre case a prendere i nostri figli per mangiarli? Come non restare stupefatti dalla bellezza e dell’eleganza di un pesce? Come non provare ammirazione e rispetto per la perfezione di questo, come di qualunque altro, meccanismo biologico risultato di miliardi di evoluzione? Quale armonia fisica, energetica e spirituale viene annientata con l’uccisione di una creatura del mare? La complessità del meccanismo chimico-biologico di un pesce riduce a poco più di un barattolo il più sofisticato computer.

Se il pesce fosse necessario alla nostra buona salute come si spiega l’ottima condizione di coloro che non lo mangiano? Solo questo basta a capire che non vi è alcuna necessità di consumare pesce ma che ci sono moltissime ragioni per smettere di mangiare ciò che danneggia non solo la nostra salute, il nostro pianeta ma, soprattutto, la nostra coscienza.

di Franco Libero Manco

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