domenica 7 luglio 2013

AMAZZONIA ULTIMA ARCA-Marcia Theophilo Passigli ed. PREFAZIONEdi Walter Pedullà

PREFAZIONEdi Walter Pedullà
Nell’Ultima arca di Marcia Theophilo c’è una barca cheattraversa i fiumi dell’Amazzonia ma non è l’arca. Semmai èproprio quella barca piena di uomini a rendere necessario dinuovo il ricorso alla mitica imbarcazione di Noè da parte deipochi ‘animali’ che sono degni della salvezza. Trasporta gli‘americani’, chi sta in alto, gli invasori, coloro che sfruttanole risorse della natura fino al loro totale consumo in nomedello sviluppo («Aerei americani / svelano / le ricchezze delsottosuolo»).Il titolo minaccia con due parole molto eloquenti: saràper l’ultima volta: non sarà offerta più un’altra occasione(«Il tempo si dissolve / densa metafisica»). Che ci saremmomeritata per la ferita mortale inferta alla regione nella qualeMarcia è nata, in Brasile, e da qui alla intera Terra. «Il terrorecede il passo / nei nostri occhi, / lo sterminio del pianeta /fragile / microcosmo di insetti, / d’uccelli». Arriva la profeziache la poetessa ha raccolto. Forse è la voce di uno sciamano,che risuona tremenda all’orecchio di ogni indio, anzi di ogniabitante del mondo che tremi per il destino della GrandeForesta.Nel testo di Marcia Theophilo ci sono voci che lei trascriveispirata o che traduce da un linguaggio (magari musica ditamburi e flauti o i suoni della natura ora affidati alle onomatopee)cui bisogna trovare parole che vanno oltre il semplicesignificato. Per aderire allo spirito del luogo non bastala ragione, che tuttavia non è esclusa dal racconto. Attenzione,non narra solo una guerra fra una cattiva modernizzazio-5© 2013 Passigli Editori srlvia Chiantigiana 62 – 50012 Bagno a Ripoli – Firenzewww.passiglieditori.it info@passiglieditori.it«Io sono la creatura originaria / prima di ogni altra cosa / furonoi semi / germogliati nella mia mente».Anche suoi sono gli interrogativi dei testimoni, delle prossimevittime: prima: «Per quanto durerai / luna crescente?».Poi la domanda cui nessuno può rispondere, se non si poneun freno alla distruzione del patrimonio naturale: «Ma qualespazio ci resta? / Quale tempo?». Si ignora chi pone il quesito,ma non sta parlando un solo individuo. Il discorso è frantumatoe l’associazione accosta ogni allarme sul futuro delmondo minacciato. Arrivano voci e immagini da ogni tempo,da ogni spazio in una composizione dove entra ogni cosavista, fatto o idea purché sia in grado di emozionare le intelligenze.La notizia qui è sempre scottante.La barca appare e scompare tra le foglie degli immensi alberiche coprono il territorio sconfinato e le sponde di unfiume – il più grande del mondo, il Rio delle Amazzoni – cheè un mare nel quale confluiscono migliaia di corsi d’acquache altrove sarebbero fiumi di nome illustre. La vede dall’altol’occhio degli indios e la giudica la mente della scrittrice,che avverte il pericolo dell’oggetto estraneo e ostile alla foresta,cioè al polmone del pianeta, il suo cuore, il suo respiro.«Foreste densissime / bruciano gli alberi / spogliati delle foglie,/ i vincitori / rimangono in possesso / di un luogo devastato».Questo lo spettacolo della ‘civilizzazione’, non è finito, ilpresente dei verbi ribadisce che succede anche oggi: «Estirpateradici / si contorcono / tronco ferito / dall’alto della cima/ gli alberi cadono / morenti nella sabbia». «La tragedia delpopolo indio / rievoca / distruzione nella nostra mente / divorata/ al contemplare il fato». C’è qualcosa di fatale nel fenomenoche il mondo presente dà in ogni continente (nell’Amazzoniava in scena l’inizio della fine di una stagione umana),e tuttavia è bene ricordare cosa ci lasciamo alle spalle,7ne e un’ingenua conservazione del primordiale. È in giocol’intera vita, cominciando da quella della poetessa, che sa interpretarei messaggi ermetici ad altri. Marcia ci ha messotutta l’anima – e magari anche la psicanalisi – in questi versiin cui la cultura più sofisticata si fa natura ‘primordiale’:quello che siamo diventati senza mai smettere di essere ‘selvaggi’:nel senso del ‘pensiero selvaggio’ di Claude LéviStrauss.Per convincerci più profondamente, coinvolgendoci comeesseri capaci di scovare e intendere il nostro più remotopassato, l’autrice usa non una lingua – il suo portoghese dinascita – bensì due, cioè anche l’italiano, lingua di ormai anticaelezione. Si consiglia di leggere dall’una e dall’altra:stando di fronte meglio collaborano con parole che diconoperché suonano in un modo che risulta suggestivo a chiascolta o perché pronunciano sentenze di condanna: «Non èla morte a uccidere / ma l’avidità degli uomini / che arrivanoin un’immensa barca per saccheggiare la foresta». Si passa dalportoghese all’italiano come se fossero due poemi. Ha piùsuoni naturali e intraducibili la lingua madre. Non sono duepoesie diverse e tuttavia piace alla ragione e ai sensi conciliarei significati italiani coi suoni brasiliani. C’è sintonia, ledue lingue sanno d’essere nate in Europa: non finga il vecchiocontinente di non capire che la morte della forestaamazzonica prelude a quella di tutto il mondo.La poetessa è come se fosse lì, ‘presente’ quanto il verboche dà il tempo a ogni verso di questo intenso – non una parolache non sia caricata di altro senso – e visionario poemadella natura al quale sono stati offerti tutti i ritmi e i generi ele forme, dall’epica all’epicedio, dall’inno all’elegia, dallapreghiera al lamento funebre: «Gli indios vivono da millenni/ nella Grande Foresta / testimoniano la sua agonia». Tuttoavviene sotto gli occhi di Marcia, che scava nella storia allaricerca dell’india che un giorno fu e che ora tale si ritrova.6luna». E allora i versi si impennano solenni per sottolinearel’aspirazione di Marcia a identificarsi con i suoi indios, conla loro natura: «Sono fiume davanti al fiume / sono sole davantial sole / sono luna davanti alla luna». Il razionalismoarretra dinanzi a ciò che non può capire ma conserva l’oscuratestimonianza.Il ricordo rifiuta i tempi al passato – le battute del dialogonon hanno memoria – e l’infinito presente del globo terracqueo(«Rotondo, rotondo. / Nulla più che rotondo. / Non siconosce l’inizio / né la fine») racconta una vita che si ripetesempre identica da millenni: «Scolpire, modellare, intagliare/ tessere, cantare, danzare / piume e penne / intrecciate in armonia/ forme e colori». Così la memoria marca la visionecome se volesse fissare ciò che sta svanendo, la condizionefelice originaria che non riusciamo a dimenticare. E che èuna manovra distraente della psiche in cerca di rifugio surreale.Il realismo incita a considerare possibile la fine negatada un plurimillenaria circolarità dell’esistenza umana.La tragedia cede il passo all’idillio che canta l’amore: quiviolento «come acqua di pioggia / e vento forte». La nostalgiapuò essere un sentimento non meno forte se restituisce intattala descrizione e il racconto della ‘prima volta’: «sono ituoi occhi / bacche nere di Guaranà» e «il corpo trema, e nascondeil dolore / tra carezze e baci». Questa è la vita che abbiamoperduto: la natura con mille occhi, per volare e vederel’inverosimile, «farfalle /... / occhi-foglie».Come era felice l’uomo della foresta! «(…) si accoppia, /mangia frutta / e canta / uimbà, uimba, uiwà, uivà», mentreintorno «gli uccelli volano e pescano» e si sentono «il cantodegli animali / e l’indolenza». L’indolenza di chi non è impazientedi andare altrove: la contemplazione dei metafisici?Anche questo, ma è urgente procurarsi il cibo: «Dove avetetrovato tanto pesce?». In questo Eden si fa di tutto, l’uomo èun essere intero che non vuole rinunciare a nulla. Gli indios9anche per essere invogliati a opporci alla logica di un sistemasociale che, consumando troppi beni naturali oggi, nepriva le generazioni future. Le stiamo soffocando sul nascere,presto mancherà loro l’aria. Lo sviluppo incontrollato sista mangiando quella natura senza la quale la vita non è vita.Vi farò vedere io, dice Marcia, qual è la vera vita, la vita degliindios prima che arrivassero gli uomini che avanzano nellabarca.In Amazzonia si combatte una battaglia che non riguardasolo gli indios. È la stessa battaglia dell’effetto serra, del bucoall’ozono, della deriva dei ghiacciai. Gli sciamani (anchelo sciamano che è il poeta) parlano agli indigeni perché gliuomini ‘civili’ intendano. L’Apocalisse è un’esagerazionedella fantasia ma in alcune stagioni meritano fiducia sciamanie poeti lungimiranti. Oggi possono credere agli allarmisulla condizione del sistema anche gli illuministi. Nella disperazionelo sguardo va in alto e l’indigeno implora con paroledi cui ignoriamo il contenuto: «O luna, aluè, o lunaoluà».La barca piena di uomini incute paura agli indios («Inquesta immensa barca / i nemici / feroci. / Perfino i pesci cantano/ la paura», le popolazioni che sono un tutt’uno con lanatura multicolore e risonante del canto di uccelli mischiatoa quello delle donne, o del pianto dei bambini che si accompagnaagli stridi delle scimmie. E insieme orchestrano unasinfonia che rievoca musica arcana come invocazione: «Yurara,Pajurà, Pora, Tucu-may / Yacì, Yanoà, Naia, Tacumam».Non muoiono solo gli alberi monumentali («Aveva quasimille anni / questo monumento», dice un anonimo ammiratoredella maestosità della natura). «Con l’invasione della foresta/ scompaiono / insetti, / semi, frutti, / foglie, fauna».Tra gli animali ci sono anche gli uomini scacciati dal paradisoterrestre: «Al centro dell’Eden / fiumi vegetali». Talvoltaquesti sembrano alla fantasia ‘ingenua’ «fiumi bagnati dalla8Perché noi siamo gli stessi uomini che un giorno eressero ilPartenone e scrissero il De rerum natura.Lo conferma la divinità che ha la voce dell’oracolo: «dasola sarò tutti noi, / dice la dea». Riecheggia il rimpianto diun’epoca in cui le divinità abitavano nelle persone comuni,negli animali e nella vegetazione. Marcia crede nella grandezzae nella potenza degli antenati, e in qualche angolo dellasua anima si nasconde la fede nel ritorno che restituiscealla vita i grandi spiriti di una volta. Anche Marcia aspira auna poesia che dica tutto come sa fare l’epica. La natura e lacultura debbono avanzare abbracciate, anche la natura haqualcosa da farsi perdonare, se gli sciamani hanno tra i loromiti l’Apocalisse.Non so quasi nulla della letteratura brasiliana classica omoderna, immagino che sia ricca la letteratura locale o mondialesull’Amazzonia, e allora mi limito a indagare nel poemadi Marcia Theophilo. C’è sotto gli occhi la sua poesia,versi che dicono una cosa ma richiamano dieci interpretazioni.Sono tutte benvenute, tutti convengono da ogni vicendaindividuale in questo luogo devastato per resuscitareuna condizione che non è il passato, bensì il presente, se sisa vedere e udire. «Ascolta come è intenso, il rumore dellapioggia». Marcia scrive per ricordare agli uomini quello chehanno dimenticato, dal rumore della pioggia al resto.Nel mondo rotondo, nel cerchio, viene prima il poi, il futuroprima del passato, la barca procede andando avanti eindietro. La natura dà i tempi con un altro orologio. Arrivaprima l’idillio («venite nel fiume / a giocare nell’acqua») o lapassione travolgente? «Vivere è un fiume in piena». L’amorenon è sempre la storia e la poesia deve saper parlare dei primordicon linguaggio che cambia le forme e la sostanza. Peresempio, all’improvviso, inspiegabilmente, nel silenzio, nelbianco tra una strofe e l’altra come ad annunciare un miracolo«si ode un mormorio». Qui non c’è parola che nomi-11di Marcia Theophilo sono esseri normali, il loro spirito nondimentica la materia di cui sono fatti gli uomini.Poi l’arrivo della barca. «Tutto è avvenuto molto in fretta /gesti / sequenza di panico, / paura / ombre che scavano la luce/ nel buio». Fughe, urlando per il terrore: «Corrono senzameta gli animali … / Gridi di scimmie urlatrici». Il paniconon risparmia i fiori, che a loro modo resistono, inutilmente:«Quattro petali rosa si adunano / oscillando / nel rosso e nelgiallo / si difendono / dall’essere espoliati / annientati». E ibambini smettono di ridere: «Le risa dei bambini / a un trattosono grida / e tutto urla / le scimmie, gli animali / nella selva».Quella barca che porta gli invasori è una realtà che offendela sensibilità universale, ma è anche un simbolo: rappresental’invasione violenta della storia che ha invertito il sensodel progresso. Marcia Theophilo, che si è immersa nellanatura minacciata mettendola al presente (sta succedendoora qui, lo vedo o lo prevedo), scompare come persona. L’ioc’è ma annegando nella materia si ripropone come collettività:il destino è lo stesso per tutti, tutto il mondo è stato invasodal cielo («uccelli volanti / macchine volanti»). Un giornoMarcia ha cantato o pianto fra le donne indie, un giornoha visto i fiori rossi, verdi, rosa, gialli pieni, colori che gridanocome per il parto i semi che popolano di altre piante laforesta. «Essere natura!», desiderò Flaubert in fuga dallametropoli moderna.Lévi Strauss non ha dimenticato la notte passata a dormiretra i Nambikwara con una felicità che ricorda quella chesi attribuisce al buon selvaggio. Si chiama naturalismo panicoquesto sentimento di Marcia Theophilo? L’illusione dellametempsicosi assimila gli antichi greci agli indios dell’Amazzonia:«Gli indios Caetés e Tupinambás / credono nel ritornodei morti, / parlano della loro grandezza / della loro potenza».10AMAZZONIAL’ultima ArcaAMAZÔNIAUltima Arcanando non suggerisca altro.Ci vogliono le tecniche più ‘artificiali’ in uso nella liricacontemporanea per riportare in vita la vera vita prima chescompaia definitivamente. Un fiume in piena che però hacascate e altre interruzioni del corso, un impeto frammentatoo carsico, con stacchi e riapparizioni dove non te l’aspetti.Una serialità di eventi, immagini e voci che raccontanoper analogie che selezionano l’essenziale e lo fanno fremerecome se fosse stato toccato un luogo invisibile dotato di suoipoteri occulti in cui gli indios credono («non possiamo vederei loro sogni», i sogni dei bambini piangenti), e a livellosimbolico lo crede anche Marcia Theophilo: «E la luceaffonda nel buio».Se c’è l’arca, quand’anche fosse l’ultima, pure stavolta c’èsperanza in un futuro migliore. Difficile immaginarlo, ma sec’è l’arca, vuol dire che è previsto di nuovo un diluvio universale.Sarà ancora una volta l’acqua a salvare il mondoamato dagli indios e da Marcia, che sempre ha affidato funzionesalvifica all’acqua. Essa naturalmente andrà a travolgerela barca carica di uomini che vanno a defogliare e a sradicarela foresta amazzonica. La scena non è descritta nelpoema (solo il titolo di questo bel poema lo suggerisce), madue versi descrivono un desiderio che chiede di essere esaudito:«nel silenzio implorò / il favore del Fulmine».L’amore non uccide/ma, tu amata foresta,/ bruci senza/ darmi un abbraccio.

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